Che il dibattito pubblico sul femminismo si faccia sempre più acceso proprio mentre in diversi Paesi d’Europa – Italia inclusa – i partiti di destra raccolgono ampi consensi, potrebbe non essere un caso. L’anno corso la Polonia ha praticamente abolito il diritto all’aborto, mentre qualche settimana fa in Ungheria studiosi vicini al premier Viktor Orbàn hanno presentato un documento in cui spiegano come l’alto livello di istruzione femminile sia un problema per la natalità e, quindi, per il Paese. La difesa dei diritti delle donne non è, notoriamente, in cima alla lista delle priorità dei governi di destra. E poiché il presente è radicato nel passato, ecco che Mirella Serri, già docente di Letteratura italiana contemporanea, saggista e giornalista, a 100 anni dalla marcia su Roma del 27 ottobre 1922, manda in stampa Mussolini ha fatto tanto per le donne! Le radici fasciste del maschilismo italiano (Longanesi, 19 euro).

Lettura per molti versi sconvolgente soprattutto perché, al di là delle cose interessantissime che racconta sul rapporto personale e politico del Duce con il sesso femminile, mette in luce quanto cambiare la mentalità di un Paese sia un processo molto più lento e complesso di quello necessario per modificarne la legislazione.

Lei sottolinea che la mentalità maschilista persiste in Italia anche dopo la fine del regime, non come «espressione del mondo cattolico-agricolo-patriarcale prefascista, ma di un universo modellato dall’esperienza mussoliniana». Si riferisce alle leggi emanate (o osteggiate, come quella per il diritto di voto) oppure alle azioni e alle parole del Duce?

Mi riferisco a entrambe. Abbiamo sempre dato grande rilievo all’impatto delle norme emanate in quegli anni, penso al Codice Rocco ancora in vigore. Abbiamo attribuito il maschilismo al patriarcato, all’arretratezza del mondo agricolo, alla Chiesa. E certamente quest’ultima ha grandi responsabilità, soprattutto sul rapporto delle donne con il corpo e il sesso. Ma io credo che la mentalità che si affermò in quegli anni, cioè il cosiddetto maschilismo di Stato, con la progressiva estromissione delle donne dal mondo del lavoro, la sua glorificazione come madre, il linguaggio sessualmente offensivo, abbia contribuito di più.

Siamo agli inizi del Ventesimo secolo, il maschilismo era ovunque. Citando Sesso e carattere, testo da cui Mussolini fu grandemente influenzato, in cui nel 1912 l’austriaco Otto Weininger sosteneva l’inferiorità della donna, lei lo definisce «libro-cibo quotidiano dei giovani svizzeri, francesi, inglesi, tedeschi e austriaci». Eppure in questi Paesi si è poi dato spazio a un pensiero diverso, come mai?

La Gran Bretagna e la Francia erano democrazie: negli stessi anni in cui il fascismo limitava alle italiane l’accesso all’istruzione e all’insegnamento, le francesi si iscrivevano all’università. In Germania, poi, c’è stato un Sessantotto molto più efficace del nostro: i giovani hanno denunciato la collusione dei loro padri con il nazismo, hanno messo sotto accusa la generazione precedente. In Italia non è accaduto: nelle assemblee si usava la parola fascismo solo per provocare gli avversari. Inoltre, un certo tipo di pensiero reazionario può nascondersi per qualche tempo e poi tornare con qualche variante: penso, per esempio, al rapporto con il corpo femminile che si è imposto nell’Italia del berlusconismo.

In un’ottica femminista, tra le caratteristiche delle destre moderne quali le sembrano derivanti dal pensiero fascista?

Lo slogan usato da Giorgia Meloni durante la campagna elettorale, “Dio, Patria e Famiglia”, risale al Ventennio. E non a caso la leader di Fratelli d’Italia parla di famiglia e non famiglie al plurale, come si dovrebbe fare oggi. Anche la sua affermazione “Sono una donna, sono una madre” è un’eredità di quegli anni: donna non vuol dire solo essere madre, ma avere un peso sociale grazie al proprio lavoro e la propria emancipazione.

Mussolini ha fatto tanto per le donne! Le radice fasciste del maschilismo italiano

Mussolini ha fatto tanto per le donne! Le radice fasciste del maschilismo italiano

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Verrebbe da tracciare un parallelismo con il “femminismo maternalista” di cui Margherita Sarfatti, intellettuale, amante e consigliera del Duce, era fautrice negli anni Venti.

Il femminismo maternalista si opponeva a quello emancipazionista: secondo la Sarfatti, e non solo lei, il compito delle donne era cambiare la società attraverso la funzione materna, espressione massima della natura femminile. Il parallelismo però non funziona perché mentre Sarfatti, almeno nei suoi anni socialisti, si definiva femminista, non mi pare che Meloni né altre leader di destra come la francese Marine Le Pen o la statunitense Sarah Palin possano dirsi tali. Essere femminista vuol dire includere nel proprio programma politico azioni rilevanti a favore delle donne. Ciò detto, la sinistra italiana non è certamente esente da errori, perché non ha mai espresso una leadership femminile forte, né realmente candidato una donna alle massime cariche.

Cento anni fa il giornale La voce di Prezzolini si opponeva al suffragio universale, sostenendo che fosse più produttivo occuparsi delle violenze in famiglia, poiché «proliferavano le uccisioni delle donne». Oggi i quotidiani riportano ogni giorno casi di femminicidio...

All’epoca non venivano nemmeno documentati, usare violenza su mogli e amanti era pratica quotidiana, non suscitava forti reazioni. Mussolini lo faceva regolarmente, piantò un coltello nel braccio di Giulia Fontanesi, molto probabilmente ebbe rapporti sessuali con la giovane figlia di Margherita Sarfatti. Una volta diede a Claretta Petacci uno schiaffo così forte che la rese sorda per giorni. Quando veniva picchiata, la Petacci era soccorsa dal maggiordomo, che però nelle sue memorie dà scarsa rilevanza a questi abusi. In generale, molti degli episodi di violenza che racconto nel libro non hanno mai ricevuto grande attenzione, forse perché a uno sguardo maschile non sono apparsi così gravi.

Il linguaggio sessualmente violento è piuttosto diffuso, soprattutto online. È anche questo un lascito del Ventennio?

Mussolini definì le donne “orinatoi del sesso forte”. E nei documenti che riportano la discussione in Parlamento sulla proposta di voto femminile alle amministrative, si raccontano le risate e le battute volgari dei deputati. Non credo sia un caso che il linguaggio sessualmente offensivo, online e non, sia usato in maniera prevalente dalla destra: dai simpatizzanti, ma anche dai politici.

Perché ritiene importante conoscere ciò di cui lei scrive?

Perché in tutta Europa stiamo assistendo a revival di stereotipi maschilisti di stampo fascista che ci portano lontani dalla contemporaneità, dalla civiltà, dal progresso. In poche parole, ci allontanano dal mondo occidentale.