Lo sguardo freddo e intenso, il portamento elegante, la voce profonda e poi il talento, un talento unico che lo ha reso un simbolo tra i più grandi del cinema britannico. Michael Caine, al secolo Maurice Joseph Micklewhite Jr, londinese doc., oggi compie 90 anni e può rivendicare un posto di prima grandezza all’interno della cinematografia contemporanea. La sua carriera, cominciata dalla metà degli anni Cinquanta, lo ha visto partecipare a un numero sterminato di pellicole, di fatto diventando testimone e protagonista della storia della settima arte. Due volte premiato con l'Oscar (ma avrebbero potuto essere di più), Michael Caine per tutta la sua carriera si è dimostrato capace di interpretare praticamente ogni possibile personaggio: dall’eroe al villain, dall’amante romantico al killer professionista, di fatto raccogliendo il testimone del grande Laurence Olivier. Quella che segue è una lista dei cinque film più rappresentativi di una carriera unica, in cui ha saputo sempre reinventarsi e superare mode, cambiamenti e rivoluzioni.

The Quiet American (2002)

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Nel 2002 Philip Noyce dirige The Quiet American, melodramma tratto da un romanzo di Graham Greene, ambientato durante il conflitto indocinese del 1954, con protagonista Thomas Fowler (Michael Caine) corrispondente per il Times da Saigon. Fowler, giornalista disilluso ma che cerca di documentare quell’atroce guerra, stringe amicizia con il giovane e idealista Alden Pyle (Brendan Fraser). I due però si ritrovano invischiati in un triangolo amoroso in cui è coinvolta la giovane amante vietnamita di Fowler, Phuong (Do Thi Hai Yen). Ma sarà la scoperta che Pyle è in realtà un agente della CIA invischiato in attacchi terroristici, a portare il loro rapporto a un punto di non ritorno. Ennesima candidatura all'Oscar per Michael Caine, la cui grande performance attoriale lo rende simbolo dei gentlemen in estinzione dell’Inghilterra che fu, e per quanto permeato di paternalismo, inevitabilmente opposto ad un bravissimo Fraser, tanto carismatico quanto ipocrita e bugiardo con il suo Alden. Caine seppe rendere in modo perfetto la disillusione, la sensazione di impotenza e di sconfitta, che infine trasformano il suo personaggio da mero spettatore passivo della sua vita e della Storia, a uomo deciso a compiere una scelta radicale per quanto estrema.

L’Uomo che volle farsi Re (1975)

Con ogni probabilità il vertice della sua carriera attoriale, in uno dei migliori film degli anni Settanta, diretto dal grande John Houston, capace di onorare il romanzo di Rudyard Kipling come nessun altro avrebbe potuto. Ambientato tra l’odierno Afghanistan e Pakistan sul finire dell’Ottocento, L’Uomo che volle farsi Re vedeva Michael Caine nei panni dello spregiudicato Peachy Carnehan, che assieme all’altrettanto audace Daniel Dravot (Sean Connery), coinvolgeva proprio Kipling (Christopher Plummer) in una rischiosa avventura: procurarsi armi da fuoco e con queste cercare di creare un proprio regno tra le arretrate tribù del Nurestan. Film di incredibile caratura e regia, metafora spietata e ipnotica del colonialismo occidentale, è anche un racconto sulla dualità dell’essere umano, nonché un commovente omaggio all'amicizia virile. A un Connery sopra le righe, dominante e carismatico, Caine fece da contraltare, tratteggiando un uomo più astuto, arguto e privo di quella vanagloria che poi porterà entrambi alla rovina. Uno dei più grandi film di avventura di tutti i tempi, in cui l’attore inglese seppe diventare simbolo del meglio e del peggio della classista e razzista società inglese dell’epoca.

Alfie (1966)

Tra le più graffianti commedie inglesi di tutti i tempi, Alfie di Lewis Gilbert aveva Michael Caine nei panni dell’autista Alfie Elkins, affascinante seduttore che nella “Swinging London” della metà degli anni Sessanta, colleziona donne con grande disinvoltura. Tutto cambia nel momento in cui la fidanzata Gilda (Julia Foster), rimane incinta ma lui si rifiuta di sposarla. Affezionatosi al figlio Malcolm, si ritrova dall’oggi al domani messo da parte della ragazza per il gentile Humphrey e per di più malato di tubercolosi. Sarà solo l’inizio di un’odissea personale che lo vedrà cercare senza successo di cambiare il suo stile di vita, finendo infine solo e distrutto. Film agrodolce di grande profondità e intelligenza, Alfie ha rivoluzionato il cinema inglese. Michael Caine plasmò uno dei personaggi maschili più ambigui, complessi e attuali di quegli anni. Performance straordinaria da parte dell’attore, capace di far detestare e amare il suo Alfie in egual misura. Rimane a oggi un simbolo del peggio del machismo narcisista, del seduttore che rifiuta di prendersi le responsabilità delle sue azioni fino all'ultimo. Prima nomination agli Oscar e di fatto il film che lo fece diventare un sex symbol.

Hannah e le sue sorelle (1986)

Uno dei più grandi successi di Woody Allen. Sferzante racconto sul rapporto tra arte e vita, tra autore e opera, Hannah e le sue sorelle fruttò a Michael Caine un meritatissimo Oscar come Miglior Attore Non Protagonista. Qui vestiva i panni di Elliot, che pur se sposato con Hannah (Mia Farrow), non riusciva a resistere alla tentazione di sedurne la sorella Lee (Barbara Hershey), ma senza decidersi a lasciare la moglie per lei. Il tutto mentre l’ex marito di Hannah, Mickey (sempre il nostro Woody) è sull’orlo di una crisi di nervi e la terza sorella di Hannah, Holly (Diane West) per rilanciare la sua carriera artistica prova ogni possibile sotterfugio. In uno dei cast corali più indovinati di sempre, Caine riuscì comunque a distinguersi anche grazie a una sceneggiatura tra le migliori di quegli anni. Il suo Elliot è un uomo incapace di una svolta, immaturo, simbolo dell'incapacità di prendere una decisione definitiva nella vita, di andare oltre il singolo momento. Fu un film con cui riuscì anche a staccarsi di dosso l’immagine di "tombeur de femmes" che aveva ricoperto per tanto tempo, grazie a questo marito fedifrago e goffo, intellettuale di pura facciata, seduttore pieno di vanità ma di scarso talento. Un efficace ritratto dell’uomo medio, intrappolato tra velleità di grandezza e una vita che non sa dominare realmente.

Ipcress (1965)

Michael Caine al personaggio di Harry Palmer deve sicuramente gran parte di quella fama ed iconicità che conobbe negli anni Sessanta, quando fu visto come il simbolo cinematografico della nuova Inghilterra, quella della Beat Generation, del Mod e di Carnaby Street. Lo fece paradossalmente con un personaggio che pareva essere agli antipodi, questo agente segreto al servizio di sua maestà, con cui riuscì a conquistarsi una grande popolarità nello stesso periodo in cui il James Bond dell'amico Sean Connery diventava il Maschio Alfa per eccellenza. Del mitico 007, Palmer fin da quel Ipcress diretto da Sidney J. Furie, è parodia e antitesi. Straordinario successo di critica e pubblico, è considerato un capolavoro del cinema britannico, nonché una delle migliori interpretazioni dell’attore. Palmer è la negazione assoluta del glamour, conduce una vita apparentemente noiosa e spartana, non è né un playboy né un avventuriero incallito. Semplicemente, è una delle spie più brillanti e acute che il grande schermo ci abbia donato, anche grazie a una certa autoironia che Caine sfoggia con grande classe. Caine avrebbe ripreso il personaggio per ben altre quattro volte.

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Giulio Zoppello

Sono nato a Padova nel 1985, da sempre grande appassionato di sport, cinema e arte, dopo dodici anni come allenatore e scoutman professionista nel mondo della pallavolo, ho deciso di intraprendere la carriera di giornalista.
Dal 2016 ho cominciato a collaborare con diverse riviste cartacee e on-line, in qualità di critico ed inviato presso Festival come quello di Venezia, di Roma e quello di Fantascienza di Trieste.
Ho pubblicato con Viola Editrice "Il cinema al tempo del terrore", analisi sul cinema post-11 settembre. Per Esquire mi occupo di cinema, televisione e di sport, sono in particolare grande appassionato di calcio, boxe, pallavolo e tennis.
In virtù di tale passione curo anche su Facebook una pagina di approfondimento personale, intitolata L'Attimo Vincente.
Credo nel peso delle parole, nell'ironia, nell'essere sempre fedeli alla propria opinione quando si scrive e nel non pensare mai di essere infallibili.