Massimo d'Azeglio | Biografia, opere e pensiero politico
Massimo d'Azeglio

Massimo d’Azeglio: vita, opere e pensiero politico

Il 15 gennaio 1866 moriva a Torino Massimo Taparelli marchese d’Azeglio, più noto come Massimo d’Azeglio, politico, patriota, pittore e scrittore che sempre a Torino era nato il 24 ottobre 1798. Sua è la celebre frase: “S’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani” (la troviamo ne I miei ricordi).

Cenni biografici e opere di Massimo d’Azeglio

Cresciuto alla scuola alfieriana la cui eredità era particolarmente viva nei circoli dei giovani intellettuali piemontesi cui apparteneva anche il cugino Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio venne in seguito a contatto con i cenacoli romantici milanesi, dominati dalla figura del Manzoni (di cui sposò la figlia Giulia) e qui acquistò fama come autore di romanzi storici.

I romanzi storici

Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta (1833) – opera che tratta dell’amore del Fieramosca per Ginevra, a lui contesa dal duca Valentino – e il meno riuscito Niccolò de’ Lapi (1841), che prende spunto dall’assedio di Firenze del 1549-1530, risultano ispirati dalla volontà di esaltare gli spiriti patriottici rievocando gli episodi storici in cui maggiormente rifulsero il coraggio e l’ardimento degli italiani, ma l’intento oratorio lascia spazio a una vena sottile di ironia che tende ad alleggerire anche le situazioni più cupe e romanzesche; in questi romanzi è notevole lo stile piano e discorsivo, lontano da ogni impennata retorica, la lingua sciolta e vivace, priva di vezzi letterari e tesa a realizzare un tono medio accessibile a vasti strati di pubblico.

Un terzo tentativo di romanzo storico, La lega lombarda, a cui Massimo d’Azeglio lavorò tra il 1843 e il 1847, rimase interrotto dopo i primi capitoli.

Massimo d’Azeglio politico

Politicamente Massimo d’Azeglio fu esempio tipico di moderato liberale, gradualista, legalitario e federalista. Espresse tali idee nello scritto Gli ultimi casi di Romagna (1846) in cui denunciò il malgoverno papale, deprecando insieme i tentativi insurrezionali del 1845 e nella Proposta di un programma per l’opinione nazionale italiana (1847) che risentiva delle speranze suscitate da Pio IX.

Dopo la disfatta di Novara (1849) fu nominato Primo Ministro del Regno di Sardegna. In seguito capeggiò il governo piemontese per quasi quattro anni, riuscendo a evitare il prevalere del municipalismo, ridando slancio alle istituzioni parlamentari, e attuando importanti riforme, come, nel campo ecclesiastico, quelle sancite dalla legge Siccardi (leggi di separazione fra Stato e Chiesa, del Regno di Sardegna, che abolirono i privilegi goduti fino ad allora dal clero cattolico, allineando la legislazione piemontese a quella degli altri stati europei).

Con l’avvento di Cavour venne superato dal corso degli eventi. Vide di mal occhio l’annessione del Regno di Napoli, espose in Questioni urgenti (1861) la sua avversione all’idea di Roma capitale.

Gli ultimi scritti e i quadri

La sua ultima opera, I miei ricordi, apparsa postuma nel 1867, è uno degli esempi migliori della memorialistica risorgimentale.

Infatti, quando Massimo d’Azeglio non si lascia prendere la mano dai suoi propositi educativi o dalla volontà di giustificare il suo operato di uomo politico, ma rievoca gli anni della sua giovinezza e l’ambiente torinese, nascono pagine ariose e vivaci, caratterizzate da un senso di verità molto forte cui contribuiscono gli inserti dialettali, che bene s’innestano in uno stile tendente al parlato che ebbe una notevole influenza sulla letteratura piemontese del secondo Ottocento.

La sua opera pittorica, soprattutto di paesaggi delicati e malinconici d’ispirazione romantica, è in gran parte conservata nel Museo civico di Torino.

20 frasi e citazioni di Massimo d’Azeglio

  • Ad un governo ingiusto nuoce più il martire che non il ribelle.
  • Gl’Italiani hanno voluto far un’Italia nuova, e loro rimanere gl’Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico la loro rovina; pensano a riformare l’Italia, e nessuno s’accorge che per riuscirci bisogna, prima, che si riformino loro.
  • Il primo bisogno d’Italia è che si formino Italiani dotati d’alti e forti caratteri. E pure troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani.
  • In ogni genere ed in ogni caso, il governo debole è il peggiore di tutti.
  • L’abitudine al lavoro modera ogni eccesso, induce il bisogno, il gusto dell’ordine; dall’ordine materiale si risale al morale: quindi può considerarsi il lavoro come uno dei migliori ausiliari dell’educazione.
  • L’abitudine è mezza padrona del mondo. “Così faceva mio padre” è una delle grandi forze che guidano il mondo.
  • L’affetto vero, leale, incondizionato, è un gran tesoro; è il più grande che esista.
  • L’assoluto è il peggior nemico della buona politica, come la scienza dell’aspettare è la sua più fedele alleata.
  • L’Italia è l’antica terra del Dubbio. Il dubbio è un gran scappafatica; lo direi quasi il vero padre del dolce far niente italiano.
  • L’ozio avvilisce ed il lavoro nobilita: perché l’ozio conduce uomini e nazioni alla servitù; mentre il lavoro li rende forti ed indipendenti.
  • La prima delle cose necessarie, è di non spendere quello che non si ha.
  • La verità non prospera che al sole.
  • Meno partiti ci sono, e meglio si cammina. Beati i paesi dove non ve ne sono che due: uno del presente, il Governo; l’altro dell’avvenire, l’Opposizione. Un tale stato di cose è segno della robusta salute d’una nazione; è segno che in essa le questioni di vera utilità pubblica soffocano le questioni d’utilità private, di persone, di sètte, ec., ec
  • Non è l’ingegno sottile (l’esprit) quello che forma le nazioni; bensì sono gli austeri e fermi caratteri.
  • Quando si principia a invecchiare, ricordarsi e raccontare diverte.
  • Se il fil di canapa è marcio, non s’avrà mai corda buona. Se l’oro è di saggio scadente, non s’avrà mai moneta buona. E se l’individuo è dappoco, ignorante e tristo, non s’avrà nazione buona, e non si riuscirà mai a nulla di solido, d’ordinato e di grande.
  • Se le navi vanno generalmente meglio degli Stati, ciò accade per la sola ragione che in esse ognuno accetta la parte che gli compete, mentre negli Stati meno se ne sa, generalmente, più s’ha la smania di comandare.
  • Senza cuor contento non c’è bene che valga, come col cuor contento non c’è male che nuoccia in questo mondo.
  • Tutti siamo d’una stoffa nella quale la prima piega non scompare mai più.
  • Vi sono momenti nella vita che basterebbero a pagare, a compensare i tormenti d’un’eternità.

Via | Dizionario della letteratura italiana, a cura di Ettore Bonora
Foto | André-Adolphe-Eugène Disdéri [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

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