Ben Affleck e Matt Damon in Air: storia dell'amicizia e film | iO Donna
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Ben Affleck e Matt Damon di nuovo insieme in “Air”, un’amicizia incredibile che dura da 42 anni

Ben Affleck e Matt Damon. Attori, produttori, attivisti, registi (decisamente più Ben di Matt), sceneggiatori e seminatori di paparazzi (decisamente più Matt di Ben, vedi alla voce Bennifer). Due operatori del settore che fanno tutto. E raro caso di amicizia maschile che va avanti dai tempi delle superiori alla Cambridge Rindge and Latin School di Cambridge, in Massachusetts. Da quando Ben difende il timido Matt da una rissa sul campo da football, e da quando scoprono di essere appassionati di recitazione, e di volere diventare dei professionisti. Forse non star, certo degli attori importanti, come Newman o Redford. 42 anni dopo, importanti lo sono diventati, su “icone del cinema” forse c’è ancora da lavorarci. Ma che avventura dall’Oscar per Will Hunting – genio ribelle a oggi.

L’intesa e la corsa verso la fama cominciano con un conto in banca in comune, e un rapporto continuo di fratellanza e sostegno. Specie in quell’area dello gloria planetaria che riguarda il successo. Un cosa che, si sa, mette in crisi, e che un amico – meglio se con lo stesso problema – può aiutare a ridimensionare. «È stato di grande aiuto negli ultimi 25 anni fare ogni tanto un check di controllo con Ben», ha detto Matt di recente a People, «diventare famoso di colpo, voglio dire, per un paio di anni ha creato una bella confusione in testa».

E viceversa, verrebbe da dire ripensando alla separazione da Jennifer Garner dopo 10 anni di matrimonio e i meme sulla tristezza di Affleck: le foto a fumare in macchina da solo e quella con lo sguardo perso nel vuoto nel press junket di Justice League (2016). Una fase – mista ad alcolismo e disturbi mentali – in cui Matt deve essere stato senz’altro a fianco di Ben, staffettista incredibile da Jennifer (Lopez) a Garner (con ci fa 3 figli) e infine du nuovo a Lopez, sposata l’anno scorso.

L’unico con un andata-ritorno simile è stato Carlo d’Inghilterra, ora felice e al trono con la sua Camilla adorata, non come Ben che invece è rimasto un po’ il Sad Affleck di sempre, con una ciambella in mano e la faccia di uno che – con le telecamere dei Grammy 2023 a un centimetro dal viso – si rende conto per la prima volta che la Terra è sospesa nel vuoto. A vederlo ripreso da Jennifer, «guai a te se ti alzi», viene da immaginare Luciana Barroso – moglie di Matt – che sul divano gli dice «domani chiamalo».

Ben Affleck e Matt Damon alla première di “Air – La storia del grande salto”. (Getty Images)

Ben Affleck, una star da subito

Comunque, di film assieme – Ben e Matt, 50 e 52 anni – ne hanno fatti 9. Il primo – da non accreditati – è stato L’uomo dei sogni (1989); l’ultimo è al cinema in questi giorni e si chiama Air – La storia del grande salto. Storia di Sonny Vaccaro (Damon), manager della Nike che lanciò nel 1984 il marchio Air Jordan. Collaborazione tra il brand e Michael Jordan per la neo divisione dedicata al basket. Si tratta del quinto film da regista di Ben, il primo in cui dirige Matt e il primo nato dalla loro nuova casa di produzione Artists Equity. Fondata per dividere tutti i compensi non solo tra registi, produttori e sceneggiatori, ma anche con le altre figure professionali di un film (costumisti, montatori, direttori della fotografia).

Chi ha vinto un Oscar al primo film da sceneggiatori a quattro mani – per Will Hunting – genio ribelle, nel 1998 – non può che ragionare così: dividendo ogni centesimo. Forti di un credo democratico da costa est che si nutre prima di tutto di etica del lavoro, buone storie e consapevolezza dei mezzi. Anche fisici. Ben e Matt sono stati e sono, ma i 50 di un maschio sono diversi da quelli di una donna, dei sex symbol. Ai tempi della Cambridge Rindge and Latin School, Matt racconta che Ben otteneva sempre le parti da leader, che spesso coincidevano con l’eroe bello e temerario.

Il biondino occhi azzurri della coppia era invece già il futuro agente Jason Bourne. Almeno come attitudine: schivo, silenzioso e attento ai fatti, che tiene ai titoli di studio, ai libri, e infatti si iscrive a Harvard (sarà però il primo dei due a mettere in mostra gli addominali, nel Talento di Mr Ripley; Ben ci arriva solo nel 2010 con The Town, e con il sospetto della computer grafica).

Con gli Oscar per “Will Hunting – genio ribelle”, 1998. (Getty Images)

Trionfo Will Hunting – genio ribelle

La corsa verso l’Oscar comincia proprio ad Harvard, dove Matt butta giù a fine anni ’80 il primo trattamento del film (in mezzo c’è il suo debutto al cinema in Mystic Pizza – ultimo film da sconosciuta di Julia Roberts). La gestazione della sceneggiatura – condivisa quando Matt raggiunge Ben a Los Angeles, e modificata seguendo alcune dritte di Rob Reiner e Kevin Smithva avanti per tutti gli anni ’90, tra ristrettezza economiche, il famoso conto corrente in comune per provvedere alle spese e al grande sogno di produrre Hunting e il primo film assieme: Scuola d’onore; la star è Brendan Fraser.

Tutto cambia con l’arrivo della Miramax di Harvey Weinstein (con il metoo agli attori verrà chiesto di rendere conto della loro presunta omertà sulle molestie del produttore), che nel 1995 acquista lo script – su suggerimento di Smith – dalla Castle Rock, ormai disinteressata al progetto per divergenze creative. Con lo studio re dei film indipendenti Ben e Matt ottengono di recitare nel film, che sia diretto da Gus Van Sant e che ci sia Robin Williams (poi Oscar come attore non protagonista).

Uscito a fine 1997, Will Hunting – genio ribelle guadagna 225 milioni in tutto il mondo (il budget è di 10 milioni), ottiene 9 nomination e trasforma la vita degli amici sgobboni. A 25 anni, Ben è anche il più giovane sceneggiatore a vincere un Oscar.

Ben Affleck e Matt Damon ai Guys Choice Awards nel 2016. (Getty Images)

La costruzione del successo

Dopo la sbornia di party e complimenti, Matt recita in Salvate il soldato Ryan e in Il Talento di Mr. Ripley, si fidanza con Winona Ryder e mantiene un profilo basso; invece Ben si fidanza con Gwyneth Paltrow e si butta nell’action con due blockbuster, lo spaziale Armageddon e il dramma in costume Shakespeare in love (miglior film agli Oscar 1999 battendo Soldato Ryan). Ormai star, Ben e Matt si possono permettere di recitare in progetti cool senza obblighi di box office, è il caso di Dogma dell’amico Kevin Smith (in cui sono due angeli caduti che cercano di tornare in paradiso attraverso uno stratagemma).

Il senso di riconoscenza per Kevin – con cui Ben aveva già girato In cerca di Amy – è così forte che nel 2001 la coppia gira con lui anche Jay & Silent Bob… Fermate Hollywood!, film che in parte prende in giro la fama di Genio ribelle.

Poi, con la memoria fresca sulle difficoltà di ogni artista nel cercare di realizzare i propri progetti, si lanciano in una virtuosissima docu-serie, Project Greenlight. Che racconta la selezione, il via libera (greenlight) e la realizzazione di progetti cinematografici firmati da registi e sceneggiatori debuttanti. Progetti che poi hanno avuto un’uscita in sala. 

Matt Damon e Ben Affleck agli Oscar 1999. (Getty Images)

Flop e saghe

Fallimenti al botteghino ma anche film bruttarelli capitano a tutti. Facendo la conta, è però Ben a svettare per collezione di orrori. C’è Piovuta dal cielo, con Sandra Bullock, Trappola criminale, con Charlize Theron, e c’è Amore estremo (conosciuto come Gigli, film che avrebbe dovuto capitalizzare sui Bennifer e che invece ci mise una pietra sopra). Per Matt c’è invece il cattivo ricordo di Titan A.E., ma dal 2002, dal primo episodio di Jason Bourne e di Ocean’s Eleven, non sbaglia un colpo, magari ha dei cali (Downsizing – vivere alla grande), però diventa uno degli attori più solidi in circolazione.

Contemporaneamente comprimario e leader, affidabile e semplice, d’un pezzo e fragile. Amante rifatto a piacere da Liberace-Michael Douglas in Dietro i candelabri e The Martian che ricicla la cacca dei compagni.

Michelle Obama che annuncia Argo miglior film

Come fa a recuperare Ben? Buttandosi nella regia, quando può. L’esordio con Gone Baby Gone – nel 2007 – è ottimo. Con il thriller The Town va fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, mentre nel 2012, Michelle Obama annuncia dalla Casa Bianca che Argo è Oscar come migliore film (dopo aver collezionato due statuette).

Quando recita diretto da altri, lui che è più legnoso di Matt, funziona benissimo se il personaggio aderisce alla figura triste nata dalle foto rubate in cui sembra non Batman, ma un Medioman annichilito dalla vita: è il caso di L’amore bugiardo – Gone Girl di David Fincher. E davvero non si riesce a pensare a nessun altro nel ruolo del marito pirla.

Ben Affleck, Viola Davis e Matt Damon, star di “Air – La storia del grande salto”. (Getty Images)

Assieme a George Clooney, a Brad Pitt, in parte anche a Matt stesso, fa parte della grande chiesa del divismo maschile del nuovo secolo, belloni democratici che girano e producono, o fanno entrambe le cose. Le collane di perle le lasciano a Timothée Chalamet, loro sono ancora maschi che frequentano belle donne e poi cedono all’altare, spendendo il pil annuale del Montenegro. Pronti però a firmare assegni per cause nobili e a promuovere fondazioni. In sala comandi ma senza farlo pesare.

The Last Duel e Air La storia del grande salto

Con il biopic su Sonny Vaccaro, manager guru che trasformò la Nike in quel simbolo di lifestyle che dura e continua a espandersi, è probabile che Ben Affleck e Matt Damon abbiano voluto scordare i pochi dollari (30) racimolati da The Last Duel. Il medioevo violento (ma senza draghi) del bravo Ridley Scott – fuori concorso a Venezia 2022 – non sono riusciti a tirarlo su nemmeno loro, che pure avevano scritto la sceneggiatura.

Più efficace, e lo si vede già dal box office europeo e USA, una storia che ha a che fare con le sneaker, forse la calzatura più di successo di sempre. Con Michael Jordan (nominato, ma che non campare mai; compare invece la madre Deloris, una Viola Davis eccezionale), Phil Knight – il fondatore della Nike interpretato da Affleck – e appunto Sonny Vaccaro: per la comunità sportiva e sportswear tre soggetti molto più icone di Ben e Matt. Non sarà Il padrino, ma almeno è un dramma molto ben fatto in cui nessuno indossa mantelli, solo look e capelli anni ’80. Arriverà agli Oscar 2024? Ne ha tutto lo styling e la forza dell’accessorio egemonico per riuscirci.

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