Nelle stanze dell’arte di Lia De Venere con vista sul carcere: “Qui è come viaggiare tra inferno e paradiso” - la Repubblica

Bari

Nelle stanze dell’arte di Lia De Venere con vista sul carcere: “Qui è come viaggiare tra inferno e paradiso”

Nelle stanze dell’arte di Lia De Venere con vista sul carcere: “Qui è come viaggiare tra inferno e paradiso”

Per anni docente di storia dell’arte all’Accademia di belle arti a Bari e all’Università, e curatrice di mostre in Italia e all’estero, abita al quinto piano di un palazzo anni Cinquanta

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Questa non è una torta. Lo sembrerebbe, invece: una fetta di torta panna e amarena, piattino, cucchiaino, posata sul tavolino del salone. E quello adagiato su un libro (che libro non è), non è neanche un fazzoletto ricamato. La prima è un’opera di Dario Agrimi, la seconda di Franco Granito. Laggiù, sottovetro, appeso al muro, parrebbe un insetto, che ha pure un nome: Diptera Aurea, ma è un’opera d’arte anche quella, una ricostruzione di pseudo insetto inventato fatto di foglie secche e una lampadina, opera di Nicola Genco (che ha realizzato anche i fiori in ceramica bianca a stelo lungo, che ondeggerebbero pure, se solo ci fosse vento). Siamo, di fatto, entrati nella casa di Lia De Venere, che è stata docente dell’Accademia di belle arti a Bari, dell’Università per decenni, e ancora e sempre è curatrice e narratrice di Arte, e dunque un itinerario domestico nella contemporanea (ma non solo, scopriremo) produzione artistica c’era da aspettarselo.

Ciascuna opera è un pezzo della sua esistenza, soprattutto professionale, allestimenti, curatele, cataloghi, incontri. Alcune parlano delle famiglie di provenienza sua e di suo marito Rosario Paone, architetto (anche il loro figlio Andrea lo è). Allora un piccolo salto nell’architettura ci sta, perché Lia, che studia e studia minuziosamente tutto, ha scoperto che il palazzo in cui abitano dal 2008 fu progettato da Tonino Cirielli, architetto nato nel ’29 che a Bari, nel suo breve volo, lasciò disegnato anche il palazzo della Saicaf e collaborò a quello della libreria Laterza. E non è soltanto il palazzo, ha passato al vaglio anche le mutazioni toponomastiche intercorse nel suo nuovo quartiere. La curiosità è curiosità, d’altronde: «Mi piace dire che abito tra l’inferno e il paradiso».

Per capire le sue parole occorre scostare la tenda del salotto e, travalicato il viale, non poter non vedere quello che, in effetti, è indubitalmente il carcere di Bari. «Appena venuti ad abitarci, sempre pensavo che il giorno in cui fosse scoppiata una rivolta, i detenuti sarebbero venuti a bussare alla mia porta. Poi la rivolta ci fu, ai tempi del Covid, ma nessuno di loro uscì. Piuttosto mi colpivano sempre i parenti, costretti a lunghe fila per ore e ore per entrare a incontrarli, sotto le intemperie, sotto lo sguardo di tutti. Adesso le cose sono cambiate, per fortuna». E il paradiso, dov’è?

«Dal lato opposto, largo 2 Giugno, ma anche questo viale alberato qui sotto, in città abbiamo poco verde pro-capite, quindi siamo più che fortunati». L’appartamento, al quinto piano, è luminoso e tranquillo, «a questa casa voglio bene, non mi dà preoccupazioni, e poi è l’approdo di una fase finale della mia vita». Per cui è possibile, scaffale dopo scaffale, cogliere i capitoli, ordinati per temi (gli oggetti in vetro, quelli religiosi, quelli di famiglia) e ai muri ricordi di viaggi di suo marito in Iran, in Yemen per restaurare monumenti, spesso lei stessa lo ha seguito. Ma non può non catturare una imponente teoria bronzea di danzatori e suonatori (s’intitola La Piedigrotta), che scopriamo avere tutta una sua storia in quanto opera di Francesco De Matteis, scultore leccese di fine Ottocento, che testimonia dell’amicizia tra il nonno napoletano di suo marito, Antimo De Martino, che a lui commissionò la realizzazione della tomba paterna. Piedigrotta che è stata anche pezzo di punta di una personale dedicata allo scultore al Must di Lecce.

I libri sono molti, e molti sono cataloghi, alcuni firmati da vere star come Damien Hirst con tanto di teschio e da Jeff Koons, volumi d’arte che Lia vorrebbe organizzare in un fondo da destinare a una biblioteca pubblica. Il verbo organizzare sta molto bene, del resto, alla padrona di casa. Nel frigo, nuovo di zecca, frutta, verdura, yogurt e il suo peccato: il cioccolato. Ancora opere in giro: Masiello, De Palma, Liberatore, Moscara, Pompili, Dellerba, Iurilli, Ruju (dimenticheremo probabilmente qualcuno, ma tutti sappiano che qui hanno una collocazione de roi che consente loro il giusto spazio e, sempre, un generoso racconto).

L’ordine è ragguardevole. «Personalmente combatto con la polvere, che spesso figura nelle nature morte, le cosiddette Vanitas, assieme alle candele, agli strumenti musicali, ai fiori, come allusione alla finitezza della vita, al passaggio, al destino». Tutto molto chiaro. E anche il granello di polvere (che non c’è) non poteva non meritare un’esegesi.

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