Sādhanā साधना, lo Yoga come percorso di operatività integrale nell’insegnamento di Śrī Svāmī Sivananda - Lo Yoga della Tradizione

Sādhanā साधना, lo Yoga come percorso di operatività integrale nell’insegnamento di Śrī Svāmī Sivananda

Statua yogi

Il secondo capitolo degli Yogasūtra, nel quale Patañjali si rivolge a tutti coloro che, pur desiderosi di affrontare la Via, devono operare una preliminare adeguata purificazione, attraverso la quale desiderano, con fermezza e determinazione, acquisire le qualificazioni necessarie ha il nome Sādhanāpāda (साधानपाद).

Lo Yoga è un corpus unico e indivisibile, al suo interno strutturato in otto componenti strettamente ed inscindibilmente interconnesse tra loro. Utilizzare il termine Yoga implica l’obbligo di rispettare tale complessa unitarietà. Le singole otto componenti, isolate dal processo, non sono ne possono essere definite Yoga. L’insieme del percorso, l’impegno ad affrontarlo nella sua complessità è definito con il termine Sādhanā. Colui che la pratica per raggiungere un obiettivo spirituale è definito Sādhaka (साधक), sinonimo di Yogī (योगी) o Yoginī (योगिनी); il suo comportamento sadācāra (सदाचार).

Proviamo a sintetizzarne il Significato, fornendo alcune definizioni[1]:

  • letteralmente ‘un mezzo per realizzare un fine’, una pratica spirituale trascendente l’ego;
  • secondo l’Ortodossia Vedica, disciplina spirituale, insieme di tutte le pratiche (austerità e rituali) da porre in essere con impegno e costanza, finalizzate al raggiungimento dell’emancipazione/liberazione (Mokṣa मोक्ष);

Il concetto di Sādhanā è inscindibilmente legato a quello di Darśana, entrambi sono portatori del medesimo Significato: al di fuori della Sādhanā non è legittimo parlare di Yoga, da cui ogni riduzione dello Yoga ad una o ad alcune delle sue componenti (Āsana in primis) è un non senso logico, costituisce la negazione di un metodo operativo sviluppato per un preciso obiettivo. Affermare e praticare il contrario, costituisce uno snaturamento inammissibile per qualsiasi sincero ricercatore. Sādhanā comporta la ferma decisione di percorrere la Via iniziatica dello Yoga, ovvero la Sādhanā nella sua integrità.  Con le parole di Śrī Svāmī Cidananda:

“Sādhanā ha il Significato di sforzo attivo. Yoga-abhyāsa significa sforzo/impegno attivo. Può essere uno sforzo/impegno mentale. Può essere uno sforzo/impegno verbale. Può essere uno sforzo/impegno fisico. Possono essere tutti e tre combinati. Può essere un quarto tipo di sforzo/impegno che non è coperto dallo sforzo mentale, fisico e verbale. Ma è tutto uno sforzo/impegno[2]

Fatte queste premesse, ci rivolgiamo alla fonte autorevole di Śrī Svāmī Sivananda per ascoltarne l’insegnamento: “Sādhanā”[3]: Nell’opera che rappresenta uno dei vertici del suo insegnamento, Sivananda avverte che:

“Spiritual life is toilsome and laborious. It demands constant vigilance and long perseverance before substantial progress is made.”[4]

La Sādhanā, termine con il quale si identifica la disciplina spirituale associata a pratiche e rituali che hanno scopo di ottenere Mokṣa, la liberazione, affronta in modo concreto la Via che conduce al soggiogamento della dimensione profana e materiale attraverso lo svelamento della dimensione “sottile” ed elevata. Il Significato di Sādhanā, nell’interpretazione di Sivananda è analogo a quello di Abhyāsa, concetto centrale negli Yogasūtra, così come analogo è l’obiettivo che si pongono:

“Any spiritual practice is called Sādhanā. Sādhanā and Abhyāsa are synonymous terms… Make the lower nature the servant oh the higher through discipline, Tapas, self-restraint and meditation. This is the beginning of your freedom.”[5]

Nell’introdurre la Sādhanā nella prospettiva dello Yoga di Patañjali, identificato da Sivananda con il termine Raja Yoga, è preliminarmente ribadito che si tratta di un percorso graduale, di una ri-salita di una simbolica scala, i cui primi gradini sono rappresentati da Yama e Niyama:

“A Raja Yogi slowly ascends the Yogic ladder through the eight steps. He gets ethical training in the beginning to purify himself by the practice of Yama and Niyama.”[6]

Dopo aver introdotto tre possibili prospettive della Sādhanā (Karma, Bhakti e Jñāna[7]), entrando nel merito specifico della visione Sādhanā nella formulazione data da Patañjali, Sivananda ci dona una riflessione sulla quale occorre soffermarci e meditare:

“The fourth technique that was perfected is the Raja Yoga, the Yoga of will, completely and lucidly expounded by Maharshi Patanjali in his Yoga Sutras. Raja Yoga is at once a most scientific, direct and summary “root technique.” It may be compared to attacking the lion in his very den or drying up the river at its very source. We have already seen that the ego-consciousness has its play through the medium of the mind.
It can be said that it is primarily the mind movement that makes possible the manifestation of the Ahankara [Ahaṃkāra[8]]. This led on logically to the conclusion that if the very mind movement itself is totally arrested, this ought naturally to bring about a cessation of the play of Ahankara.
Hence they argued, if the initial mind wave or Vritti is made the target of attack, then, the battle is taken, as it were, into the very camp of the enemy and it becomes direct and summary. Upon this firm premise was built up the technique of Raja Yoga.

It constituted a process of nipping in the bud all ideation itself. It effectively stifled out and annihilated the primary movement of the very mentation itself. Thus we have as the first Sutra: Yogaḥcittavṛttinirodhaḥ. But then the above process was indeed an extremely subtle one.
It was purely an inner process carried on within the realm of the mind. Could anyone directly take to this process with any measure of success? This is the question. No. This was not possible. A careful preparation was necessary before the individual could become fit to take up this process of Vritti-Nirodha.
Herein again they have displayed their deep knowledge of the nature and the behaviour of the mind and its relation and connection with the other aspects of the man’s being.
They know of the existence of the threefold factor of Mala or gross impurity, Vikṣepa
[9] or tossing of the mind and Avarana[10]or the veil of ignorance within the consciousness of the human monad.

Before one could assay to remove the Avarana he is to first overcome Mala and Vikshepa. The gross Tamoguna and Rajoguna supply is, as it were, the stuff for the fabric of Mala or psycho-vital impurity in the structure of man’s personality. The first four Angas of Patanjali’s Ashtanga Yoga were therefore directed at the total elimination of Tamoguna and Rajoguna from the individual Prakriti. This effectively achieved the removal of Mala and Vikshepa.
Observing that Tamoguna tyrannised the personality in the form of various impure and vicious tendencies,’ gross desire and disbeliefs, the first two steps in Raja Yoga, Yama and Niyama, were formed to counter this deficiency by the cultivation of the sublime virtues of truth, compassion, purity, non-stealing, desirelessness and the like, together with the active observance of external and internal cleanliness, contentment and cheerfulness in all matters, austerity, daily scripture-study and worship.”
[11]

Da questo insegnamento, citato nella sua integrità, ci sia consentito riproporre una frase oltremodo significativa:

“Could anyone directly take to this process with any measure of success? This is the question. No. This was not possible. A careful preparation was necessary before the individual could become fit to take up this process of Vritti-Nirodha.”

La soluzione del problema di come ottenere le necessarie qualificazioni, attraverso un’opera di purificazione, è rappresentata da Yama e Niyama:

“..the first two steps in Raja Yoga, Yama and Niyama, were formed to counter this deficiency by the cultivation of the sublime virtues of truth, compassion, purity, non-stealing, desirelessness and the like, together with the active observance of external and internal cleanliness, contentment and cheerfulness in all matters, austerity, daily scripture-study and worship.”

Concetti forti che  stimolano due ordini di riflessione:

  • E’ possibile intraprendere la Via dello Yoga direttamente con la pratica di Āsana e Prāṇāyāma senza un’adeguata adesione e realizzazione personale[12] dei principi definiti in Yama e Niyama?
  • Patañjali non ha forse previsto il Sādhanā pāda allo scopo di consentire, a coloro che non hanno già le qualificazioni idonee per affrontare direttamente Samādhi pāda, la realizzazione di un preliminare percorso di purificazione?

Senza nulla togliere ai sia pur importanti aspetti filologici ed interpretativi, forse esiste un campo d’indagine, di sperimentazione diretta e concreta, ancora largamente inesplorato da parte di coloro che si avvicinano alla Via dello Yoga. La lettura, studio e meditazione dei testi diventano in questo caso il progetto per la costruzione di un’Officina dove operare direttamente sul personale microcosmo con gli strumenti che lo Yoga ci mette a disposizione.

OM NAMO BHAGAVATE SIVANANDAYA

Fabio Milioni

divisore fantasia geometrica

[1]Secondo Monier Williams, pgg. 1200-1201:
dalla radice साध् [sādh ] to go straight to any goal or aim, attain an object, to be successful, succeed ; to bring straight to an object or end, further, promote, advance, accomplish, complete, finish;  [sādhanā] f. accomplishment , performance; [sādhaka] m. f. n. effective, efficient , productive of, accomplishing , fulfilling, completing, perfecting, finishing.

[2]Fonte: Special insights into Sadhana  1- pg.5 (“Sadhana means active effort. Yoga-abhyasa means active effort. It may be mental effort. It may be verbal effort. It may be physical effort. It may be all three combined. It may be a fourth kind of effort which is not covered by mental, physical and verbal effort. But it is all effort.).

[3]Śrī Svāmī Sivananda: “Sādhanā – The text-book of the psychology and practice of the techniques to spiritual perfection, The Divine Life Trust Society, Shivanandanagar, tenth ed. 2015

[4]Ibidem, pg. 11: “La Vita spirituale è faticosa e laboriosa. Richiede una Vigilanza costante e lunga Perseveranza prima [che possano ottenersi] progressi sostanziali .” Coloro che percorrono la Via occidentale della Tradizione non potranno non avere echi dal richiamo ‘ab initio’ a Vigilanza e Perseveranza.

[5]Ibidem, pg. 10: “Qualsiasi pratica spirituale è chiamata Sādhanā. Sādhanā e Abhyāsa sono termini sinonimi… Rendere  la natura inferiore  serva di quella superiore  attraverso la disciplina, Tapas, autocontrollo e meditazione. Questo è l’inizio della vostra libertà”.

[6]Ibidem, pg. 13: “”Un Raja Yogi sale lentamente sulla scala dello yoga attraverso gli otto passi.  Deve formarsi attraverso l’esercizio etico sin dall’inizio, allo scopo di purificarsi con la pratica di Yama e Niyama.”

[7]Ci si consenta di formulare, in forma dubitativa, una domanda  rivolta a chi, avendo già compiuto il percorso, può riscendere ad illuminarci: Karma yoga, cosa c’è  oltre ciò che è già espresso in tutti gli  Yama ed alcuni Niyama? Bhakti  yoga, cosa c’è oltre ciò che è già espresso in Īśvara praņidhāna? Jñāna Yoga, cosa c’è oltre ciò che è già stato espresso in Svādhyāyā? Indirettamente è lo stesso Sivananda che ci da la risposta, laddove afferma che: “E’ un dato di fatto che tutti e quattro gli Yoga [Jñāna, Raja, Bhakti e Karma] sono complementari e in definitiva operano rispetto a un processo integrale, senza compartimentazioni.” Ibidem, pg. 48

[8]Ahaṃkāra : termine che l’identificazione e l’attaccamento al proprio ego. N.d.c.

[9]Vikṣepa termine sanscrito traducibile con ‘proiezione’ nel Vedānta, dove insieme a āvaraṇa (potere d’illusione) rappresenta elemento all’origine dell’ignoranza (avidyā o ajñāna).  N.d.c.

[10]Āvaraṇa, termine sanscrito traducibile come l’occultamento o il velarsi di Brahman nella manifestazione. N.d.c.

[11]Ibidem, pgg. 47-48: “La quarta tecnica che è stata perfezionata è il Raja Yoga, lo Yoga della volontà, completamente e lucidamente esposta da Maharshi Patanjali nel suo Yoga Sūtra. Raja Yoga rappresenta la più scientifica, diretta sintesi  e  “Via tecnica”. Esso può essere paragonato all’ attaccare in leone direttamente nella  sua tana molto o prosciugare il fiume alla sua stessa sorgente. Abbiamo già visto che la coscienza egoica ha buon gioco utilizzando la mente. Si può dire che in primo luogo è il movimento di mente che rende possibile la manifestazione del principio d’identificazione con l’ego [Ahaṃkāra]. Ciò ha condotto logicamente alla conclusione che se il movimento della mente è completamente arrestato, si dovrebbe giungere naturalmente  ad una cessazione del gioco di Ahankara. Quindi è stato sostenuto che se la mente e le sue  onda iniziali o Vritti sono fatte oggetto di un  attacco diretto, ne deriva che si vince la battaglia, per così dire, direttamente nell’accampamento del nemico, in modo diretto conclusivo. La tecnica del Raja Yoga è stata edificata[da Patañjali] su questa solida premessa. Era costituita da un processo volto a stroncare sul nascere ogni qualsiasi ideazione. Annientando efficacemente sul nascere ogni movimento primario nel momento stesso in cui si manifesta. Abbiamo così come il primo Sūtra: “Yoga-chittavritti-nirodhah” [Yogaḥcittavṛttinirodhaḥ]. Il processo precedentemente descritto era in effetti estremamente sottile. Era puramente un processo interiore rivolto all’interno del dominio della mente. Qualcuno sarebbe in grado d’intraprendere direttamente questo percorso con una qualche speranza di successo? Questo è il problema.  No!  Ciò non era possibile. Prima che l’individuo possa avere le qualificazioni idonee ad intraprendere il percorso di Vritti-Nirodha era necessaria un’accurata  preparazione. Ancora una volta, qui ci è stata mostrata la loro profonda conoscenza della natura, del comportamento della mente e la sua relazione e connessione con gli altri aspetti dell’essere umano. Essendo a conoscenza, all’interno della coscienza della monade umana, dell’esistenza del triplice fattore rappresentato da Mala o impurità, Vikshepa [Vikṣepa] o oscillazione della mente ed Avarana [Āvaraṇa] ovvero il velo della non-conoscenza. Prima di essere in grado di rimuovere Avarana, si deve prima superare Mala e Vikshepa. Tamoguna e Rajoguna alimentano, in effetti, la sorgente di Mala, ovvero le impurità psichiche e vitali nella struttura della personalità umana. I primi quattro ānga dell’ Aṣṭāṅga Yoga di Patañjali sono stati pertanto diretti all’eliminazione totale di Tamoguna[Guna Tamas] e Rajoguna [Guna Rajas] dalla Prakriti individuale. Che consentono, in modo efficace, la rimozione di Mala e Vikshepa. Osservando che Tamoguna tiranneggia la personalità sotto la  forma di varie tendenze impure e viziose, desideri impuri e convinzioni errate, i primi due passaggi nel Raja Yoga, Yama e Niyama, sono stati definiti al fine di contrastare queste carenza mediante lo sviluppo di  virtù sublimi  quali  verità, compassione, purezza, non rubare, desideri impuri e simili, associati al rispetto attivo dei doveri relativi alla purificazione interna ed esterna, all’accontentarsi con letizia in ogni circostanza, l’ austerità, lo studio delle quotidiano Scritture e la devozione. “

[12]Quella che viene proposta è di fatto la realizzazione concreta di un’Opera di trasmutazione dall’Io al Sé. N.d.c.

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