LUIGI FILIPPO re dei Francesi in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

LUIGI FILIPPO re dei Francesi

Enciclopedia Italiana (1934)

LUIGI FILIPPO re dei Francesi

Pietro SILVA

Figlio primogenito di Louis-Philippe-Joseph e di Luisa di Borbone, nacque a Parigi il 6 ottobre 1773; fu insignito a 12 anni del titolo di duca di Chartres che sostituì con quello di duca d'Orléans, dopo la morte del padre ghigliottinato dal Terrore nel novembre 1793. Ebbe la fortuna di una educazione raffinata e completa per merito della sua governante, la signora de Genlis, che provvide non solo a dotarlo di una cultura vasta, per quanto superficiale, ma anche a sviluppare in lui le qualità di ordine e di parsimonia, mai venute meno durante l'agitata esistenza. Sedicenne nel 1789, si appassionò alle vicende della Rivoluzione, in cui il padre tenne una parte così importante, anche se odiosa. Segui le sedute dell'Assemblea nazionale, fu membro nel 1790 del club dei giacobini allora dominato dalle tendenze meno estremiste, e per queste sue benemerenze rivoluzionarie ebbe il grado di colonnello e poi di generale nel rinnovato esercito francese, e militò a fianco di Dumouriez nella campagna del 1792-1793, partecipando alle giornate di Valmy e di Jemmapes, e guadagnandovi quei titoli patriottici che tanto dovevano essergli utili nel 1830. Ma dopo Neerwinden seguì il suo comandante Dumouriez nell'orientamento controrivoluzionario e nel disgraziato tentativo di rovesciare la Convenzione (marzo-aprile 1793). Il fallimento del tentativo costrinse lui alla fuga tra le file degli Austriaci, e provocò la pena capitale del padre - cui non giovò il fatto di avere, come deputato della Convenzione col nome di Philippe Égalité, votato la morte di Luigi XVI - e l'arresto della madre e dei due fratelli.

Assunto nell'esilio il titolo di duca d'Orléans, dopo avere per alcuni mesi esercitato sotto finto nome la funzione di professore in un collegio svizzero a Reichenau, lavorò abilmente per riavvicinarsi ai Borboni del ramo primogenito e ai realisti che diffidavano di lui per i suoi precedenti del 1792-93. Questa manovra politica fu interrotta da un viaggio e da un soggiorno di tre anni in America (1796-99), che il principe compì perché il Direttorio, che temeva i suoi intrighi, subordinò al suo allontanamento dall'Europa la liberazione della madre e dei due fratelli dal carcere in cui erano dal 1793. Tornato in Europa alla notizia del colpo di stato di brumaio, poté compiere, attraverso un colloquio col conte d'Artois consigliatogli dal fido Dumouriez, il desiderato ravvicinamento ai Borboni, e venne trattato con benevolenza da Luigi XVIII. Ma molto abilmente evitò di compromettersi di fronte al sentimento nazionale francese, partecipando ai tentativi armati degli emigrati. Fin d'allora si delineò l'abilissima politica dell'orleanese, destinata ad accentuarsi durante la Restaurazione, che, pure mantenendo le apparenze del lealismo verso il ramo principale della dinastia, tendeva a seguire una linea propria.

Dal 1801 al 1808 ebbe come soggiorno abituale dell'esilio la tenuta di Twickenham presso Londra, dove visse in studioso raccoglimento; poi si trasferì in Sicilia, dove il 25 novembre 1809 sposò la figfia di Ferdinando IV, Maria Amelia; e si stabilì a Palermo, finché il crollo di Napoleone gli riaprì la via di Parigi, dove la benevolenza di Luigi XVIII gli diede non solo il rango che gli spettava a corte, ma anche la possibilità di riacquistare l'immensa fortuna della casa d'Orléans, che egli poi riuscì a rendere anche più grande con il suo talento per gli affari e con quella tendenza alla parsimonia talvolta esagerata sino all'avarizia. Il quindicennio della Restaurazione fu per L. F. un periodo di abilissima preparazione agli eventi che dovevano maturare con la rivoluzione del 1830. La grande ambizione che covava nel suo animo e che aveva dovuto subire tante delusioni nel periodo precedente, e insieme la naturale tendenza a un genere di vita assai diverso da quello rigido e orientato verso l'ancien regime imperante nelle Tuileries, lo fecero volgere verso quelle correnti liberali-borghesi che si misero contro l'indirizzo conservatore-autoritario prevalso nella Restaurazione, dopo il 1820. Il Palais Royal, dove il principe abitava avendo a fianco, fide consigliere, due donne di singolare valore, la moglie Maria Amelia e la sorella Adelaide, e allevando una numerosa e fiorente figliuolanza, divenne come il centro di raccoglimento delle correnti di opposizione liberale. Dopo alcune manifestazioni imprudenti in contrasto con l'indirizzo della corte, che gli valsero un rincrudimento dell'antipatia del conte d'Artois e una specie di velato esilio a Twickenham impostogli da Luigi XVIII, L. F. seppe muoversi con estrema cautela, ma sempre con l'obiettivo di attirare verso la sua persona le speranze e i calcoli degli elementi monarchici contrarî alla politica interna di Luigi XVIII e più di Carlo X.

Ostentò costumi e modi di vita borghese; mandò i figli alle scuole pubbliche; si legò con uomini come J. Laffitte, Guizot, La Fayette, che rappresentavano l'opposizione legalitaria. Il risultato di questa condotta fu lo sviluppo di un movimento orleanista che si accentuò quando Carlo X volse decisamente verso la politica reazionaria, e che aveva per programma di attuare in Francia una rivoluzione sul tipo inglese del 1688, sostituendo la dinastia divenuta invisa con una dinastia più popolare e in certo senso legata alle tradizioni del 1789. Fu allora che a L. F. giovarono i precedenti di Valmy e di Jemmapes, abilmente messi in vista.

Così che quando le giornate del luglio 1830 rovesciarono Carlo X, il movimento orleanista si trovò nelle condizioni migliori per accaparrarsi i frutti della rivoluzione vittoriosa. Lo stesso Carlo X, al momento del suo crollo, dimostrò di rendersi conto della forza che era ormai in L. F., offrendo a questo la luogotenenza generale del regno e la tutela del piccolo nipote duca di Bordeaux. Il tentativo estremo di salvezza della propria dinastia così fatto da Carlo X naufragò, sia per la piega presa dagli avvenimenti, sia per l'ambizione personale di L. F., che mirava al trono e che lo raggiunse con la proclamazione del 9 agosto. Dopo l'avvento al trono, la storia di L. F. per 18 anni si confonde con quella della Francia (v. francia: Storia). Fin dall'inizio la sua azione di sovrano si trovò a dovere lottare tra le difficoltà di un equivoco insito nelle origini stesse della nuova monarchia, che si presentava per molti come il prodotto di una rivoluzione vittoriosa e quindi come diretta a sviluppare un'ulteriore azione rivoluzionaria all'interno e all'estero; mentre nel pensiero di una forte corrente dei suoi fautori, e soprattutto in quello del suo capo, era la soluzione adottata per arginare e impedire un dilagamento rivoluzionario. La politica del nuovo sovrano fu quindi subito diretta ad attuare il distacco dalla rivoluzione e l'instaurazione di un regime di ordine nel quale la personalità e l'azione del re avessero un'influenza predominante.

Questa politica, non ben chiara nei primi tempi quando fu necessario tenere a bada e accarezzare le correnti democratiche esaltate, si delineò nettamente con l'avvento al potere di Casimir Perier (marzo 1831). Il sovrano nei suoi rapporti con gli altri sovrani e governi d'Europa insisteva nel presentare il proprio avvento come una garanzia d'ordine e come una necessità per salvare il principio monarchico dalle scosse e dai crolli della Rivoluzione, e ciò mentre in politica estera abbandonava alla loro sorte i movimenti rivoluzionarî d'Italia e di Polonia, accontentandosi di aiutare il movimento belga a sboccare nella costituzione di uno stato indipendente; e mentre in politica interna mirava a logorare e a liquidare gli elementi troppo compromettenti nel senso liberale-democratico e anche quelli che avrebbero voluto attuare la formula che "il re regna e non governa".

Dopo la crisi orientale del 1840 e la liquidazione di Thiers, la concezione di regno e di governo di Luigi Filippo parve realizzarsi in pieno, mediante la collaborazione del fido ministro Guizot. Per circa otto anni il re poté regnare e governare, e dare sfogo alla sua tendenza, che spesso assumeva forme quasi ingenue di vanità, di apparire l'ispiratore e il moderatore supremo di una politica mirante ad assicurare la prosperità e il benessere dei Francesi (fu l'epoca dell'enrichissez-vous) mediante la pace all'estero e un regime di ordine e di autorità all'interno. In politica interna le opposizioni apparivano impotenti nell'ambiente cristallizzato del paese legale; in politica estera la rottura dell'intesa con l'Inghilterra, che aveva costituito la direttiva della monarchia di luglio fino dalle origini, era compensata con l'avvicinamento all'Austria (1846). I progressi e i successi in Algeria sembravano assicurare al regime anche gli allori militari.

Ma L. F., malgrado la sua finezza e la sua astuzia, che spesso degenerava in finzione, fallì nel tentativo di assicurarsi l'appoggio delle vere correnti e forze conservatrici, quelle legittimiste, che rimanevano fedeli alla dinastia detronizzata e che ostentavano di considerarlo sempre un usurpatore. Ciò finì col rendere debolissimo il suo regime, contro le opposizioni che, impotenti nel parlamento, si sviluppavano e si organizzavano nel paese. E quando nel febbraio 1848 un movimento rivoluzionario scoppiò contro di lui, L. F. non riusci a evitare la sorte di Carlo X, malgrado le benemerenze innegabili che si era acquistato coi successi conseguiti nella questione belga e nell'impresa algerina, e con l'impulso dato al progresso e all'arricchimento della borghesia francese.

Travolto dalla rivoluzione, dovette fuggire in esilio in Inghilterra, mentre i repubblicani liquidavano il 24 febbraio il tentativo fatto dai superstiti orleanisti di salvare la monarchia e la dinastia con la proclamazione del piccolo conte di Parigi, nipote del re abdicatario e fuggiasco. Esule in Inghilterra, seguì con ansia, ma senza troppa fiducia, le manovre del partito orleanista per volgere a favore di una restaurazione il fallimento, presto delineatosi, della seconda repubblica. Morì a Claremont (Inghilterra) il 26 agosto 1850, quando già alta brillava la stella di Luigi Napoleone.

Bibl.: V. bibl. gen. della voce francia. Inoltre: F. Guizot, Mém. pour servir à l'hist. de mon temps, voll. 8, Parigi 1859-1872; F. Rittiez, Hist. du règne de Louis-Philippe, Parigi 1855-58; P. Thureau Dangin, Hist. de la mon. de Juillet, voll. 7, Parigi 1884-1891; I. Crétineau-Joly, Hist. de L.-Ph. et de l'orléanisme, Parigi 1889-90; P. Silva, La monarchia di luglio e l'Italia, Torino 1917; P. De La Gorce, L. Ph., Parigi 1931.

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