Marco Follini. "L'attacco alle toghe è un doppio errore di Meloni" - HuffPost Italia

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Marco Follini. "L'attacco alle toghe è un doppio errore di Meloni"

Marco Follini. L'attacco alle toghe è un doppio errore di Meloni

Marco Follini, ex segretario dell’Udc e vicepremier del governo Berlusconi, negli ultimi anni si è ritagliato un ruolo da osservatore e analista politico. Con HuffPost ragiona sui rapporti accidentati – non da oggi – tra politica e giustizia e sulla nuova stagione di conflitto che le mosse di Palazzo Chigi sembrano aprire.

Il messaggio di Palazzo Chigi è una sciabolata: una fascia della magistratura fa “opposizione attiva” e ha aperto in anticipo la campagna elettorale per le Europee. Lei che in quella fase c’era ha un deja-vu dello scontro di Silvio Berlusconi contro le “toghe rosse”?

E’ un copione che si ripete e di cui conosciamo già l’esito: un progressivo peggioramento della condizione politica e nessuna possibilità di mettere mano allo stato della giustizia. Il governo è di fronte a un bivio: o imbocca la strada di una seria riforma o monta la guardia a singoli casi, magari facendo scudo a quelli più indifendibili. Ne abbiamo visto un campionario nei mesi scorsi. Ma chi vuole la botte piena e la moglie ubriaca, finirà per avere la botte vuota e la moglie astemia.

Qui in ogni caso non siamo di fronte all’avviso di garanzia al G7 di Napoli che nel ‘94 catapultò Berlusconi sui media di tutto il mondo. La Procura di Milano ha secretato l’indagine su Daniela Santanchè anche per muoversi con discrezione. E l’imputazione coatta per il sottosegretario Andrea Delmastro l’ha chiesta il gip e non un pm. Non viviamo una stagione del tutto diversa?

Come avvisava Marx, quando la storia si ripete spesso la tragedia diventa farsa. Cercherei di evitare entrambe. Nei momenti di difficoltà mi aggrappo a Shakespeare che fa dire al suo Enrico V: quando la clemenza e la crudeltà si disputano un regno è il giocatore più mite che vince.

Sperando che sia vero, chi è il mite e chi il crudele?

Ognuno deve decidere come comportarsi. E’ evidente che se scoppia una guerra tra politica e magistratura perde il Paese. E il governo perde più delle Procure e prima di loro. Dichiarare questa guerra è quindi un doppio errore: di principio e di valutazione delle forze in campo.

Giorgia Meloni è stata per mesi cauta e prudente: sui conti pubblici, sui rapporti con l’Europa, anche sulla giustizia frenando le irruenze del ministro Nordio. Come si spiega questo cambio di passo?

Non condivido il messaggio filtrato da Palazzo Chigi e non saprei come spiegarmelo. Mi associo alla vostra perplessità. Mi viene in mente il generale MacArthur che minacciava l’atomica per la guerra in Corea: come noto, finì con il compromesso del Trentottesimo Parallelo e la giubilazione del generale.

Insomma, un clamoroso (e pericoloso) autogol.

Io non condivido la narrazione di una magistratura salvifica che incarna la virtù e scrive la vera storia dell’Italia, ma questa versione rischia di trarre maggiore vigore dagli argomenti con cui il governo e la maggioranza hanno ingaggiato un conflitto che diventa inevitabilmente il principale ostacolo sulla strada della riforma.

Decennio dopo decennio riformare la giustizia resta una chimera?

Il passato ci insegna che mettere mano alla giustizia e correggere alcune distorsioni è un’impresa molto difficile, a maggior ragione lo diventa se viene compiuta con spirito partigiano. L’errore maggiore di questa maggioranza è chiudersi nel proprio fortilizio. Non c’è stato un solo giorno in cui ha compiuto il tentativo di parlare al di fuori dei suoi cancelli, ma il gioco delle fazioni impedisce qualsiasi passo avanti.

Quali sono i guasti principali del nostro sistema?

Intanto non si può generalizzare. La magistratura comprende un’infinità di storie, persone, ambienti, che vanno giudicati ognuno per sé e non in blocco. Poi è evidente che considerare i giudici una risorsa salvifica del Paese altrimenti corrotto e votato al male è un’altra generalizzazione. Da Tangentopoli in poi, è emersa con chiarezza la necessità di una correzione che però non può essere immaginata come un colpo di scimitarra. La giustizia è proprio il campo in cui serve equilibrio.

Lei è favorevole o contrario alla separazione delle carriere?

Personalmente sono favorevole alla separazione delle carriere e anche alla responsabilità civile dei giudici. Ma un conto è discutere un principio, altro è usare un buon principio per una causa discutibile.

La tesi di fondo del centrodestra, in sostanza, è che la magistratura voglia far loro “pagare” il fatto di essere al governo e di dare le carte al Csm. Ha qualche fondamento?

La mia personalissima convinzione è che non vi siano ragioni. E se anche vi fossero, un attacco a testa bassa come quello di queste ore le dissolve definitivamente. Il punto è sempre quello: se si cerca l’interesse generale si può discutere di quale sia il migliore, se invece si promuovono interessi privati o singoli casi si finisce in una trincea difficilmente difendibile e la battaglia perde valore. Tanto più che tutto questo accade all’indomani delle vicende Delmastro e Santanché dove non ci sono complotti da denunciare ma piuttosto riflessioni sulla qualità non proprio mirabile della classe dirigente che è stata mandata al potere.

 

 

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