Most likely to die, la recensione dello slasher di Anthony DiBlasi Recensione

Most likely to die, la recensione dello slasher di Anthony DiBlasi Recensione

Un gruppo di compagni di università si riunisce dopo dieci anni e diventa vittima di un serial killer in Most likely to die, slasher di Anthony DiBlasi.

Most likely to die, la recensione dello slasher di Anthony DiBlasi Recensione
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Spesso le reunion tra compagni di scuola non sono esattamente quegli eventi di festa e bisboccia che sarebbe lecito aspettarsi, ma il destino che attende i protagonisti di Most Likely to Die si eleva comunque al di sopra di ogni più infausta previsione. In questo slasher a basso costo diretto da Anthony DiBlasi -regista attivo sin dal 2009 nel sottobosco dell'horror indipendente americano- la decisione di alcuni compagni di università di rivedersi dieci anni dopo la scuola, in una villa isolata tra le montagne di proprietà di uno di loro, non si rivela infatti la scelta più azzeccata: un serial killer mascherato è pronto ad iniziare la sua mattanza, e le sue motivazioni sembrano ricollegarsi proprio al passato del gruppo di amici e al loro periodo di studio. Impossibilitate a fuggire, le vittime designate dovranno cercare di sopravvivere ad una notte di terrore, e di scoprire l'identità dello spietato assassino.

La morte non aspetta

Le vie dello slasher non sono certo infinite ma un guizzo di originalità in più non avrebbe guastato nella stesura dello script, costruito sugli archetipi che hanno fatto le fortune del filone negli anni '90. Negli ottanta minuti di visione, ambientati per la loro totalità nella villa del massacro e negli sporadici spazi aperti nei pressi dell'abitazione, più che da Scream (1996) sovvengono alla memoria citazioni narrative da un altro titolo a suo modo cult, quale So cosa hai fatto (1997). Peccato che i limiti di budget di Most likely to die (disponibile su Netflix) si riflettano anche in un anonimato registico in cui la tensione è la più grande e ingiustificata assente, nonostante una manciata di inquadrature sulla carta potenzialmente riuscite. A mancare è però un sanguigno pathos che ci porti a temere per le sorti dei personaggi, vittime di caratterizzazioni poco oculate. Nel gruppo di protagonisti, interpretati per altro da un cast volenteroso ma non sempre convincente, troviamo infatti gratuiti omaggi alla diversità di genere, con un afroamericano (una volta tanto non il primo a lasciarci le penne) e ben due omosessuali di entrambi i sessi a speziare l'insieme di vittime predestinate: non si trova però la necessaria profondità introspettiva, in dialoghi che forzano oltremodo i rispettivi background e pullulano di vecchi rancori e tradimenti risalenti ai tempi universitari. Il look del serial killer, con tanto di tenuta da novello laureato e un'inquietante maschera sul volto, si rivela discretamente azzeccato, ma la rivelazione finale sulla sua reale identità lascia il tempo che trova, dimostrandosi più inverosimile che realmente motivata.

Most Likely to Die Uno slasher con più infamie che lodi, quello diretto da Anthony DiBlasi, che sfrutta malamente il già limitato budget con una messa in scena scarna e poco credibile, difetto questo da condividere con la sceneggiatrice Laura Brennan. Most likely to die guarda agli anni '90 nella gestione di trama e personaggi ma si perde ben presto in situazioni improbabili che smorzano la potenziale tensione di partenza, con qualche vago sussulto a cercare di variare una narrazione fin troppo lineare, il cui presunto colpo di scena non fa che confermarne la debolezza strutturale.

4.5

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