Secret Invasion

Nick Fury è stato per lungo tempo lontano dalla Terra, sulla stazione spaziale S.A.B.E.R., e i profughi Skrull ai quali aveva trovato rifugio negli anni '90 vivono ancora tra noi. Non solo: sempre più alieni mutaforma hanno trovato asilo sul nostro pianeta, ma in questi tre decenni non hanno visto una via d'uscita dalla loro condizione e alcuni tra loro si sono radicalizzati. Guidati da Gravik intendono scatenare una guerra nucleare per prendere possesso del pianeta grazie alla loro naturale resistenza alle radiazioni. Insieme a Talos, il suo amico Skrull, preoccupato per sua figlia che si è unita alla fazione di Gravik, Nick Fury dovrà cercare di arginare la cospirazione. Contro gli alieni opera inoltre lo spionaggio inglese, guidato dall'eccentrica e spietata Sonya Falsworth.

Alla nona serie Tv, i Marvel Studios riprovano con Secret Invasion ad alzare il target verso un pubblico più adulto, ma gli manca ancora una volta la convinzione per centrare il bersaglio.

È un copione che abbiamo già visto con Moon Knight, ma qui le ragioni del fallimento sono diverse: questa volta non si guarda all'horror e non si commette l'errore di sbracare nel fantasy, si punta invece allo spionaggio, però con eccessivo timore. Ci sono molte serie a fumetti Marvel che abbracciano il genere con successo, ma lo fanno senza inibire troppo l'azione tipica dei supereroi - come si è visto anche al cinema con Captain America: Il soldato d'inverno. In Secret Invasion invece sembra si sia provato a conquistare un pubblico diverso limitando i valori produttivi, con un effetto a tratti cheap.

Questa scelta al risparmio avrebbe anche potuto pagare... se a scrivere ci fosse qualcuno con la sottigliezza di John le Carré o la brillantezza di Mick Herron. Il pur buon Kyle Bradstreet, sceneggiatore di alcuni episodi di Mr. Robot e dunque professionista non privo di mestiere, non ha però queste qualità, forse anche perché nel contesto Marvel Studios non lo si è lasciato libero di spingere il pedale fino in fondo.

La serie ricorre a passaggi didascalici che riepilogano la situazione in corso, le posizioni e le motivazioni dei vari personaggi, muovendoli poi in modo meccanico e senza lasciarli respirare. I momenti più vitali giungono nel cliffhanger di fine episodio, per il colpo allo stomaco di un'uccisione a sorpresa - come nel finale del pilot - o per una rivelazione spiazzante sulla vita privata di Fury, come al termine della seconda puntata. Lo stesso discorso di freno a mano tirato vale anche per la messa in scena, affidata interamente al regista Ali Selim, che ha diretto alcune puntate di Condor e quindi sa come innervare il genere di tensione.

Ma anche il regista sembra avere le mani parzialmente legate, realizzando sequenze d'azione esangui e senza particolari idee di regia. Così, imbavagliando i tratti migliori dello spionaggio come l'ambiguità morale e la paranoia, e allo stesso tempo castrando l'azione spettacolare dei supereroi (che arriva solo in un combattimento dell'ultima puntata), si è arrivati a produrre un ibrido senza ragion d'essere.

Ci sono poi altri due grossi limiti della serie: il primo è tematico e il secondo è di opportunità, ma andiamo con ordine. In Captain Marvel era stata un'ottima idea raccontare gli Skrull come profughi e mettere gli eroi alla loro difesa, alla faccia delle politiche dell'allora Presidente Trump. Oggi invece gli alieni sono rappresentati come immigrati di seconda generazione, arrabbiati dal tradimento della nuova Patria e radicalizzati fino all'estremo, finendo per avvicinarli al deleterio e non certo progressista stereotipo degli arabi terroristi tra noi (e infatti il villain Gravik è interpretato da un attore di colore).

Il problema di opportunità è invece tecnico e riguarda la sigla di Secret Invasion realizzata con una IA, ossia la sola questione che ha portato un po' di interesse a una serie altrimenti troppo anonima, a dispetto del buon cast. Non è però di certo il tipo d'interesse che la Disney voleva, d'altra parte realizzare la sigla in questo modo, se pur sia artisticamente una scelta abbastanza efficace e suggestiva, rivela un tempismo pessimo. Le IA sono in questo momento invise ai disegnatori, che vedono lesi i propri diritti d'autore dalle procedure di "generazione" di immagini. Che proprio la Marvel - nata dai disegni dei fumettisti e dalla passione dei fan - abbia commesso un simile passo falso è tanto incredibile quanto imperdonabile. La contestazione che ne è seguita ha finito per cancellare tutto il resto: non sono bastati né la coolness di Samuel L. Jackson, né la recitazione sorniona di Ben Mendelsohn e neppure gli slanci sopra le righe di Olivia Colman (tra i pochi momenti felici della serie), per salvare Secret Invasion da un immediato oblio. 