Priscilla, di Sofia Coppola

Più che un biopic, sembra un coming of age identitario, di scoperta e trasformazione in cui è riconoscibile la cifra stilistica della cineasta. A tratti irrisolto, ma anche malinconico e vero.

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If I should stay I would only be in your way. So I’ll go” recita la cover di I will always love you, soundtrack della scena di chiusura di Priscilla, quando lei abbandona per sempre Graceland. Dopo la Carey Mulligan di Maestro, ecco un’altra donna costretta a farsi da parte, per lasciare spazio a un marito ingombrante. Ma c’è sempre una nota di amarezza, di malinconia. La rinuncia a un sogno d’amore totalizzante e definitivo. Se per Priscilla Elvis era un mito apparentemente irraggiungibile, il cui sguardo di uomo è caduto su quella ragazzina ingenua e giovanissima, cos’è stata Priscilla per Elvis? Il film di Sofia Coppola, in concorso a Venezia 80, tratto dal memoir Elvis and me, scritto a quattro mani dalla stessa Presley con Sandra Harmon nel 1985, si apre nel 1959 in Germania, con l’incontro tra la quattordicenne Priscilla Beaulieu e il ventiquattrenne Elvis, già affermata star del rock ‘n’ roll con orde di donne pronte a gettarsi ai suoi piedi. In Priscilla Elvis, orfano di madre, riconosce la calma e la sicurezza, l’ingenuità e la cura che non trovava altrove, rifugio amorevole e paziente dal caos di una vita sotto ai riflettori. Così inizia il lunghissimo corteggiamento tra i due, fatto di attese, distanze e permessi strappati ai genitori di lei per passare del tempo insieme, prima nella dimora tedesca e poi a Memphis nella casa di Vernon Presley, fino al trasferimento definitivo di lei a Graceland. Di fatto Priscilla era ancora una bambina che, stregata dal potere magnetico di The King, è stata sradicata dal suo ambiente familiare e affettivo per essere inserita in quello di lui, totalmente Elvis-centrico e di cui lei doveva essere l’ennesimo altare celebrativo. “È una donna che mette il lavoro prima degli uomini, non fa per me” dice ad un certo punto Presley parlando della collega Ann-Margret, incalzato dalle domande di Priscilla a proposito di una presunta relazione extraconiugale. Priscilla è il focolare domestico. Moglie, madre, amante. Elvis le sceglie gli abiti, il trucco, l’acconciatura e il colore dei capelli. Ne determina il destino prima ancora che lei abbia consapevolezza di se stessa, passata senza soluzione di continuità dalla potestà paterna al controllo del marito. Priscilla è a tutti gli effetti la creatura di Elvis, che la plasma a suo piacimento, secondo il canone femminile che lui ritiene opportuno per la donna che gli deve stare accanto, di nutrice e seduttrice, discreta, paziente, accomodante, specchio privato che deve riflettere la sua immagine e il suo successo.

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Dopo Il giardino delle vergini suicide e soprattutto Marie Antoinette, Coppola racconta un’altra storia di liberazione femminile dalla gabbia dorata dell’uomo-mito. E come in Marie Antoinette, gioca con gli anacronismi, in Priscilla solo musicali – purtroppo obbligati dall’impossibilità di usare le canzoni di Presley -, optando per brani dei Phoenix, dei Ramones e cover di hit mondiali come I will always love you di Whitney Houston. Fin dalla scena di apertura si riconosce la cifra stilistica del cinema di Coppola, tra montaggi catchy, inquadrature dei dettagli e tinte tenui. Poi però lavora in sottrazione, orientandosi verso una fotografia sempre più buia, che lascia spesso i protagonisti in ombra, all’angolo dell’inquadratura o ripresi di spalle. Riesce a unire tutte le traiettorie tematiche e stilistiche dei suoi film precedenti, facendoli convergere in un lavoro certamente maturo, in cui gli arzigogoli pop non sono il fulcro ma fanno da contorno e danno ritmo alla storia. Ma alla fine lascia un senso di incompiutezza. Coppola trova certamente nella propria biografia elementi in comune alla storia che racconta, di donna nata e cresciuta all’ombra di grandi uomini: figlia di Francis, sorella di Roman, compagna di Tarantino prima e moglie di Spike Jonze poi. E forse è proprio questa comunione a frenare il film, una contraddizione irrisolta tra la necessità di raccontarsi e la volontà di mantenere il riserbo. Se della stessa Coppola o di Priscilla Presley (che è anche produttrice esecutiva), non si sa. Ecco allora che pur essendo la storia di Priscilla, non è mai lei il nucleo della scena, quasi sempre posta a lato, mai protagonista assoluta dell’inquadratura, se non verso la fine del film. Più che un biopic, Priscilla sembra allora un romanzo di formazione, un coming of age identitario, di scoperta e trasformazione, femminista senza il bisogno di esserlo a tutti i costi. Malinconico e vero.

 

Titolo originale: id.
Regia: Sofia Coppola
Interpreti: Cailee Spaeny, Jacob Elordi, Ari Cohen, Dagmara Dominczyk, Tim Post, Lynne Griffin, Dan Beirne, Rodrigo Fernandez-Stoll, Dan Abramovici, Matthew Shaw, Tim Dowler-Coltman, R. Austin Ball, Olivia Barrett, Stephanie Moore, Luke Humphrey, Deanna Jarvis, Jorja Cadence, Josette Halpert
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 113′
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3.27 (15 voti)
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    Un commento

    • Solo per precisazione: non è una cover, ma la versione originale di I will always love you, che solo in seguito rifarà Withney Houston

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