La sua presenza scenica, la forza dei muscoli, l’espressività dei movimenti, la bellezza e la potenza delle pose plastiche, raccontano da sole tutta l’angoscia che i diritti umani violati, calpestati e vilipesi inducono nei prigionieri politici degli ayatollah in Iran. Rebecca Pelleri, studi tra l’altro alla Marta Graham di New York, riesce nel difficilissimo compito di rendere tutto questo credibile sulla scena. E lo fa benissimo.
Azan, la chiamata alla preghiera
In Iran i prigionieri politici sono costretti ad ascoltare la chiamata alla preghiera Azan. Oppure le grida angoscianti dei compagni di detenzione. O, ancora, il silenzio assoluto e inquietante. “La reclusione in isolamento, racconta la coreografa Tina Bararian, “è una prova profondamente angosciante per i detenuti politici in Iran e ha un effetto negativo sulla salute mentale e fisica dei prigionieri. In questo stato, la loro esperienza uditiva è limitata a quelle uniche tre esperienze – Azan, grida, silenzio – mentre i loro movimenti e il loro spazio sono limitati all'interno di un ambiente ristretto”.
Il tempo immobile e sconfinato
Rebecca Pelleri, con la chiamata alla preghiera che ossessivamente si ripete, riproduce con i suoi movimenti l’angoscia di chi non sa più come si muova il tempo. Il volto anch’esso espressivo e parte della coreografia racconta tutta la solitudine di uomini e donne perseguitati e vilipesi per le loro idee.
L’angusto spazio di una cella
La performance è un solo show di circa 7 minuti. Il palcoscenico è buio, si accende un cono di luce che delimita un ristretto campo circolare. E’ l’angusto spazio di una cella, in cui è confinata lei, una giovane donna, testa scoperta, senza velo, reclusa in attesa di essere giustiziata. I movimenti sono minimi, difficili, il corpo è devastato. Lei si esamina, si controlla attonita le mani, i piedi. Il silenzio è inquietante, rotto dalla chiamata islamica alla preghiera Azan” o dalle grida angoscianti dei compagni di detenzione. Improvvisamente, al canto di Azan”, lode a Allahu Akbar, la luce invade il palco e la prigioniera inizia a ballare al ritmo dalla nenia "Dio è grande".
L’invocazione della libertà
È una danza liberatoria, una sorta di catarsi, che parte piano per aumentare sinuosamente seguendo il loop scandito dalle parole, sempre più vorticoso. Lei si lascia trascinare, volteggia, ondeggia, con un atteggiamento irriverente, misto di paura e sfida. Sono gli ultimi gesti di una condannata per invocare la propria libertà, prima di cadere stremata a terra e realizzare di essere ancora in cella. Un paio di colpi violenti alla porta annunciano che non c’è più scampo, stanno per portarla all’esecuzione, la fine è arrivata insieme al buio che, come apre, chiude la performance.
La modalità sopravvivenza
The Box analizza la trasformazione degli istinti umani dalla modalità naturale a quella di sopravvivenza. “Alcuni prigionieri, come Toomaj (un rapper iraniano), subiscono gravi torture, mentre altri, come Vahid Afkari, sono stati in isolamento per 1.000 giorni”, per poi essere giustiziati, spiega ancora Bararian.
Una forma di tortura
Azan è la chiamata alla preghiera; "è un canto bellissimo ed eloquente di lode a Dio”, dice Bararian. “Allahu Akbar significa Dio è grande. Il governo utilizza queste preghiere come una forma di tortura per alcuni di questi prigionieri politici, una tortura era ampiamente utilizzata negli anni '80. Ballare le preghiere è considerato un peccato dagli estremisti, poiché queste preghiere sono considerate divine e non dovrebbero essere associate a nessun ballo o movimento artistico”. Ecco perché, una volta di più, si tratta di movimenti e gesti di grande potenza.