Noi Recensione

Noi: Jordan Peele tra gli anni Ottanta e l'oggi, tra angoscia, disorientamento e metafore collettive e singolari

28 marzo 2019
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Il nuovo film del regista di Get Out Fa paura - o meglio, mette una gran ansia addosso - ed ha uno spessore politico che va oltre la lettura più immediata e diffusa.

Noi: Jordan Peele tra gli anni Ottanta e l'oggi, tra angoscia, disorientamento e metafore collettive e singolari

Tra le immagini ricorrenti del cinema horror, quella in cui un volto familiare e amico - e soprattutto teoricamente innocente - si trasfigura con un sorriso che rivela invece la presenza del Male, è una di quelle che mi hanno sempre perturbato di più. Volti di bambino, di qualcuno che conosciamo e amiamo, a volte quello dello stesso protagonista: e, quindi, il nostro.
Chiunque abbia visto anche solo il trailer di Noi, potrà quindi ben capire come, con questo suo nuovo film, Jordan Peele giocasse facile col sottoscritto.
E però, in un film che lavora in maniera così evidente e spudorata, eppure anche così nuova e complessa, sul tema del doppio, non sono stati solo quei momenti e quelle immagini a convincermi e conquistarmi.

Se nel ripensare a certi sorrisi, nel dopo proiezione, sentivo qualche brivido correre lungo la schiena, nel durante di brividi non ne ho provati: ma solo perché Peele è così bravo a creare un'atmosfera carica di angoscia e di suspense fin dai primissimi minuti, e di tenerla fino alla fine, che sulla poltrona del cinema finisci per l’essere troppo teso per i brividi.
Non ci sono facili jump scares, in Noi.
Non è un assalto brutale, quello dei doppelgänger di Peele, ma più uno stillicidio affilato e sottile di situazioni che si fanno via via più articolate, e in qualche modo complesse, che per noi che guardiamo sono una vera e propria sfida, che non riguarda tanto la resistenza, quanto l'orientamento.

Perché per quanto, in fondo, la sua trama sia essenziale, e a un livello di lettura letterale e superficiale ci siano alla fine tutte le spiegazioni che servono per capire il perché e il percome delle cose che stanno accadendo sullo schermo, Noi è uno di quei film che, sostituendo costantemente quello che è familiare e conosciuto con qualcosa di simile ma alieno (e non riguarda solo i doppelganger della famiglia Wilson), ti spingono scena dopo scena a riconsiderare quello che hai creduto di capire fino a quel momento, che ti fanno venire dubbi su quello che Peele stia raccontando veramente.
A pensarci bene, perfino il twist finale - piuttosto sorprendente - non è davvero chiarificatore di alcunché. Anzi.

Scendere nel dettaglio evitando di rovinare la visione a chi sta leggendo, ma al cinema ancora non è andato, non è facile. E ci sono quindi molti aspetti del film, dei suoi significati nascosti e metaforici, che magari avremo modo di affrontare altrove.
Per ora, limitiamoci a quel poco che è appunto deducibile dalla sinossi e dal trailer, con qualche piccola aggiunta.
Nel 1986, l'anno in cui si tenne quell'evento di beneficenza un po' peloso che si chiamava Hands Across America, in cui era ancora sensibile l'influenza di "Thriller" di Michael Jackson e del videoclip diretto da John Landis, Peele ambienta un prologo che racconta di un evento traumatico accaduto a una bambina, per poi passare ai giorni nostri e a raccontare dei Wilson, la famiglia nera borghese che va in vacanza in una casa nei pressi di Santa Cruz, e dell'arrivo dei loro malvagi doppelgänger.
Così come accaduto in Scappa - Get Out, anche Noi è spesso venato da un umorismo tra il demenziale e il bizzarro, perché in fondo Peele viene da lì e non si vergogna di ricordarlo: e come in quel caso, anche in questo gli alleggerimenti non annacquano mai la tensione, ma anzi in qualche modo contribuiscono alla sua tenuta.
Ma se il film che è valso a Peele l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale era un film chiaramente connotato dal punto di vista della questione razziale, demistificando l'illusione di un'America post-razziale negli anni dell'obamismo, qui il regista sembra quasi contraddirsi, eliminando ogni riferimento a quella questione per raccontare qualcosa di diverso ma ugualmente complesso, e più universale.

Noi fa paura. Regala un sincero sentimento di angoscia, e lo fa ovviamente con l'abilità di Peele di giocare con tutti gli strumenti a disposizione di un bravo regista: dalla creazione di un universo narrativo articolato e coerente (come dimostrano i mille riferimenti interni che qui non possiamo elencare per ragioni di spoiler) all'uso delle musiche (quasi kubrickiano in alcune scene, e Shining è anche un riferimento visivo), passando per il timing, la direzione degli attori, e l'uso della macchina da presa e del montaggio.
Ma lo fa ancora di più perché rilancia sempre di fronte alla domanda chiave del film, e alla sua possibile risposta: chi sono i doppelgänger, e perché sono lì?

Oltre alla spiegazione letterale, e tutto sommato ben poco soddisfacente, offerta da Peele, c'è ovviamente un primo grado d'interpretazione metaforica che vede in qui doppi malvagi tutta quella fascia di popolazione rimossa, dimenticata o nascosta dall'America che organizzava manifestazioni di beneficenza che sembravano "brutte performance artistiche" ma che ha comunque fatto di tutto affinché si spalancasse le forbice sociale che divide chi sta bene (come i Wilson) da chi sta male. Chi ha molto o troppo, e chi ha poco o niente.
Ma, ancora oltre, negli occhi e nei gesti di quei doppi, i Wilson, e noi con loro, ritrovano un rimosso che è più personale, e più disturbante. Qui l’interpretazione non è più solo socio-economica e collettiva, ma intima e singolare: sia per quanto riguarda il ruolo svolto da ognuno nel far sì che quella forbice si divaricasse, sia per questioni più psicanalitiche e esistenziali.

Allora, ecco che il lottare per la sopravvivenza contro sé stessi raccontato da Noi torna a significati che sono al tempo stesso immediati e superficiali, e complessi e profondi. Resi ancora più ingarbugliati dal progressivo svelare le carte di Peele, e da quel ribaltamento nel finale che potrebbe assumere tanti diversi significati.
E alla fine, ecco che Noi e i suoi doppelgänger potrebbero essere un grande test di Rorschach per tutti noi (e soprattutto - ricordate il 1986? - per la generazione di Peele, di cui faccio parte anche io): ognuno ci vede quello che ha dentro, nel suo inconscio. I suoi errori, i suoi orrori, le sue paure.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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