Nadia Nadim, la storia della calciatrice afghana che ha inseguito la libertà

È fuggita dal suo Paese di origine per inseguire la libertà e ce l'ha fatta. Oggi Nadia Nadim è una calciatrice di successo ed è il simbolo dei rifugiati del mondo

Foto di Sabina Petrazzuolo

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

È una storia che parla di coraggio, di riscatto e di resilienza, quella che si cela dietro al nome di Nadia Nadim, attaccante del Racing Louisville e della nazionale danese. Gli sportivi, e gli amanti del pallone, conosceranno sicuramente la calciatrice afghana naturalizzata danese, se non per le sue vicende personali, sicuramente per i successi raggiunti durante la sua carriera.

È il numero 9, quello che ha indossato per quasi 100 partite, a parlare di lei, per lei. Nadia è l’attaccante della nazionale femminile della Danimarca. Ha giocato nel Manchester, nel Paris Saint-Germain e, ancora, nel Racing Louisville.

La sua carriera, dicevamo, precede il suo nome. Tuttavia è ciò che si nasconde dietro il successo della calciatrice ad averci colpito, quella storia fatta di paura e di terrore, di dolore, ma anche di rinascita e libertà. Nadia, infatti, è nata a Herat, in Afghanistan, e dal suo Paese è dovuta fuggire per inseguire il sogno di avere un futuro migliore. Quello che adesso le appartiene.

Chi è Nadia Nadim

Nata il 2 gennaio del 1988 a Herat, in Afghanistan, Nadia ha manifestato una certa passione per lo sport, e per il calcio in generale, sin da bambina. È stato suo padre a donarle il primo pallone, lo stesso con il quale lei giocava nel cortile di casa, lontano dagli occhi sempre vigili di una società che ripudia il calcio, e che considera questo sport come un prodotto per la distrazione di massa e la colonizzazione occidentale.

Ma Nadia comunque giocava, lo faceva sempre di nascosto a casa sua. E ha continuato a farlo fino a quando, nel 1998, ha dovuto sperimentare il dolore più grande che una bambina possa mai provare, la morte di un genitore. Suo padre, che era un militare, fu arrestato dai talebani e ucciso. Fu allora che Nadim, insieme a sua madre e alle sue quattro sorelle, fu costretta a lasciare il Paese, per fuggire dal terrore, per provare a ricominciare, insieme, da un’altra parte.

La famiglia Nadim ha trovato così rifugio in Danimarca, il Paese che l’ha ospitata e le ha dato una seconda chance. Qui, Nadia ha potuto ricominciare a giocare a pallone. Questa volta, però, facendolo alla luce del sole. Si è iscritta al liceo Marseliborg e poi all’Università di Aarhus, e se di giorno studiava e dava gli esami, di notte saliva in sella alla sua bicicletta per lavorare consegnando giornali. Ha continuato anche a giocare, Nadia, fino a quando ha coronato il suo sogno: quello di diventare una calciatrice.

Il riscatto di Nadia

Non è stato un percorso in discesa, quello di Nadia, la bambina che è diventata donna troppo in fretta ma che, nonostante tutto, non ha smesso di credere in un futuro migliore. “Se si ha il coraggio di sognare, bisogna farlo in grande”, ha raccontato la calciatrice ospite a TEDxAmsterdamWomen.

Oggi, quel passato fatto di dolore, paura e difficoltà è un lontano ricordo che però non si può dimenticare. Non lo farà di certo Nadia che oggi lo utilizza non solo per ricordarsi ogni giorno di tutto ciò che è riuscita a costruire nella sua vita, ma anche affinché la sua storia possa diventare un esempio per gli altri. “Per me è molto importante sapere di essere un modello per tante ragazze in difficoltà”, ha dichiarato la calciatrice, che oltre a essere ambasciatrice per l’Onu è diventata l’emblema della speranza di tutte le donne che pagano l’unica colpa di essere nate nel posto sbagliato.