Breve storia di Massimo D'Alema, un Totò scambiato per Machiavelli | Il Foglio
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(foto Ansa)

Il Decio Cavallo della politica

Breve storia di Massimo D'Alema, un Totò scambiato per Machiavelli

Salvatore Merlo

Nella sua seconda vita da centralinista telefonico l’ex premier è stato indagato a Napoli assieme all’ex amministratore di Leonardo, Alessandro Profumo. Il suo motto è “dalle Alpi alla Grande Muraglia”

Ma non è che pensavamo fosse Machiavelli e invece era Totò, anzi, no: Decio Cavallo, il mister cui il principe De Curtis vende la Fontana di Trevi? È notizia di ieri che Massimo D’Alema, in questa sua seconda vita da centralinista telefonico (nel senso che mette in contatto la gente), è indagato a Napoli, assieme all’ex amministratore di Leonardo, Alessandro Profumo. Una storia che sembra uscita, appunto, dal celebre film di Totò. Anche se, per la verità, ancora non è ben chiaro se D’Alema sia in effetti quello che la Fontana di Trevi la vende, o quello che invece al contrario se la compra. Bisogna infatti proprio immaginarsi questo ex presidente del Consiglio che a marzo del 2022 viene avvicinato da due tizi pugliesi che si spacciano per “broker” e gli dicono che vogliono acquistare aerei militari e sommergibili da vendere al governo (di estrema destra) colombiano. Poiché D’Alema (lo si è fin troppo detto) arriva in fretta, parte fulmineo, si alza di scatto, siede di schianto e vola dalla finestra, sapete che succede?

 

Succede che l’intelligentissimo e diabolico, la faina della politica italiana, mette subito in contatto questi due tizi con Leonardo, la nostra maggiore industria bellica. Senza battere ciglio. Solo che, trattandosi a quanto pare di due truffatori, la cosa viene scoperta e presto bloccata. L’affare va a monte. Il governo colombiano borbotta sull’inaffidabilità sudamericana degli italiani. E alla fine interviene pure la magistratura, che adesso ha messo sotto indagine anche D’Alema. Cose che capitano a tutti, direte voi. Solo che a D’Alema capitano un po’ più spesso.

 

A marzo del 2021, in piena pandemia, per dire, aveva messo in contatto – di nuovo – un’azienda cinese con la Protezione civile italiana. Aveva fatto acquistare al governo un centinaio di ventilatori ospedalieri. Quasi tre milioni di euro. Ma ecco che ad aprile, secondo la Verità, quei ventilatori vengono ritirati dalla regione Lazio perché privi del marchio Ce. Non erano a norma. E forse nemmeno funzionavano. Il punto è che quest’uomo circolare, il cui motto è “dalle Alpi alla Grande Muraglia”, è diventato uno sfianca telefoni intercontinentale. E se un tempo aveva una camminata saltellante, dovuta alla sua fissa preoccupazione di evitare i trabocchetti che preparava per gli altri, adesso precipita lui in tutte le buche. In pratica la fregatura è il suo gorgonzola: egli ne sente l’odore da lontano, prima di ogni altro, e vi si avvia ogni volta con sicuro istinto. Per fortuna ci risulta che Wanna Marchi non abbia il numero di D’Alema, e questo ci rassicura. Almeno siamo sicuri che non comprerà i numeri del lotto né lo sciogli pancia. Può darsi sia sfortuna, chissà. Pochi mesi fa, proprio quando il Nostro stava per far vendere la raffineria di Priolo a una non meglio precisata entità del Qatar, sapete che è successo? È scoppiato il Qatargate al Parlamento europeo. Il tempismo è tutto.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.