La vicenda di san Marcello, papa dal dal 27 maggio 308 al 16 gennaio 309, può dirsi invero il rovesciamento del noto motto popolare “Dalle stelle alle stalle”, avendo egli, come si vedrà da questo suo ritratto storico che riprendiamo dal volume primo del Fiore dei Bollandisti (Napoli, 1874), meritato di essere innalzato alle stelle, al cielo dei Martiri, dopo aver faticato in una pubblica stalla.

Dopo il martirio del santissimo papa Marcellino, rimasta vacante la sede apostolica, alcuni dicono per parecchi anni (tre anni e mezzo) altri sei mesi e venti giorni, san Marcello, suo prete, fu eletto a quel posto (l’anno 308), siccome capace di occupare cosi alta dignità.
Era egli romano di nascita, e governò santissimamente la Chiesa, allora desolata all’estremo, in seguito alla sanguinosa persecuzione sofferta sotto i crudeli imperatori Diocleziano e Massimiano. Il numero dei cristiani non aveva fatto che accrescersi, essendo il sangue dei martiri, dai tiranni sparso con tanta ingiustizia, come una semenza di buon grano, la quale produce il centuplo: questo santo Pontefice distribuì la città in ventiquattro titoli o parrocchie, per battezzare i nuovi convertiti alla nostra santa religione, per accogliervi i peccatori penitenti, e per dare ai martiri una sepoltura onorevole.
Tutto ciò si fece durante una brevissima calma, di cui godette allora la Chiesa; Massenzio, figlio di Massimiano Ercole, dichiarato imperatore dai pretoriani, regnava in Roma. Occupato a lottare contro i competitori d’Africa e d’Italia, non aveva, per così dire, il tempo di perseguitare i cristiani; desiderava forse anche, risparmiandoli, di guadagnarli al suo partito. La Chiesa godette dunque in quel tempo di una certa pace. Marcello ne profittò, come già abbiamo detto, per ristabilir la disciplina, alterata dai torbidi antecedenti. Ma la sua giusta severità a riguardo di quelli caduti durante la persecuzione gli procacciò molti nemici.
Or, siccome Massenzio credeva avere allora consolidato il suo potere, e cominciava a deporre la maschera che copriva i suoi perversi sentimenti per la religione cristiana, trovò in Marcello due delitti: d’aver eccitato col proprio zelo dei torbidi, e, soprattutto, d’essere il capo dei cristiani.
Si dice che lo fece rigorosamente frustare, e lo condannò a stare in una stalla per governarvi le bestie destinate all’uso della città. Il santo Pontefice passò nove mesi in quel vile esercizio, finché i capi del clero di Roma andarono a liberarlo di notte, per condurlo in casa di una santa vedova, chiamata Lucina. Questa accolse presso di lei con molta gioia il sommo Pontefice, e lo supplicò anche di cambiare in chiesa la sua casa, il che egli fece; e portò poscia il nome dello stesso san Marcello. Vi si radunavano i cristiani per celebrarvi gli adorabili misteri di nostra Redenzione ed il santo Papa vi distribuiva ai fedeli il celeste alimento della parola di Dio. Ma essendo stati riferiti a Massenzio questi fatti, ne concepì tal rabbia, che fece profanare quella nuova chiesa, ordinando servisse d’allora in poi di pubblica stalla, per alloggiarvi le bestie, di cui volle fosse incaricato il Papa pel resto dei suoi giorni. Così questo santo Pontefice visse in quel luogo infetto con tanta sofferenza da non potersi immaginare, essendo miseramente vestito, mal nutrito e sovente battuto dai servi del principe, i quali non chiedevano che la sua morte, che avvenne ben tosto il 16 gennaio dell’anno di Nostro Signore 310. [1]
Egli aveva fatto un’ordinazione nel mese di dicembre, secondo il costume dei Papi, aveva ordinati venticinque preti e due diaconi, e creati ventun vescovi per diversi luoghi.
Il suo corpo, coperto di un cilizio, fu raccolto dalla pietà della stessa Lucina, la quale lo seppellì nel cimitero di Priscilla, sulla via Salaria, e, per ricompensa di questa buona opera, ella medesima mori santamente.
Possediamo due epistole considerate come sue, sebbene un poco alterate; la prima è diretta ai vescovi della provincia d’Antiochia, nella quale tratta del primate della Chiesa romana, cui prova dover essere chiamato il capo delle Chiese; in essa dichiara altresì che, per dritto, niun concilio può celebrarsi se non con l’autorizzazione del sommo Pontefice. L’altra è scritta al tiranno Massenzio, nella quale gli dice: che i veri sacerdoti di Dio amano molto meglio esser perseguitati per la giustizia e la vera fede, anziché esser ricchi cd onorati sulla terra, per perdere poi il cielo; conciossiaché, egli dice, tutto ciò che è quaggiù non ha durata; ma ciò che è di là è eterno. [2]
Ecco quanto ci dicono gli storici intorno a san Marcello, la cui festa si celebra nella Chiesa con ufficio semidoppio, per ordine del papa san Gregorio VII.

[1] La condanna a lavorare un catabulum (una stalla pubblica di una stazione di posta) è testimoniata dalla Passio Marcelli del V secolo e da qui la traggono il Martirologio Romano e il Breviario Romano. Proprio presso questo catabulum sarebbe poi sorta l’attuale chiesa di San Marcello al Corso. Per contro si deve ricordare come esista anche un’altra versione della condanna di papa Marcello, basata su un epigramma del santo papa Damaso, secondo cui Massenzio non l’avrebbe relegato fra lo strame dei cavalli, ma in una ignota località d’esilio.
[2] Le lettere sono spurie.



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Fonte immagine : stpetersbasilica.info