I migliori film di Nicholas Ray: la nostra Top 10 - LongTake - La passione per il cinema ha una nuova regia
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I migliori film di Nicholas Ray: la nostra Top 10

«I miei eroi non sono più nevrotici del pubblico, a meno che non si pensi che un eroe commetta errori come tutti, e che le persone facciano i suoi stessi errori. Non si proverebbe soddisfazione quando compie un gesto eroico. Allora si potrà dire: diavolo avrei potuto fare anch'io la stessa cosa. È questo che il regista o uomo di teatro deve fare, dare un profondo senso della realtà alle persone che pagano per andare a vedere il suo lavoro».

Cantore dell'isolamento sociale, del rifiuto delle convenzioni, della ribellione della gioventù americana, autore di un cinema dal taglio fortemente personale che lo porterà a rivisitare in chiave spiazzante i cardini del cinema classico americano e i suoi pilastri portanti, dal melodramma al western: 110 anni fa nasceva Raymond Nicholas Kienzle alias Nicholas Ray (7 agosto 1911 — 16 giugno 1979). Per celebrarlo, ecco una top 10 dei suoi migliori film!


10) Vittoria amara (1957)

È il secondo film di guerra girato da Nicholas Ray, dopo I diavoli alati (1952), ma gli stilemi classici del genere bellico lasciano spazio a un melodramma dove il vero conflitto non è tra Alleati e tedeschi, ma è quello interiore che alberga nell'animo umano. Calato nella suggestiva ambientazione di un deserto che si fa luogo simbolico, è una riflessione sul coraggio e la viltà, sulla morte e sulla guerra come meccanismo di progressiva disumanizzazione. Un crudo apologo pacifista antieroico che fa prevalere la psicologia sull'azione.


9) Il dominatore di Chicago (1958)

Nicholas Ray s'inserisce nel ricca produzione di gangster movie della seconda metà degli anni Cinquanta con un'opera di sfrontato romanticismo, decisamente audace nella rappresentazione dell'universo brutale in cui annaspano i due outsider protagonisti. È una favola adulta che racconta la redenzione di una coppia di antieroi disillusi e non più giovani, regalando una baroccheggiante ricostruzione d'epoca e un villain d'antologia che sembra anticipare l'Al Capone/Robert De Niro de Gli intoccabili. In questa sinfonia di morte caratterizzata da accesi scoppi di violenza ed elementi disturbanti insoliti in quegli anni, si vede la maturità di un regista abile a disegnare i personaggi e a sfruttare il simbolismo di scenografie e colori.


8) Il temerario (1952)

Due anni prima di rivisitare il western con quel film sublimemente anticonformista che sarà Johnny Guitar (1954), Nicholas Ray racconta una storia che ha il profondo Ovest come ambientazione ma si colloca in epoca contemporanea, disegnando il ritratto di un'America dolente e autunnale. Il microcosmo del rodeo è superbamente descritto con minuzioso realismo (grazie anche al supporto di immagini di repertorio) e si fa dimensione nostalgica e terminale del maschio americano. Ray si ribadisce autore maturo, filmando un'opera caratterizzata da un ritmo disteso, una regia solida e un bianco e nero che, usato là dove ci aspetterebbe un technicolor fiammante, dona un'ulteriore patina di amarezza.


7) Il diritto di uccidere (1950)

Al quarto film, Nicholas Ray confeziona un noir teso e pessimista, giocato su ottimi dialoghi e su due splendidi protagonisti. Mentre Humphrey Bogart incarna con efficacia un personaggio che diviene sempre più controverso fino a porre allo spettatore gli stessi dubbi che tormentano la protagonista, è soprattutto Gloria Grahame a incarnare un sublime ritratto femminile distante dai cliché. Ray sembra quasi voler capovolgere gli stilemi del genere e trasforma Il sospetto (1941) di Alfred Hitchcock in un torbido dramma sulla violenza insita nella natura umana (con riferimenti ai traumi della guerra). 


6) La vera storia di Jess il bandito (1957)

Quando Nicholas Ray si accosta alla storia del bandito più famoso del West, esistono già numerosi film a lui dedicati, tra cui il più celebre è senz'altro Jess il bandito di Henry King (1939). Il film di Ray riadatta quella stessa sceneggiatura, scritta da Nunnally Johnson, in un remake che pone l'accento sull'impetuosità giovanile dei suoi protagonisti e sul loro destino di miti popolari idolatrati dalle masse. Il film frammenta la narrazione in flashback e si arricchisce di momenti spettacolari talvolta violenti (era ancora raro, negli anni Cinquanta, vedere il sangue nelle scene di morte). Più che un western, è un racconto di formazione dai risvolti tragici. Si dice che, se non fosse morto in un incidente stradale nel 1955, sarebbe stato James Dean a interpretare il protagonista; per lo stesso ruolo, pare, si fece persino il nome di Elvis Presley.


5) Dietro lo specchio (1956)

Dietro lo specchio è tratto da un episodio reale raccontato nel 1955 sul New Yorker in un articolo intitolato Ten Feet Tall di Berton Roueché, e fu prodotto dallo stesso protagonista James Mason, che collaborò anche alla sceneggiatura con Nicholas Ray (entrambi non accreditati). Calato in un confezione impeccabile, è il racconto nerissimo della discesa nella follia di un uomo qualunque. Il protagonista, incarnato da un ottimo Mason, scivola progressivamente in una megalomania parafascista ed edipica (compresa di sfida alla divinità), che svela quello che la pellicola rappresenta al di là del suo inserimento in un genere cinematografico: un affondo alla mentalità borghese americana, all'istituzione familiare, alle presunte certezze del progresso scientifico.


4) La donna del bandito (1948)

Fulminante opera prima di Nicholas Ray. È il film che crea l'archetipo del gangster movie incentrato sulla coppia criminale, ripreso al cinema infinite volte da Gangster Story (1967) a Getaway! (1972), da La rabbia giovane (1973) ad Assassini nati (1994). Il filone si richiama alle imprese di Bonnie e Clyde, ma gli eroi di Ray non sono colpevoli bensì vittime, angeli perduti fagocitati da una società brutale e da un sistema insensibile. In un'atmosfera tesa che il regista disegna con notevole modernità registica (vedi l'inseguimento ripreso da un elicottero), la parabola tragica e disperata dei protagonisti si tinge di poesia e porta in scena i prodromi di quel disagio giovanile che Ray racconterà più avanti, come nessuno prima di lui, in Gioventù bruciata (1955).


3) Nick's Movie – Lampi sull'acqua (1980)

La più estrema delle avventure wendersiane ha il nome e il cognome di uno dei massimi registi del cinema americano di tutti i tempi: Nicholas Ray. I due registi, amici sinceri e compagni di backgammon fin dalle riprese de L'amico americano, si ritrovano in questo film vicinissimi, compagni di cammino in una terribile e illuminante catarsi filmica. Di Ray, Wenders filma con uno sconvolgente atto di coraggio gli ultimi giorni di vita, segnati dalla lacerante sofferenza fisica e da una lucida ricerca interiore. Trattasi di un film costantemente in equilibrio tra la realtà corporea e la “realtà finzionale”, tra la materia del volto scavato di Nicholas Ray e la materia della pellicola, tra il desiderio di rappresentazione e l'urgenza di reale. La devastata fisicità del regista malato, continuamente esposta all'occhio impietoso della macchina da presa, scardina ogni tentativo messo in atto da Wenders di dare un ordine, una logica, una pulizia al film.


2) Gioventù bruciata (1955)

Tutto inizia nel 1947: un giovane Marlon Brando fa un provino per uno script tratto dal saggio Rebel Without a Cause di Robert M. Lindner, ma rifiuta la parte e il progetto si arena. Anni dopo, Nicholas Ray stravolge il soggetto e Stewart Stern riscrive i dialoghi: in un'America che mostra i primi segni di cambiamento e insofferenza, la stella nascente James Dean è perfetta per dare volto al fragile e tormentato Jim Stark. Il risultato è un manifesto generazionale che deflagra come un ordigno sul pubblico e si impone quale vero e proprio cult. Ray empatizza ogni minuto con i suoi eroi teneri e ribelli e, costringendoli in claustrofobiche e modernissime inquadrature oblique, li cala in un racconto di formazione dove il passaggio all'età adulta passa inevitabilmente sotto il segno della morte. Per Dean, sensuale e nevrotico “eroe baudelairiano” (come lo definì Truffaut), è la definitiva consacrazione a icona culturale: una fama postuma, dal momento che, il 30 settembre 1955, un fatale incidente in auto lo farà entrare per sempre tra le leggende della settima arte.


1) Johnny Guitar (1954)

Se un regista innamorato del melodramma e anticonformista si accosta a un sistema codificato come quello del western, è lecito attendersi qualcosa di molto personale. Ma Nicholas Ray arriva addirittura a stravolgere tutte le regole, ribaltando i ruoli maschili e femminili e mettendo alla berlina la dimensione più virile e conservatrice del genere, con una trama incentrata sullo scontro tra due donne e su un uomo che non porta la pistola. Eppure, benché all'uscita fu paragonato a una soap opera, Johnny Guitar è uno dei più grandi western della storia del cinema. Per i suoi dialoghi, più letali di una sparatoria, per le tante scene cult, di cui basta citare quella con Vienna biancovestita che suona il pianoforte e per la sua atmosfera spudoratamente mélo. Risultato: se in America fu guardato con disprezzo, i critici francesi se ne innamorarono e sia François Truffaut che Jean-Luc Godard lo omaggiarono più volte nei loro film. Una Crawford mai così fulgida ci lascia un memorabile ritratto di donna, ma funestò il set con i suoi capricci.

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