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Monarchie alla svolta: l’abdicazione di Margherita di Danimarca

La regina non ha mai messo in discussione la superiorità delle necessità della Corona su quelle della famiglia

di Andrea Merlotti

(EPA/Ida Marie Odgaard)

3' di lettura

Con l’inattesa abdicazione annunciata a Capodanno, si appresta a uscire di scena Margherita II di Danimarca, una sovrana che ben ha simboleggiato nel suo regno cinquantennale l’evoluzione che le monarchie europee hanno conosciuto negli ultimi decenni.
Quando nacque non era destinata a regnare. Suo padre Federico IX, re dal 1947, aveva infatti tre figlie, ma nessun maschio. Le regole di successione del regno volevano un sovrano, per cui un giorno sul trono sarebbe salito il fratello minore del re, il principe Knud (o suo figlio Ingolf) . Per le tre ragazze si prospettava un tranquillo avvenire da principesse, magari su qualcuno dei pochi troni rimasti in Europa.

A modificare i piani, giunse però nel 1953 il governo liberal-conservatore di Erik Eriksen. Questi, infatti, promosse un’ampia riforma costituzionale che toccò anche le regole di successione. Le nuove norme – approvate da un referendum popolare – fissarono il principio che a salire al trono potesse esser anche la figlia d’un re, se quest’ultimo non avesse avuto figli maschi. In pratica, si adottava la situazione esistente in Gran Bretagna, dove, appena un anno prima, nel 1952, era diventata regina Elisabetta II.

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Margherita e la famiglia reale di Danimarca

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La sola Margherita I

Una vera novità per la monarchia danese. A differenza, infatti, di quella inglese, in cui dal Cinquecento si erano annoverate ben sei sovrane, in Danimarca vi era stata solo Margherita I, vissuta a cavallo fra Tre e Quattrocento. La scelta di aprire il trono alla successione femminile costituiva quindi una mutazione radicale nella storia della monarchia.Sebbene non fosse nata per esser regina, la giovane Margherita dimostrò subito di aver le idee chiare. ll suo matrimonio nel 1966 col nobile francese Henry de Montpezat - così come quello, lo stesso anno, di Beatrice d’Olanda col nobile tedesco Claus van Amsberg - segnarono l’inizio d’una nuova era nella storia delle nozze reali. Sino allora la scelta degli sposi e delle spose era spettata ai re in carica, i quali selezionavano all’interno del ristrettissimo numero delle case di re o di sovrani. Quando un principe o una principessa sceglievano un coniuge esterno a tale inner circle, nobile o borghese che fosse, dovevano rinunciare ai propri titoli e diritti dinastici.

Inoltre, se gli sposi delle future regine di Danimarca e d’Olanda erano comunque nobili, non ci volle molto perché i troni si aprissero anche a borghesi. Due anni più tardi, infatti, nel 1968, Harald di Norvegia (poi re nel 1991, e cugino di Margherita) fece un ulteriore passo avanti, sposando una comune cittadina, priva di sangue blu.

Nel corso del suo lungo regno, Margherita ha rinnovato profondamente la monarchia, ma nello stesso tempo non ha mai messo in discussione la superiorità delle necessità della Corona su quelle della famiglia. Una linea che ha creato problemi anche coi propri parenti più stretti. Quando nel 2022, per esempio, ha escluso dall’uso del titolo di «principe» i figli del secondogenito Joachim, i rapporti con questi si sono fatti tesi. Nonostante l’aperta polemica col figlio, la regina non ha receduto dalla decisione, convinta che essa servisse al bene della monarchia.

Il marito Henri de Montpezat

Ma è stato soprattutto nei rapporti del marito che vi sono state maggiori tensioni. Ben prima del principe Harry duca di Sussex, anche Henri de Montpezat affidò alle pagine d’un libro il racconto della propria frustrazione di principe consorte, destinato a essere ruota di scorta. In Destin oblige, apparso in Francia nel 1997, egli scrisse, infatti, che il ruolo di principe era «une anomalie», che «exigeait une sensibilité de sismographe sous un cuir de rhinocéros». Nel 2018, quando morì, fece scalpore, ma non stupì troppo, la scelta di non farsi seppellire accanto alla regina. La portavoce della Casa Reale dovette ammettere che essa esprimeva l’«insoddisfazione» del principe per «non essere stato trattato alla pari».

La monarchia è una struttura intimamente gerarchica, e questo non può esser mutato. Se la modernizzazione voluta da Margherita (e dai suoi colleghi in tutta Europa) sia stata la strategia vincente per portare la Corona nel XXI secolo lo si capirà bene nei decenni futuri, nel nuovo regno di Federico X. Le premesse paiono esserci.


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