(PDF) Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) | Graziella Martinelli Braglia - Academia.edu
DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LE ANTICHE PROVINCIE MODENESI ATTI E MEMORIE Serie XI, vol. XLIV MODENA - AEDES MURATORIANA 2022 Graziella Martinelli BraGlia LE “ALLEGREZZE” PER LE NOZZE DI FRANCESCO I D’ESTE E LUCREZIA BARBERINI (1654) Lucrezia Barberini (1628-1699), principessa romana, partì dalla città dei papi il 9 aprile, accompagnata dal cardinale Rinaldo d’Este, zio del promesso sposo Francesco I, terzo duca del ramo modenese; a lui, rappresentato dal principe Luigi d’Este, si unì in matrimonio per procura nel Santuario di Loreto il 15 aprile. Giungerà a Modena venerdì 24 aprile, accolta da straordinarie dimostrazioni di giubilo e da memorabili “allegrezze”. Queste con la figlia di Taddeo Barberini, principe di Palestrina e Generale della Chiesa, e di Anna Colonna dei principi di Palliano, nonché pronipote di papa Urbano VIII e nipote del cardinale Antonio, erano per Francesco I le terze nozze, dopo quelle con Maria, figlia del duca Ranuccio I di Parma, nel 1631, e le seconde con la sorella di lei Vittoria, nel 16481. L’unione, che aveva visto l’iniziale opposizione della Francia, era stata in seguito da questa propiziata grazie all’appoggio del suo primo ministro, il cardinale Giulio Mazarino, e mirava a consolidare la presenza e il ruolo di Casa d’Este nella corte romana. Fu quello di Lucrezia Barberini un percorso trionfale nei territori pontifici, e culminò nelle feste al suo arrivo nella capitale estense. Come illustra con cortigiana sollecitudine Leone Allacci nel resoconto Del viaggio della Signora D. Lucretia Barberina2, dopo le sontuose ospitalità nelle soste in itinere del suo corteo, la sposa a Modena poté godere – o forse subì – l’omaggio di una fitta sequenza di cerimonie, spettacoli e feste, in cui si alternavano momenti privati, ristretti alla corte, e momenti pubblici, fra cortei di carrozze e di cavalieri nelle strade cittadine “addobbate e piene di folto popolo”, come le descrisse Lodovico Vedriani3. 1 Per queste nozze e per la politica matrimoniale di Francesco I, si veda e. M ilano , Gli Estensi. La corte di Modena, in Gli Estensi. La corte di Modena, a cura di M. Bini, Modena 1999, pp. 9-137, a p. 44. Su Lucrezia Barberini si veda a. G roppi , La sindrome malinconica di Lucrezia Barberini d’Este, in “Quaderni Storici”, n.s., 43, n. 129/3 (2008), pp. 725-749. 2 l. a llacci , Del viaggio della Signora D. Lucretia Barberina Duchessa di Modena da Roma a Modena Lettera di Leone Allacci all’Ill.mo Sig.e il Sig. Marcantonio Spinola, Genova 1654. Leone Allacci (1586 ca.-1669), teologo ed eruditissimo poligrafo, fu bibliotecario di Francesco Barberini e dal 1661 Primo Custode della Biblioteca Vaticana. 3 l. V edriani , Historia dell’antichissima città di Modona, parte seconda, in Modona, per il Soliani, 1667, p. 697; inoltre l.a. M uratori , Delle Antichità Estensi, Modena, Soliani, 1717-1740, II, p. 560. Graziella Martinelli BraGlia 194 Le feste della corte: le commedie, i balletti e il dramma in musica Gli Amori di Alessandro con Rossane Il giorno dell’arrivo di Lucrezia, il 24 aprile, si tenne in palazzo una commedia di comici, sempre assai apprezzati dalla corte estense. Allacci riferisce che nella serata di sabato 25 venne rappresentata la “giostra superbissima” di cui si dirà oltre. Il giorno dopo fu allestito un fastoso pranzo “nella pubblica anticamera” imbandito per Lucrezia, Francesco e sei principi del sangue, tra cui la duchessa di Guastalla, Margherita d’Este sorella del duca e consorte di Ferrante III Gonzaga, in una sorta di esposizione alla cittadinanza della novella sovrana. Seguì una giostra con corsa dell’anello a cui parteciparono l’erede al trono Alfonso e il principe Borso, zio del duca, oltre a trenta cavalieri “con abiti ricchissimi di campagna”, non “di gala” e più idonei a cavalcare, e alla sera una “nobilissima festa di Ballo”. Il giorno dopo si mise in scena un’altra commedia di comici, e quindi la corte si trasferì in visita alla Cittadella, evento eccezionale in quanto la poderosa fortezza a pianta stellata, fatta erigere da Francesco I poco più di un ventennio prima, era luogo tenuto assai riservato. Martedì, ennesima commedia dei comici e alla sera un balletto, eseguito dal principe Almerico e dalle principesse estensi in una sala della dimora ducale adibita a teatro4. Notevoli l’apparato scenografico e la coreografia: su un grande scoglio si esibirono “tre bravissimi Musici che figuravano il Tevere, il Panaro e il Rodano in gran contesa”, ciascun fiume – di Roma, di Modena e della Francia che aveva sostenuto le nozze – reclamando per sé la sposa. Quand’ecco, deus ex machina, giunse Imeneo, il dio delle nozze, cavalcando un’aquila bianca, emblema araldico estense, che destinò Lucrezia al Panaro, esortando a feste e a balli nell’avvento di una nuova Età dell’oro. Si aprì dunque lo scoglio e, rimasto il solo Panaro, si presentò una “scena vaghissima di scogli” con sopra le principesse in abiti da ninfe; al centro, l’Età dell’oro “cantò in lode degli sposi”. Si può presumere che l’ideatore della macchina dello scoglio fosse Gaspare Vigarani (1586-1663), dal 1644 “Ingegner e Sopraintendente Generale delle Fabriche” ducali5, coinvolto, come si vedrà, anche nella giostra di piazza Grande; d’altro canto, era stato proprio con la progettazione di macchine a soggetto sacro nella natia Reggio che Vigarani si era affermato come estroso inventore e costruttore di congegni meccanici e di architetture effimere6. In quanto al balletto, è evidente il carattere aristocratico di questa forma di spettacolo, da tenersi nella dimensione riservata delle sale palatine, secondo una consuetudine francese raccolta anche dalla corte sabauda e da quella farnese a Parma con esiti assai alti; e, com’è ben noto, strettissimi erano i vincoli parentali fra queste casate e gli Estensi7. 4 Il balletto è descritto in a llacci , op. cit., p. 92. Su Gaspare Vigarani si vedano i vari contributi e la ricca bibliografia in Gaspare & Carlo Vigarani. Dalla corte degli Este a quella di Luigi XIV, atti del convegno internazionale (6-10 giugno 2005, Reggio Emilia-Modena-Fiorano Modenese-Sassuolo-Versailles), a cura di W. Baricchi, J. de La Gorce, Cinisello Balsamo (MI) 2009. 6 Si rimanda ad a. Jarrard, Gaspare Vigarani: le macchine, la prospettiva e l’architettura, in Modena 1598. L’invenzione di una capitale, a cura di M. Bulgarelli, C. Conforti, G. Curcio, Milano 1999, pp. 193-217, a p. 194. 7 Si rinvia, anche per approfondimenti su vari aspetti della politica celebrativa attraverso lo spettacolo, 5 Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 195 Quindi, fu la volta della rappresentazione de Gli Amori di Alessandro con Rossane8, “dramma musicale” il cui libretto, consistente nella sola trama, fu pubblicato da Andrea Cassiani “Stampator Ducale” in Modena nel 1654 (fig. 1). Non vi è indicazione né dell’autore dei testi né del compositore, ma, in quanto al primo, è identificabile nell’accademico fiorentino Giacinto Andrea Cicognini (1606 ca.-1650). Gli Amori di Alessandro, rappresentati per la prima volta a Venezia per il carnevale del 1651, nel Teatro dei SS. Apostoli, con musiche di Francesco Lucio, o Luzzo, e allestimento dell’impresario e scenografo Giovanni Burnacini, che firma la lettera dedicatoria di quel libretto il 24 gennaio 16519, furono più volte replicati, con varianti, come nell’edizione per il Teatro Formagliari di Bologna nel febbraio del 1656, dedicato alle “illustrissime Dame di Bologna”10. In questo libretto si riporta che la musica, “in ultimo grado d’esquisitezza”11, è del reggiano Benedetto Ferrari detto dalla Tiorba (1603/1604-1681)12, il celebre compositore e “virtuoso” della tiorba, dapprima al servizio dei Farnese a Parma, quindi passato a Vienna, nella cappella musicale dell’imperatore Ferdinando III, e infine dal 1° settembre 1653 maestro di Cappella alla corte di Francesco I d’Este13. Il libretto della rappresentazione estense riporta, accanto ai personaggi, gli interpreti citati spesso solamente con il cognome o il nome, cosa motivabile con il carattere privato dello spettacolo, limitato alla stretta cerchia cortigiana dove gli esecutori dovevano essere ben noti; ora, si ipotizzerà di dare un’identità ad almeno alcuni di loro (fig. 2). Soltanto una donna vi compare, la “Signora Antonia Scala” che si esibisce nella parte di Rossane. L’altro protagonista, Alessandro, è interpretato dal “Signor Paini”, probabilmente quell’Alfonso Paini maestro di cappella e organista in servizio presso la Congregazione della Beata Vergine e di San Carlo, dal marzo del 1653 almeno sino alla fine del 1656 e dal a Feste barocche. Cerimonie e spettacoli alla corte dei Savoia tra Cinque e Settecento, catalogo della mostra a cura di C. Arnaldi di Baime, F. Varallo (Torino, Palazzo Madama), Cinisello Balsamo (MI) 2009, e Il dovere della festa. Effimeri barocchi farnesiani a Parma, Piacenza e Roma. 1628-1750, catalogo della mostra a cura di F. Magri, C. Mambriani (parma, Palazzo Bossi Bocchi), Parma 2018. 8 Si veda d. p ietropaolo , M.a. p arker , The Baroque Libretto. Italians Operas and Oratorios in the Thomas Fisher Library at University of Toronto, Toronto 2011, p. 79. Sulla rappresentazione modenese si rinvia a M.V. M eletti , Il cerimoniale festivo: la strategia politica della festa alla corte estense nella prima metà del Seicento, in Il Palazzo Ducale di Modena, a cura di E. Corradini, E. Garzillo, G. Polidori, Cinisello Balsamo (MI) 1999, pp. 185-193, alle pp. 188-189. 9 Gli Amori di Alessandro Magno, e di Rossane, Dramma musicale posthumo del dottor Hiacint’Andrea Cicognini, in Venetia, per Gio: Pietro Pinelli, MDCLI, p. 10. Si rinvia a S. Franchi, Drammaturgia Romana, v. 2, Roma 1988, pp. 366-367; c. S teffan , f. l ucio , Giacinto Andrea Cicognini, in Dizionario Biografico degli Italiani, 66, Roma 2006, ad vocem. 10 Il dramma in musica di Cicognini fu rappresentato in diverse edizioni. Si veda f. c oncetta , S. c aStelli , Per una bibliografia di Giacinto Andrea Cicognini. Successo teatrale e fortuna editoriale di un drammaturgo del Seicento, Firenze 2001, Catalogo delle opere, pp. 118-125, con bibliografia. 11 Gli Amori di Alessandro Magno, e di Rossane, Dramma Musicale posthumo del Dottor Giacinto Andrea Cicognini, Bologna, per i tipi di Giacomo Monti, 1656, p. 6. 12 Così anche p ietropaolo , p arker , op. cit. 13 Si rinvia a l. d ella l iBera , Benedetto Ferrari, in Dizionario Biografico degli Italiani, 46, Roma 1996, ad vocem; le vicende modenesi di Ferrari sono riepilogate in G. Martinelli BraGlia, Il Teatro Ducale Grande di Modena: “drammi in musica” e impresari all’epoca di Francesco I e Francesco II d’Este, in “Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena”, s. IX, III (2019), pp. 31-62, alle pp. 40-47. 196 Graziella Martinelli BraGlia Fig. 1 - Gli Amori di Alessandro con Rossane, libretto del “dramma musicale”, in Modana, per Andrea Cassiani “Stampator Ducale”, 1654. Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) Fig. 2 - Gli Amori di Alessandro con Rossane, elenco degli interpreti del “dramma musicale”. 197 198 Graziella Martinelli BraGlia 1664 al 166814. La congregazione religiosa, che gestiva il prestigioso Collegio San Carlo o dei Nobili di Modena, grazie anche a un legato del nobile Camillo Molza vantava infatti una rinomata cappella musicale che, almeno dal 1648, espletava funzioni liturgiche. In quanto a “Oristilla in abito di Flammiro”, ne ricopre il ruolo il “Signor Martio”, identificabile in Marzio Erculei (1623-1706)15. “Musico ecclesiastico” della congregazione dal 1652 al dicembre del 1668, Erculei fu sopranista al servizio estense dal 163816, passando tra i salariati ducali dal 1651 al 1674; trattatista e docente di canto fermo nel Collegio San Carlo dal 1668 al 1688, è noto come maestro del celebre Antonio Maria Pacchioni. Compaiono fra gli interpreti numerosi religiosi, sacerdoti o frati. Nel ruolo di “Alcone marinaro” si rinviene il “Sig. Arciprete di Scandiano”: forse quel don Giulio Bertolani da Scandiano che presta alla congregazione la sua opera di musicista dal 1648 al 1655 e, meno sistematicamente, sino al 166717. La parte di Satrape, padre di Rossane, interpretata dal “Signor Fogliani”, era probabilmente affidata a quel Carlo Fogliani che fra il 1650 e il 1651 si ritrova come musico della stessa congregazione. Il “Padre Frà Rocco” nel ruolo di Cratero, capitano di Alessandro, può esser quel frà Rocco dei Servi di Maria contralto della congregazione dai primi del 1649 al 166218. Mentre “Linda nudrice di Rossane” doveva esser parte ricoperta dal carmelitano frà Crisogono Aliprandi, musico al servizio della corte19. E si vedrà come anche nei festeggiamenti curati dalla Comunità molti dei musici siano appunto ecclesiastici. La mise en scéne, di cui non è stato tramandato l’autore, doveva molto concedere alla spettacolarità, prevedendo macchine, voli e mutazioni di scena; queste comprendono i Giardini Reali, la Città di Satrapene in lontananza con le Tende dei Macedoni in primo piano, un Regio Cortile, i sobborghi e la Fortezza di Satrapene, una Scena Boschereccia, una Reggia Nobile, Giardini Reali, una “Maritima”. Spettacolari gli intermezzi, dove compaiono gli dei dell’Olimpo: nel Prologo, “Amore Guerriero compare sopra un Drago” nei giardini reali; nel secondo intermezzo, “Marte, Venere dal Cielo e Gano buffone che introduce un ballo di Gobbi” in una scena boschereccia – si tratta, in effetti, di un’opera tragicomica. Nella conclusione, “Amore in Scena, e Giove, con molte Deità, che calano sopra una gran Machina, ove prende Amore un volo da terra, e vien raccolto da Giove nel proprio Soglio”. Le scene non si scostavano di molto da quelle della citata rappresentazione di Burnacini nel suo Teatro dei SS. Apostoli, un “picciolo Theatro”, come egli stesso lo definisce: “Il Tempio di Diana abbruciato / Campagne con Padiglioni da guerra, e in lontano la Città di Satrapene / Mura e Fortezza 14 Si rinvia per approfondimenti al fondamentale saggio di a. chiarelli, La musica, in La Chiesa e il Collegio San Carlo di Modena, a cura di D. Benati, L. Peruzzi, V. Vandelli, Modena 1991, pp. 249-255, a p. 249. 15 Così a. M orelli , Marzio Erculei, in Dizionario Biografico degli Italiani, 43, Roma 1993, ad vocem. 16 c hiarelli , op. cit., p. 250; Eadem, Musica e istituzioni di San Carlo, in Grandezze e Meraviglie. V Festival Musicale Estense, Mantova 2002, a cura di E. Bellei, pp. 8-11, a p. 9. 17 Si rinvia a c hiarelli , op. cit., pp. 249-250. 18 Ibidem, p. 249. 19 r. r oncroffi , Marco Uccellini violinista e compositore del secolo XVII, in “Quadrivium”, v. II, f. II (1991), p. 14. Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 199 di Satrapene / Sala Regia nella Corte di Satrape / Giardino / Porto di Mare con Palazzo di Linca”20. Non è noto, a tutt’oggi, quale fosse l’ambiente in cui a Modena si rappresentò Gli Amori di Alessandro, se il vastissimo salone di corte, che nelle grandi dimensioni dava seguito alla tradizione ferrarese, adibito a “teatro” per l’occasione, o il Teatro della Spelta, sala ricavata in un edificio del complesso comunale sulla via Emilia, che sin dal 1539 accoglieva spettacoli e soprattutto commedie di comici, ma che, pur ristrutturato nel 1652 da Cristoforo Malagola detto il Galaverna – l’architetto della Comunità di cui si dirà oltre – non disponeva di un’idonea scena, come tramandano le piante21. Certo è che l’allestimento di un dramma in musica era in genere più impegnativo di quello di un balletto, richiedendo un apparato scenotecnico senz’altro più complesso, dovendo prevedere non soltanto la movimentazione delle macchine e i dispositivi per gli effetti scenici, ma anche le attrezzature per le “mutazioni”, i voli e le apparizioni dei personaggi; necessitava non solo di un ampio spazio, ma di un vero teatro stabile dalle opportune dimensioni e con un imponente apparato di marchingegni. Sarà forse valutando l’inadeguatezza dei luoghi disponibili se ai primi d’ottobre di quello stesso 1654 Francesco I intraprenderà la costruzione del Teatro Ducale Grande o di Piazza, con una vasta area riservata alle macchinerie, ricavato da Gaspare Vigarani nella Sala dei Notai, nell’ambito delle residenze comunali22. Le “allegrezze” della Comunità: l’anfiteatro e la giostra L’11 marzo 1654 Francesco I aveva richiesto ai Conservatori di manifestare il giubilo della sua capitale mediante festeggiamenti “col decoro conveniente” all’altissimo rango della sua consorte23. E i Conservatori vollero “intraprendere le dovute accoglienze con quella festività, e letizia, che meglio potesse esprimere il pubblico contento”24. Si decise per una giostra da tenersi nella Piazza Grande, preannunciata da una sontuosa macchina, entro un grandioso anfiteatro effimero; a conclusione, uno spettacolo di sfavillanti fuochi pirotecnici. La sede prescelta non poteva che essere il cuore della città, la piazza dal perimetro compreso fra i palazzi della Comunità, il Duomo e il Vescovado, in quanto l’evento riguardava l’intera popolazione e nel contempo costituiva la presa di possesso della capitale da parte della nuova duchessa. Un ventennio prima, il 14 giugno 1635, nella Piazza Grande era stato allestito un magnifico torneo voluto da Francesco I per celebrare il passaggio in città del cardinale Maurizio di Savoia, fratello di sua madre Isabella. Rimane una pianta, 20 Gli Amori di Alessandro Magno, e di Rossane, op. cit., pp. 8-10. Si rinvia a G. Martinelli BraGlia, La Sala della Spelta a Modena, “teatro delle commedie” tra Cinque e Seicento, in corso di stampa in “Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena”. 22 Si veda Martinelli BraGlia, Il Teatro Ducale Grande di Modena, op. cit., pp. 40-42. 23 Archivio Storico Comunale di Modena (ASCMo), Ex Actis, 14 marzo 1654. 24 Descrizione delle Allegrezze fatte dalla Città di Modana per le nozze del Serenissimo Padrone e della Serenizzima Principessa Lucrezia Barberini, in Modana, per Bartolomeo Soliani, 1654, p. 3. 21 200 Graziella Martinelli BraGlia disegnata a inchiostro e sanguigna, con un sommario progetto dell’anfiteatro entro il rilievo della piazza, datato al 1635 e siglato “F.V.”, iniziali dell’architetto ducale Francesco Vacchi, evidentemente autore del rilievo25. L’autore del progetto dell’anfiteatro, a cui si iniziò a lavorare sin dal mese di gennaio, era Alfonso Rivarola detto il Chenda, che per la prima volta vi aveva delineato la tipologia della sala teatrale a palchetti; vi si tenne “una giostra a campo aperto di notte a forza di lumi e fochi artificiati”26, organizzata dal marchese Enzo Bentivoglio, mentre l’invenzione tematica e la parte letteraria spettavano al Segretario ducale e poeta Fulvio Testi27. E certamente quello spettacolo, che affermava il primato estense nella tradizione cavalleresca28, costituì un esempio imprescindibile per i festeggiamenti del 1654. Per certi aspetti, un altro suo precedente dovette essere la festa allestita l’8 aprile 1645 dalla Città di Torino per il rientro del duca Carlo Emanuele II di Savoia con la reggente Cristina di Francia, che vide innalzarsi nella piazza del Municipio torinese “un luminoso theatro (…) adornato di quattro piramidi tutte circondate di lumi con molte balaustrate guarnite di fiaccole accese”29. La memoria dei festeggiamenti del 1654, di cui sinora non sono noti documenti visivi, è tramandata nel volumetto di Girolamo Graziani (1604-1675), Consigliere e Segretario ducale nonché poeta di corte30, Descrizione delle Allegrezze fatte dalla città di Modana per le nozze del Serenissimo Padrone e della Serenissima Principessa Lucrezia Barberini, in Modana, per Bartolomeo Soliani, 165431; 25 Per approfondimenti sulle feste in onore del cardinale Maurizio di Savoia si rimanda al magistrale saggio di S. erriquez, I mestieri e lo spazio del teatro: la scena del Chenda, in “Teatro e storia”, Annali 5-6, XIII-XIV, 1998-1999, pp. 341-388, alle pp. 379-380; il “Disegno della Piazza”, pubblicato a p. 380, è conservato nell’Archivio di Stato di Modena, Mappario Estense, Serie Generale, n. 35. 26 V. coloMBi, Cronaca di Modena dal 1613 al 1634, Biblioteca Estense Universitaria di Modena, ms. y B.6.11, c. 14. Inoltre, M. piGozzi, Strategie festose a Modena e a Reggio. Il valore politico e sociale della festa, in Gaspare & Carlo Vigarani, op. cit., pp. 271-283, cit., a p. 277. 27 Si rinvia a erriquez, op. cit., pp. 362-363. 28 Richiamano questi festeggiamenti r. pacciani, Temi e strutture narrative dei festeggiamenti nuziali estensi a Modena nel Seicento, in Barocco romano e barocco italiano, a cura di M. Fagiolo, M.L. Madonna, Roma 1985, pp. 204-216; M. piGozzi, La ricerca della claritas. La luce nella strategia della festa, in La città illuminata. Saggi sulla storia della luce artificiale a Modena, Modena 1993, pp. 23-61, alle 36-37, 60 n. 29. Inoltre, V edriani , op. cit., p. 697. 29 Trascritto in c. a rnaldi di B aiMe , Le feste a corte a Torino tra spazi reali e itinerari simbolici, in Feste barocche. Cerimonie e spettacoli alla corte dei Savoia, op. cit., pp. 27-39, a p. 36. 30 Su Girolamo Graziani si veda il profilo tracciato in l. S ilinGardi , La Madonna della Ghiara con san Giorgio di Jean Boulanger nella Cattedrale di Pergola e la diffusione del culto della Madonna di Reggio nelle Marche, in “Quem genuit adoravit”. La Madonna della Ghiara: Immagini, devozione, pellegrinaggi tra Cinque e Seicento. Casi esemplari, a cura di A. Mazza, Parma 2019, pp. 183-203, alle pp. 183-192. 31 Notevole fu anche la produzione letteraria e tipografica nell’occasione di questo matrimonio; ai titoli già menzionati vanno aggiunte la raccolta poetica del marchese Alfonso Molza, dal 1668 presidente dell’Accademia degli Apparenti di Carpi, Oda per le felicissime nozze de’ Serenissimi Principi Francesco d’Este e Lucrezia Barberini duchi di Modana, stampata da Bartolomeo Soliani in quel 1654; Nelle Felicissime nozze de Serenissimi Principi Francesco da Este e di Lucrezia Barberini Duchi di Modana, Oda del Signor Alessandro Lanci, in Modana, per Bartolomeo Soliani, 1654 (fig. 4), e la composizione poetica dal titolo Applausi di Pindo consacrati alla Serenissima Principessa Lucrezia Barberini Duchessa di Modana, stampata a Modena sempre nel 1654 da Bartolomeo Soliani, ed è lui stesso, “Lo Stampatore”, che alla novella sposa dedica gli Applausi “ch’hanno fatto gemere i torchi delle mie Stampe”. Infine, l’Oda per le Nozze di Francesco I Duca di Modena con Lucrezia Barberini composta da Francesco Maria Vecchi, canonico di Carpi e consigliere del duca Alessandro II Pico, stampata a Modena da Cassiani nel 1655. Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 201 a Graziani, infatti, spetta l’ideazione della struttura narrativa della festa (fig. 3). E poiché questa fu a carico della Comunità, che vi spese ben 35.101 ducati32, una cospicua parte della documentazione è conservata presso l’Archivio Storico Comunale di Modena, sotto la voce “Allegrezze per la venuta della Ser.ma Duchessa l’anno 1654”33. “Fù pertanto incaricato a perito Architetto il disegno, e l’edificio dell’Apparato”. La progettazione e la costruzione dell’anfiteatro furono infatti affidate a Cristoforo Malagola, detto Galaverna (1603-1654), dal 1634 “ingegnere” della Comunità34, il quale operò, si crede, sotto la supervisione di Gaspare Vigarani35; il quale con ogni probabilità contribuì allo spettacolo pirotecnico finale, e sicuramente si occupò dell’allestimento del Carro della Primavera, che le carte specificano: “fabricato dal S. Vigarani”36. D’altro canto, era stato Gaspare, all’epoca già rinomato ingegnere teatrale e scenografo, a progettare nel 1652 le due “maravigliose” macchine a tema mitologico, la Montagna di Eolo e il Tempio di Giano, per la famosa Gara delle Stagioni, il torneo a cavallo tenutosi sul piazzale della dimora ducale, durante la visita degli arciduchi d’Austria Ferdinando Carlo, Sigismondo Francesco e Anna di Toscana37. Fu scelta per l’anfiteatro modenese la pianta ovale, che consentiva di usufruire di un più lungo spazio d’azione, sia per il movimento delle macchine che per i cavalieri torneanti, e garantiva la miglior visuale e una più netta gerarchizzazione dei posti. Anche l’anfiteatro costruito nel 1660 per Il trionfo della Virtù, festa d’armi per la nascita del futuro Francesco II, sarà di pianta pressoché ovale. Secondo la prassi consolidata nei cantieri ducali, si lavora suddivisi in squadre; Malagola attende in particolare alla costruzione dell’anfiteatro: “Fù fatto mandato al d. Cristoforo Malagoli di L. dugento trenta sette e quindici per pagar gl’operarj…”38; formule analoghe si ritrovano con frequenza pressoché settimanale, anche per pagamenti più elevati: ad esempio, il 28 marzo, data ormai prossima all’evento, l’architetto riceve ben L. 406.10, possibile segnale di un’accelerazione dei lavori39. 32 ASCMo, “Allegrezze 1657 al 1720, f. 14, “Reggistro de’ mandati per l’occasione dell’allegrezze per la venuta della Ser.ma Duchessa l’anno 1654”, c. 34r. 33 Descrizione delle Allegrezze, cit., p. 3. 34 Su Cristoforo Malagola detto Galaverna si veda d. f erriani , La chiesa del Voto dal 1630 al 1700, in L’amorevole maniera. Ludovico Lana e la pittura emiliana del primo Seicento, catalogo della mostra a cura di D. Benati, L. Peruzzi, (Modena, Chiesa del Voto - Galleria Estense) Milano 2003, pp. 41-49, alle pp. 4243; G. M artinelli B raGlia , Galaverna Malagola Cristoforo, in Allgemeines Kunstler-Lexikon, 47, München-Leipzig 2005, p. 392; Eadem, Il complesso di San Paolo, in I luoghi del sapere, a cura di A.O. Andrisano, UNIMORE, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Modena 2019, pp. 144-167; Eadem, La chiesa di San Giorgio a Modena: il cantiere seicentesco e gli Estensi, in corso di stampa in “Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena”. 35 Archivio di Stato di Modena (ASMo), Camera Ducale, Bolletta dei Salariati, b. 157, a. 1644. 36 ASCMo, “Allegrezze 1657 al 1720”, “1654. Allegrezze per la venuta della Ser.ma Duchessa l’anno 1654”, f. 14, doc. s.d. Vi si rinvengono elenchi di tutti i materiali ordinati da Gaspare Vigarani per la costruzione del carro, affidato in quanto a esecuzione a Ottavio Biavardi; ivi, “Reggistro de’ mandati”, con vari pagamenti, tra cui L. 626.9, c. 23v., 27 aprile. 37 Si veda J arrard , op. cit., p. 196. 38 ASCMo, “1654 Allegrezze per la venuta della Ser.ma Duchessa l’anno 1654”, “Reggistro de’ mandati”, c. 2r, 21 marzo. 39 Ivi, c. 4v, 28 marzo. 202 Graziella Martinelli BraGlia Fig. 3 - Girolamo Graziani, Descrizione delle Allegrezze fatte dalla città di Modana, in Modana, per Bartolomeo Soliani, 1654. Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 203 Fig. 4 - Alessandro Lanci, Nelle Felicissime nozze de Serenissimi Principi Francesco da Este e di Lucrezia Barberini Duchi di Modana, in Modana, per Bartolomeo Soliani, 1654. Graziella Martinelli BraGlia 204 Nel “Reggistro de’ mandati” si rilevano frequentissime annotazioni di acquisti di legname. Un solo fornitore e un’unica località d’approvvigionamento ovviamente non bastano, ed ecco acquisti in tempi diversi da Nonantola, e sono i più ingenti forse per le aree boschive di quel territorio, da Ravarino e dalla vicina Stuffione, da Cavezzo, da Cà de Coppi (odierna frazione di Camposanto), forse per la prossimità al Bosco della Saliceta, e da Finale. Anche il lapicida e capomastro Tommaso Loraghi (1608-1670), collaboratore dell’architetto di Francesco I Bartolomeo Avanzini e suo successore alla direzione delle fabbriche estensi, è fornitore di materiali: fra l’altro, alla fine di marzo procurerà “asse di piella” – legno non pregiato – per L. 140.12 e L. 126.0040. Il nome di Loraghi è accostato a quello di Cristoforo Malagola, il che fa immaginare che il legname serva per la carpenteria dell’anfiteatro, a cui l’architetto della Comunità presiede. Notevole è anche la quantità di gesso, che giunge da vari luoghi, ma soprattutto dalla zona di Scandiano41. E tra i vari materiali, come colori, pennelli, “tirmentina, e cira gialla”, e “tanta roba (…) dalla bottega di spezieria” di tale Corti, si acquista “oro cantarino”, una composizione metallica, talora in polvere, impiegata per false dorature 42. Artigiani e artisti del ducato estense I documenti tramandano tanti nomi di artefici impiegati in queste “allegrezze”. All’apparato ornamentale dell’anfiteatro attende Pellegrino Trevisi, pagato, il 26 aprile, “per haver fatto otto capiteli sopra le Colone della faciata con folie (…) conforme al Ordine del S.re Cristofaro Galaverni, per cinquanta rosoni nella Cornice et cinquanta folie nelli modioni dell’istessa Cornice”43. Il maestro intagliatore parteciperà nel 1663 al cantiere aperto dalla duchessa Laura Martinozzi d’Este nella chiesa di Sant’Agostino, dove, fra l’altro, realizzerà gli splendidi fregi della cassa dell’organo cinquecentesco di Giovanni Battista Facchetti e l’ancona, vera “macchina” lignea, sul lato sinistro della crociera per l’altare di San Contardo d’Este44. Determinante è l’impegno dei doratori. Fra questi, Bartolomeo Schedoni, appartenente alla famiglia di “mascherari” del celebre pittore suo omonimo, già impiegato nell’allestimento dell’anfiteatro e del torneo del 1635, assieme al fratello Domenico che guida l’équipe di stuccatori, doratori e artigiani della cartapesta45, con accanto l’altro familiare Giulio 40 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 4r, 27 marzo; c. 6v., 3 aprile. Ivi, c. 3r, 23 marzo, acquisto di gesso da Luigi Martini di Scandiano. 42 Ivi, c. 2r, 18 marzo, acquisto di oro cantarino da Carlo Candrini; c. 5v, 1 aprile; c. 23v., 27 aprile. 43 ASCMo, colloc. cit., lista di Pellegrino Treviggi (Trevisi), 26 aprile 1654. 44 Si rinvia a e. r iccoMini , Ordine e vaghezza, Bologna 1972, p. 62; M. d uGoni , I dipinti e gli altari della chiesa, in La chiesa di Sant’Agostino a Modena, a cura di E. Corradini, E. Garzillo, G. Polidori, Cinisello Balsamo (MI) 2002, pp. 133-145, a p. 138; c. G ioVannini , L’organo della chiesa di Sant’Agostino, ibidem, pp. 211-215, a p. 212. 45 Si rinvia a e rriquez , op. cit., p. 370. La tradizione familiare di lavorazione delle maschere di cartapesta, di cui gli Schedoni furono fornitori della corte estense, risaliva almeno al capostipite Giulio, padre del pittore Bartolomeo (1578-1615); così, la bottega degli Schedoni aveva lavorato alla quintana per il carnevale del 1610 su commissione del principe Alfonso, padre di Francesco I. Anche per altri dati sulla famiglia si veda 41 Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 205 Schedoni coadiuvato dai suoi garzoni46. Compaiono anche Bartolomeo Bratti, “stuccatore e doratore”, socio in varie commissioni estensi con l’intagliatore frà Carlo Guastuzzi47, e il doratore bolognese Carlo Antonio Pasqualini, che riceve L. 60 per le sue dodici giornate48. Nell’apparato statuario è impegnato il ticinese “Munsù Bernardo Falconi” (1630 ca.-1696 ca.) retribuito con L. 50 “per sue opere di scultura”49. Ed è questo un inedito e precoce incarico per un maestro che opererà dapprima a Venezia, quindi dagli anni sessanta nel Piemonte sabaudo, tra Venaria e Rivoli in particolare, poi a Genova e ancora nel Veneto; all’epoca ha all’attivo lavori di statuaria del Palazzo Ducale di Sassuolo fra il 1651 e il 1652, come le aquile araldiche poste sulla facciata. Servirà nuovamente gli Este nel 1685, con le quattro statue – la Magnificenza, l’Onor Militare, l’Azione Virtuosa, la Podestà – per il prospetto del Palazzo Ducale di Modena50. Ma la schiera più nutrita è senz’altro quella dei pittori. La “Nota dell’Operarij che fa lavorare il S.e Gasparo Vigarani al Carro”51, la macchina della Primavera, riporta fra i vari nomi quello del modenese Pellegrino Ascani (1634?1720)52 che si affermerà come “fiorista” sulla scia di Pier Francesco e Carlo Cittadini, con opere nelle collezioni private e della stessa Casa d’Este, incisore ed esperto numismatico, nonché suonatore nel concerto ducale, tanto che, assieme al fratello Simone, pittore “figurista”, rientrerà fra i salariati di corte dal settimo al nono decennio del Seicento. Altro nome della squadra di Vigarani è Sebastiano Caula, padre del noto pittore Sigismondo, provetto doratore operoso nel Palazzo Ducale di Sassuolo dal 1641 – fra il 1645 e il 1648 aveva realizzato le dorature dell’Appartamento Stuccato e di altre sale – e quindi nelle monumentali ancone dell’annessa chiesa di San Francesco in Rocca53. A fornire f. d allaSta , Nuove ipotesi sulla vita di Bartolomeo Schedoni a quattrocento anni dalla morte (1615-2015) e qualche nuovo apporto sulle arti a Parma nel primo Seicento, in “Aurea Parma”, C/I (2016), pp. 35-72, alle pp. 45-46. 46 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 5v, 1 aprile. 47 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 5r, 31 marzo. Fra il 1648 e il 1652 Bratti e Guastuzzi ricevono pagamenti per dodici sgabelli e cinquantacinque poltrone con motivi a foglia per il Palazzo Ducale di Modena, e fra il 1663 e il 1664 per numerose cornici ordinate dalla duchessa Lucrezia Barberini. ASMo, Camera Ducale, Archivio per materie, Arti Belle, b. 11/1; ASMo, Casa e Stato, b. 402, fasc. “Scritture diverse di carattere amministrativo-patrimoniale riguardanti Lucrezia Barberini anni 1658-99”. Inoltre, G. Martinelli BraGlia, Guastuzzi Carlo, in Allgemeines Künstler-Lexikon, München-Leipzig 2009, pp. 233-234. Bratti eseguirà nel 1676 opere per il principe Luigi d’Este; ASMo, Camera Ducale, Archivio per materie, Arti e mestieri, b. 21, Battiloro, Documenti, novembre 1676. 48 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 22r, pagamento in data 24 aprile. 49 Ivi, cc. 6v., 3 aprile; 16r, 9 aprile 1654. 50 Si rinvia a M. p irondini , Regesto, in Ducale Palazzo di Sassuolo, a cura di M. Pirondini, Genova 1982, pp. 125-140, alle pp. 137-138; a. S archi , Il decoro esterno del Palazzo Ducale, in Il Palazzo Ducale di Modena, op. cit., pp. 109-121: 117-118,121 nn. 49, 50. l. f acchin , I Carlone: biografia e bibliografia, in Svizzeri a Torino nella storia, nell’arte, nella cultura dal Quattrocento a oggi, in “Arte&Storia”, 32 (2011), pp. 234-246. 51 ASCMo, colloc. cit., Nota dell’Operarj, 23 e 28 marzo. 52 Di Pellegrino Ascani si veda il profilo in G. Martinelli BraGlia, Un episodio del barocco estense: la cappella della Scala nell’antico monastero di San Paolo a Modena, in “Atti e Memorie della Deputazione di Storia patria per le antiche province modenesi”, s. XI, XLI (2019), pp. 269-300, con bibliografia. 53 Si rinvia a pirondini, op. cit., pp. 131-132 e 135; G. Mancini, Gli altari, in La chiesa di San Francesco 206 Graziella Martinelli BraGlia l’“argento battuto del carro”, per ben 144 lire, è il “battiloro” Andrea Fontana54, che nel 1646 aveva fornito oro per il Palazzo sassolese55. In quanto alla decorazione pittorica dell’anfiteatro e delle scene, nella “Nota de’ Pittori modonesi (…) per servizio dell’Allegrezza” ricorrono nomi di autori legati alla corte56. Compare Francesco Stringa (1635-1709), con vari pagamenti dal consistente ammontare57. Gli inediti documenti gettano luce su quello che è uno sconosciuto episodio dei suoi esordi: il futuro pittore della corte estense, e dal 1685 Sovrintendente alle fabbriche ducali, è all’epoca neppure ventenne e si va affermando negli ambienti cortigiani soprattutto con disegni preparatori per incisioni di volumi a stampa58. Con lui è il fratello Agostino (1641-1699), appena tredicenne, che spesso lo affiancherà specializzandosi nel genere della natura morta: un’interessante figura che da qualche anno si va riscoprendo, a cui è stata assegnata la notevole Natura morta con scatola di “chioccolata fina” già nella Galleria Campori e ora nel Museo Civico di Modena59. C’è anche Flaminio Veratti, detto Pistazocchi, compensato con L. 30 per “sue pitture”60, destinato a divenire il più stretto collaboratore di Francesco Stringa assieme ad Agostino, lavorando a fianco del maestro come ornatista nelle perdute decorazioni delle chiese delle Monache della Madonna e delle Domenicane di San Marco; nell’ultimo capitolo dell’attività di Francesco, Veratti avrà una parte notevole nel gonfalone della Comunità con i Santi Geminiano, Omobono e Contardo d’Este nella chiesa del Voto, del 169961. Altra figura inserita fra i “Pittori modonesi”, nonostante sia sassolese e risieda a Reggio, è quella di Tommaso Costa (1635-1690)62, formatosi nella cerchia di Jean Boulanger nel Palazzo di Sassuolo, autore di pitture murali nel santuario estense della Beata Vergine del Castello a Fiorano, con una cospicua produzione di pale d’altare da buon emulo di Olivier Dauphin, nipote di Boulanger63. Compare anche Natale Dall’Ara (doc. in Rocca a Sassuolo, a cura di V. Pincelli, V. Vandelli, Modena 1999, pp. 105-115: 105; l. SilinGardi, Regesto e documenti, ibidem, pp. 227-266, a p. 235, 2 settembre 1673. Negli anni sessanta Caula attenderà a cornici destinate al palazzo già Bentivoglio a Gualtieri, per conto della duchessa Laura Martinozzi d’Este; si veda il saggio, che resta fondamentale per la cultura figurativa del Seicento estense, di a. luGli, Erudizione e pittura alla corte estense: il caso di Sigismondo Caula (1637-1724), in “Prospettiva, 21 (1980), pp. 57-74, a p. 59. 54 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 9r, 9 aprile. 55 Si veda p irondini , op. cit., pp. 137-138. 56 ASCMo, colloc. cit., Nota de’ Pittori modonesi che lavorano per servizio dell’Allegrezza, 23 marzo. 57 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 8r, 4 aprile 1654; c. 16v., 18 aprile; c. 23r., 27 aprile. 58 Per questa poco nota fase della carriera del pittore si rinvia a f. S ala , Francesco Stringa e la pala di San Mauro. Una storia tra arte e devozione nella Modena del Seicento, Modena 2011, pp. 23-27. 59 Si veda d. B enati , Agostino Stringa, in Museo Civico d’Arte. I dipinti antichi, a cura di D. Benati, L. Peruzzi, Modena 2005, pp. 75-76; S ala , op. cit., pp. 242-243. 60 ASCMo, colloc. cit., Registro de’ mandati, c. 16v., 9 aprile; c. 23r., 27 aprile. 61 Veratti produsse anche disegni per arredi liturgici, per la confraternita della Carità Crociata e per i Benedettini di San Pietro, nel 1697; si rinvia a G. S oli , Chiese di Modena, a cura di G. Bertuzzi, Modena 1974, v. I, p. 219; v. II, p. 370; v. III, pp. 29 e 163; la sua partecipazione al gonfalone fu avanzata da G. G uandalini , Francesco Stringa, in L’arte degli Estensi. La pittura del Seicento e del Settecento a Modena e Reggio, catalogo della mostra (Palazzo Comunale), Modena 1986, pp. 125-135, a p. 126, ripresa da G. M ancini , Scheda n. 64, in Civitas Geminiana. La Città e il suo Patrono, catalogo della mostra a cura di F. Piccinini (Palazzo Comunale), Modena 1997, pp. 193-194. 62 ASCMo, colloc. cit. 63 Si vedano G. Martinelli BraGlia, Tommaso Costa, in Dizionario biografico degli Italiani, 30, Roma Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 207 1654-1686), forse di origine bolognese, che eseguirà nel 1668 due grandi Storie del figliol prodigo e quattro sovraporte per la duchessa reggente Laura Martinozzi d’Este. E Francesco Stringa, il fratello Agostino, Veratti e Costa, assieme a Dall’Ara che opera in modo indipendente, rientreranno nella squadra dei pittori impegnati, ormai nel 1686, nella realizzazione del piccolo Teatro di Corte voluto da Francesco II all’interno del Palazzo Ducale di Modena64. Sempre nella “Nota de’ Pittori modonesi” compaiono Giocondo Aretusi, che di lì a poco, nel 1657, eseguirà con Tommaso Costa la cupola provvisoria – una tela dipinta a finta cupola – per il santuario di Fiorano65, e il reggiano Matteo Coloretti (1611-1695), residente a Modena o consueto alla città. Dal profilo ancora sfuggente, nonostante una buona produzione soprattutto in ambito reggiano66, Coloretti era sino a pochi anni fa presenza artistica esclusivamente nominale, ricordata dai soli documenti; ma di recente è stata rinvenuta la sua opera più prestigiosa, l’unica sinora conosciuta: la pala raffigurante Sant’Edilberto re di Scozia (Fondazione Cassa di Risparmio di Modena)67, già sul terzo altare di sinistra in Sant’Agostino a Modena, trasformato fra il 1663 e il 1664 in Pantheon Atestinum da Laura Martinozzi per la pompa funeraria del marito Alfonso IV d’Este. Una commissione senz’altro prestigiosa, che lo configura come uno dei “pittori se non famosi certo fedelissimi alla corte”68, tanto più che la duchessa gli ordinerà dal 1665 al 1668 numerosi dipinti di soggetto storico, mitologico e allegorico per il suo Palazzo di Gualtieri69. Poco altro di Coloretti si conosceva: oltre alla fama di “eccellentissimo ritrattista”, tuttora non verificabile70, rimaneva memoria di una pala con San Giuseppe per la chiesa della omonima confraternita71 e di suo dipinto nell’oratorio superiore di San Giovanni della Buona Morte, un Gesù Bambino che porge una scodella a San Giovannino. Si possono ora aggiungere un San Domenico, già sulla porta del convento dei Domenicani72, e tre dipinti non specificati per il conte Carlo Boschetti alla 1984, ad vocem, e L. SILINGARDI, “Ecce ancilla Domini...”. Un’inedita Annunciazione di Tommaso Costa, in “QB - Quaderni della Biblioteca” (Sassuolo), 6 (2005), pp. 75-80. 64 Si veda G. Martinelli BraGlia, Il Teatro di Francesco II d’Este nel Palazzo Ducale di Modena (1686), in “Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena”, s. VIII, 19/I (2016), pp. 159-177; per Natale Dall’Ara, ibidem, p. 166, n. 20. 65 Si veda Martinelli BraGlia, Tommaso Costa, op. cit. 66 Si rinvia ai due contributi di a. daVoli, Quali furono le opere del pittore Coloretti?, in “Pescatore reggiano”, 1939, pp. 151-153, e Altre notizie del pittore Matteo Coloretti, in “Pescatore reggiano”, 1940, pp. 139-143. 67 Si rinvia, per il Sant’Edilberto, a l. riGhi Guerzoni, Un acquisto: Matteo Coloretti (Reggio Emilia, 1611-1695), Sant’Edilberto re di Scozia, in “Taccuini d’arte”, 3 (2008), pp. 119-122; si veda anche M. duGoni, I dipinti e gli altari della chiesa, in La chiesa di Sant’Agostino, op. cit., pp. 133-145, alle pp. 136 e 144, nn. 29 e 30. 68 l uGli , op. cit., p. 59-60, a cui si rinvia per le committenze di Laura Martinozzi all’artista. 69 Ibidem. 70 Così G. t iraBoSchi , Biblioteca Modenese, VI, Modena 1786, p. 391, che deduce il giudizio da una memoria del convento dei Domenicani di Reggio; giudizio ripreso in l. l anzi , Storia pittorica della Italia, IV, Milano 1823, p. 61. 71 Si veda duGoni, op. cit., p. 144 n. 30. 72 Così G. t renti , I processi del Tribunale dell’Inquisizione di Modena. Inventario generale analitico, Modena 2003, pp. 148, 151. 208 Graziella Martinelli BraGlia data del 164773; mentre la realizzazione di un gonfalone per la confraternita della Madonna della Ghiara, nel 1674, riporta la sua personalità al cantiere del santuario reggiano, a cui dovette con ogni probabilità la sua formazione. Ora, la partecipazione di Coloretti agli spettacoli del 1654 aiuta a comprendere il carattere teatrale e l’impostazione scenografica del Sant’Edilberto – così l’inserto dei gradini e la cortina alzata da un angioletto della gloria celeste – che dal profilo stilistico rielabora, in tono più mite e anzi edulcorato, i modi del reggiano Alessandro Tiarini. E questo santo sovrano inglese (552 ante - 616) pare davvero indossare costumi di scena, con il manto dalla bordura dorata drappeggiato sulla lustra armatura e i calzari “all’antica”, come nell’anacronistico accostamento di un vestiarista teatrale; calzari che hanno un ruolo scenico: Edilberto sta elegantemente calpestando, sotto gli sguardi partecipi degli angeli, il simulacro di una divinità pagana, seguendo la raccomandazione di perseguitare gli idoli rivoltagli da papa Gregorio Magno in un’epistola del 601(fig. 5). Compare anche Sebastiano Sansoni (doc. 1641-1676) da Scandiano, compensato con L. 81 a “saldo di sue pitture”74. Definito da Tiraboschi “scolaro” di Boulanger75, in quanto attivo nel Palazzo di Sassuolo accanto al maestro francese, nella stessa enclave di Dauphin, Tommaso Costa e Sigismondo Caula76, aveva qui atteso nel 1646 alla riparazione delle pitture parietali nell’Appartamento dei Giganti, oltre a vari modesti lavori. Seguiranno impegnative commissioni sempre sotto l’egida estense come, dal 1650, la decorazione della chiesa teatina di San Vincenzo a Modena, accanto a Costa e Caula, dove eseguirà le quadrature prospettiche della volta77. Sansoni verrà poi coinvolto, dalla metà degli anni sessanta, in alcune imprese decorative promosse da Laura Martinozzi, nel Palazzo di Gualtieri e nel monastero della Visitazione di Modena. Altri elenchi di pittori riportano nomi di cui a tutt’oggi non rimane altro ricordo: fra loro, Francesco Zarlatta pagato L. 6 per aver dipinto due vasi, probabilmente di una famiglia di pittori cui appartenne Giuseppe Zarlatti, buon disegnatore78; G.C. (Giulio Cesare?) Castelvetri compensato con L. 48 e poi L. 96 per “tilloni dipinti”79, Alfonso Cavallerini, Giovanni Fontana, Domenico Maria Zuccati, 73 Così da una lettera, comparsa sul mercato antiquariale, datata in Reggio il 3 settembre 1647, dalla quale Coloretti risulta compensato per “tre quadri di pittura” con oggetti d’uso e arredi. 74 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 23r, 27 aprile. 75 tiraBoSchi, op. cit., pp. 314-315. Si rinvia a G. Martinelli BraGlia, L’Appartamento dei Giganti nel Palazzo Ducale di Sassuolo. Un’ipotesi di lettura iconografica, in “Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena”, s. VIII, XVI/I (2013), pp. 119-142. 76 Oltre alla citata bibliografia si veda luGli, op. cit., pp. 59, 60, 72-73, e inoltre: G. caMpori, Gli Artisti Italiani e Stranieri negli Stati Estensi, Modena 1855, p. 95; G. Martinelli BraGlia, Olivier Dauphin, in Dizionario Biografico degli Italiani, 33, Roma 1987, ad vocem; Eadem, Modena Capitale, in I secoli della meraviglia: il Seicento e il Settecento, a cura di D. Colli, A. Garuti, G. Martinelli Braglia, Modena 1998, pp. 113-149, a p. 138. 77 Si vedano: M.a. lazarelli, Pitture delle chiese di Modana, a cura di O. Baracchi Giovanardi, Modena 1982, pp. 62, 66, 90, 134. 78 Così l. V edriani , Raccolta de’ pittori, scultori, et architetti modonesi più celebri, Modona, per Soliani, 1662, p. 139. 79 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c.34r., 8 maggio. Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 209 Fig. 5 - Matteo Coloretti, Sant’Edilberto re di Scozia, 1664 ca. Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Graziella Martinelli BraGlia 210 Sebastiano Monechi, questi ultimi due compensati con L. 25 e L. 30 80, Nicolò Amici, Giulio Fontana, Antonio Correggi e Giulio Leporati81. Giungono artisti anche da Carpi: sono pagati “per opere di pitture” Cristoforo Fazzi con L. 30 e poi L. 7282, e Gherardo Coccapani, probabilmente della nobile famiglia carpigiana, con L. 4183. E stupirà un compenso di L. 30 a Cristoforo Malagola “a conto di sue Pitture”84; in effetti, risulta che l’architetto avesse anche un’attività pittorica85. I pittori bolognesi La Comunità recluta pittori non solo tra Modena e Reggio o impiegati in commissioni estensi, ma anche nella vicina Bologna, scegliendo tra quelli abili nella quadratura prospettica – genere assai apprezzato da Francesco I, e peraltro in simbiosi con la scenografia – per accrescere gli effetti illusionistici delle architetture effimere. Una pratica, questa di convocare decoratori, o meglio quadraturisti, da Bologna che si ritrova lungo il Seicento anche in cantieri di opere permanenti, dal Palazzo Ducale di Sassuolo a quello di Modena, fino al Teatro di Corte del 168686. Ecco dunque la “Notta de’ Pittori bolognesi, che hanno operato per servizio dell’allegrezze” e che vengono alloggiati, ospiti della Comunità, presso Francesco Badia: “Giacomo Friani / Fulgintio Mundini / Ant.° M. dal Sole / Giac.° Alborisi / Dom.° M.a Zuccati / A… (?) Castilani / Simon Ottani / Franc.° Buonamici / Tomaso Galirano / Gio.Batta Blizzi”87. Tra loro vi sono petits maîtres spesso impegnati, in piccole squadre, nelle medesime commissioni, a Bologna e altrove, sulla scia della fama del celebre binomio Mitelli-Colonna. Il nome più illustre è forse quello di Giacomo Alboresi (1632-1677), già allievo ed erede di Agostino Mitelli di cui aveva sposato la figlia. Altro autore dell’elenco è Fulgenzio Mondini (1625 ca.-1664), anch’egli discepolo di Mitelli e ancor prima del Guercino; con lui Alboresi costituisce un’affermata coppia autrice di cicli pittorici, apparati effimeri e allestimenti spettacolari, dove si riserva il ruolo di quadraturista mentre Mondini è il “figurista”. Con loro a Modena è l’ornatista e scenografo Giacomo Friani, o Feriani, che, nuovamente assieme ad Alboresi e Mondini, lavorerà a Parma nei festeggiamenti delle nozze di Ranuccio II Farnese con Margherita Violante di Savoia, nel 165988. Friani, che lega il suo 80 Ivi, c. 7v., 4 aprile; altri pagamenti il 15, 23, 30 maggio. Ivi, c. 34r, 13 giugno. 82 Ivi, c. 17v., 18 aprile; c. 24v., 27 aprile. Cristoforo Fazzi, o Facci, apparteneva con ogni probabilità alla famiglia carpigiana di Guido (1584-1649), “inventore” della tecnica della scagliola, e di vari capimastri; si veda e. c aBaSSi , Notizie degli artisti carpigiani, a cura di A. Garuti, Modena 1986, pp. 57-58. 83 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 34r., 18 maggio. 84 Ivi, c. 17v., 18 aprile. 85 “Egli lavora col pennello, colla cazzuola, e nell’architettura è opinione, che Bologna non abbia un suo pari, com’è certezza, che Modena non l’ha”, così di Malagola scrive, non senza iperbole, Antonio Calori in una lettera dell’8 febbraio 1638 al reggiano Giannantonio Rocca, pubblicata in Continuazione del Nuovo Giornale de’ Letterati d’Italia, t. XXXI, Modena 1785, Lettere d’Uomini Illustri del secolo XVII, pp. 270-272, riportata da t iraBoSchi , op. cit., p. 214. 86 Si rinvia a Martinelli BraGlia, Il Teatro di Francesco II d’Este nel Palazzo Ducale di Modena, cit. 87 ASCMo, “Allegrezze”, colloc. cit., “Reggistro dei mandati”, c. 3r; c. 4v. 88 Si veda G. Martinelli BraGlia, Giulio Troili detto il Paradosso, quadraturista, scenotecnico, tratta81 Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 211 nome alle quadrature della volta di San Carlo Borromeo in Bologna, sarà attivo fra il 1669 e il 1670 anche in Mantova89. Di Simone Ottani è nota l’attività in Bologna di pittore prospettico, operoso nel chiostro grande dell’antico convento degli Olivetani di San Michele in Bosco nel 166390. In quanto ad Antonio Maria Dal Sole (1606-1677), discepolo di Francesco Albani e padre del famoso Gian Gioseffo, è specializzato in paesaggi che esegue in vari palazzi bolognesi; ad esempio, in una loggetta della casa Angelelli di Strada Maggiore lascia “bellissimi paesi dipinti a fresco”91. Paesaggi, i suoi, dipinti con “freschezza mirabile, ben battuti di frasca, forti di colorito”92: un’abilità utile anche per gli allestimenti modenesi, impostati su temi naturalistici. Rispetto ai dieci pittori di quella équipe, un trattamento di maggior riguardo riceve un altro bolognese, “D. Francesco Quaini [che] operò giorni n° 34 col suo aiutante”. Padre del più noto Luigi, Francesco Quaini (1611-1680) è provetto quadraturista – “buon professore d’architettura” secondo Luigi Crespi93 – già allievo di Mitelli e collaboratore di Marc’Antonio Franceschini in diverse imprese, fra cui la decorazione della Sala Farnese nel Palazzo Pubblico di Bologna. Il suo arrivo è preannunciato a Cristoforo Malagola da una lettera del marchese Carlo Campori, da Bologna, il 18 marzo di quel 1654: “viene il Sig. Francesco Quaini con (…) due altri pittori et un garzone, havendo considerato esser stato nicissario, che seco condurli uno da poter far figure, che essendo allievo di Sig.re Gio. Francesco da’ Cento [il Guercino] dovrebbe saperne più che mediocremente. Voglio sperar che sieno per far riuscita al pari del gusto che mostrano di venir tanto volentieri a lavorare sotto di lei”; Quaini, che ha già ricevuto una caparra, “ha comprato penelli, et altri arnesi” per la commissione94. Riceverà il ragguardevole pagamento di L. 116.40 “a conto delle sue opere” il 24 marzo, altri ne seguiranno l’1 e il 9 aprile di L. 230.8.0 per “sue Pitture” e per il compenso del garzone; infine, il 27 aprile verrà liquidato, assieme “a molti altri suoi compagni”, con ben 1821.19.0 Lire95. E Francesco Quaini, con Antonio Maria Dal Sole avevano già lavorato ai festeggiamenti per il cardinale di Savoia nel 1635, allora fatti giungere da Bologna dal generale marchese Cornelio Malvasia96. tista, in “Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena”, s. VIII, VII/I (2004), pp. 59-81; su Alboresi e Mondini si veda, come fonte, C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, t. 2, Bologna 1678, ed. cons. 1841, pp. 365-371. 89 Si veda D. Lenzi, Dal Seghizzi al Monti al Bibiena. Architetti e scenografi bolognesi a Mantova sotto gli ultimi Gonzaga, in Il Seicento nell’arte e nella cultura con riferimento a Mantova, atti del convegno (Mantova 6-9 ottobre 1983), Cinisello Balsamo (MI) 1985, pp. 164-173, a p. 166. 90 Si rinvia a Architetture dell’inganno: cortili bibieneschi e fondali nei palazzi storici bolognesi ed emiliani, catalogo della mostra a cura di A.M. Matteucci, A. Stanzani (Palazzo Pepoli Campogrande) Bologna 1991, p. 191. 91 M. oretti, Vita di Antonio Maria Dal Sole, Ms. B 127, Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio. 92 l. creSpi, Vite de’ pittori bolognesi, v. III, Roma 1769, p. 27. 93 Ibidem, p. 270. 94 ASCMo, “Allegrezze 1657 al 1720”, f. 14, lettera di C. Campori a C. Malagola, 18 marzo 1654. 95 ASCMo, “Allegrezze”, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, cc. 3r, 5r, 12r., 23r. 96 Così erriquez, op. cit., p. 374. 212 Graziella Martinelli BraGlia I fuochi artificiali Un ruolo primario negli spettacoli è affidato alla pirotecnica. Sotto il 15 marzo compare il cospicuo pagamento di L. 128.15.0 a Francesco Chiesa “Ingegnere de’ Fuochi artificiali e compagni da Reggio”97; a lui e ai suoi collaboratori verranno in seguito liquidate L. 1.200 e altre L. 6098. Chiesa era il pirotecnico già chiamato a Modena nel 1635, con gli altri “Bombardieri Reggiani” Fioravante Carandini, Giovanni Antonio Burani, Agostino Chiesa e Giovanni di Stefano, da Francesco I per le feste in onore del cardinale di Savoia. Allora, giunto da Reggio con cinque artificieri, Francesco Chiesa aveva elaborato due disegni progettuali per i fuochi, approvati dal duca, ma aveva incontrato non poche difficoltà in fase esecutiva per il boicottaggio degli artigiani locali che avevano ritardato la consegna dei materiali99. Apprezzati anche nei centri vicini, i pirotecnici reggiani si erano poi esibiti, nel 1642, negli spettacoli tenutisi in Reggio per la nomina a cardinale di Rinaldo d’Este, zio di Francesco I100, e nel 1653, chiamati dal concittadino Gaspare Vigarani, nel torneo che celebrò la nascita di Alfonso, figlio del duca, sulla piazza del Castello di Modena, per cui avevano costruito mirabili “globi di fuochi artificiali che furono fatti esplodere”101. Nel “Reggistro de’ mandati” compare l’acquisto da tale Alessandro Saraffa di “quaranta quattro arpadori da Reggio, e dieci capi da girandola”; mentre la “polvere da schioppo” viene comprata dal capitano Giovan Battista Seidenari e da Giovanni dall’Ara di Sassuolo, per ben L. 220.100102. La provenienza della polvere da Sassuolo si spiega col fatto che, sfruttando la potenza idrica del Canale di Modena, vi sorgeva dai primi del Seicento un “pistrino della polvere”, e cioè un opificio con un macinello per tritare il salnitro e la polvere da sparo103. Gettando ancora uno sguardo ai preparativi, dal registro dei pagamenti si apprende che il 27 marzo viene acquistata carta per “far raggi” per un importo di L. 56.5.0 da Geminiano Soliani104. I “raggi”, in realtà, pare che siano razzi, poiché vengono consegnati all’artificiere Chiesa105. In quanto all’apparato illuminotecnico, ricompare colui che era stato il responsabile di quello della giostra del 1635 per il cardinale di Savoia: Anchise Censori, figlio di Giovan Battista, che discende da una dinastia di bronzisti bolognesi operosi anche a Modena, per la fusione sia dei cannoni estensi che di 97 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 1r e inoltre c. 3r. Su Francesco Chiesa si veda M. piGozzi, In forma di festa: apparatori, decoratori, scenografi, impresari in Reggio Emilia dal 1600 al 1857, catalogo della mostra (Reggio Emilia, Teatro Municipale Romolo Valli) Bologna 1985, p. 116, n. 8; Eadem, Strategie festose a Modena e a Reggio, op. cit., pp. 271-283, a p. 277. 98 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, cc. 22v, 26 aprile. 99 Si rinvia a erriquez, op. cit., pp. 374-376. 100 Si rinvia a piGozzi, Strategie festose a Modena e a Reggio, op. cit., pp. 280-281. 101 J arrard , op. cit., pp. 215, 216 n.14. 102 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 2v., 23 marzo; p. 7v., 4 aprile. 103 Così Luca Silingardi, Antiche manifatture sassolesi lungo il Canale di Modena, conferenza tenuta a Sassuolo il 28 agosto 2015. 104 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 3 v. 105 Ivi, c. 8r, 4 aprile. Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 213 campane106. È lui che fornisce le “padelle”, contenitori metallici per il fuoco solitamente usati anche nei teatri, che assieme alle tante torce illumineranno lo spettacolo nella piazza Grande pressoché a giorno. “Un ingegnoso Torneo” Tra “suntuose feste e pubblici solazzi”, venne dunque il giorno in cui si tenne fra “il plauso e l’ammirazione de’ folti spettatori, sì del paese, che forestieri, un ingegnoso Torneo”107. Non solo ogni architettura effimera e ogni azione scenica erano state accuratamente programmate, ma anche il movimento del pubblico: una minuta di lettera inviata dalla Comunità a un principe di Casa d’Este, riferendo sull’organizzazione, conteneva la richiesta di lumi circa il miglior “modo d’introdure li spettatori nel teatro”108. E non si era trascurato neppure il “dietro le quinte”: per dar accoglienza agli armeggiatori, ai musici e a quanti altri partecipavano allo spettacolo, si era proceduto alla pulizia della Sala della Spelta, già adibita a teatro ma, per l’occasione, ritenuta idonea soltanto a fungere da camerino109. “Sorgeva nel seno della Piazza grande un amenissimo Teatro in forma ovata – così la descrizione di Allacci – che ne’ capi s’apriva in due nobilissimi ingressi fiancheggiati, e custoditi in ciascuno de loro lati da una Rocca; o Torre all’antica, che in tutto erano quattro (…) vagamente adornate. Contiguo alla Cattedrale (…) cresceva in quadro un maestoso Palagio, che nella facciata portava in alto sopra quattro grandi Piedestalli di bronzo istoriati di varie imprese, e trionfi d’Amore otto finissime Colonne tonde di lapislazzuli avenate d’oro con le basi, e capitelli parimenti d’oro. (…) Nel mezzo dell’edificio s’apriva un sontuoso Portone nella sommità di cui nascevano molti Mascheroni, e un’Amorino di rilievo tutti indorati, che andavano à sostenere una grand’Arma de’ Serenissimi Sposi frà due altre minori della Città tutte ottimamente accomodate per fuochi artificiali. Frà le Colonne da i lati del Portone s’internavano due nicchi con le Statue d’Amore, e d’Imeneo (…). Correva sopra la cornice una superba balaustrata parimenti messa à oro, nella quale posavano molte Aquile, Gigli [emblemi araldici estensi], Vasi, e Palle d’oro, che servivano per girandole; e dalla detta ancora s’ergeva un’altissimo Pergolato con la sua cupola nel mezzo vestita di verdi fronde, e di fiori, e frutti (…). Nell’apice (…) un Giglio d’oro dilatava quattro ampie foglie, che à vicenda reggevano due Aquile d’argento, e due Api d’oro”, queste ultime emblemi dei Barberini, a sostegno di una corona 106 Ivi, c. 9v., 4 aprile. Sulla partecipazione al torneo del 1635, erriquez, op. cit., p. 367. Per l’attività modenese dei Censori si veda G. Martinelli BraGlia, Controriforma e fasti del Seicento modenese: il tabernacolo di San Bartolomeo dei gesuiti a Modena, in “Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena”, s. IX, I/I (2017), pp. 181-204, alle pp. 199-200. 107 l.a. M uratori , Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1749, t. 11, Milano 1749, p. 256. 108 ASCMo, colloc. cit., minuta di lettera s.d. Lo scaglionamento degli ingressi è problema affrontato sia per spettacoli d’occasione che per teatri permanenti; si veda, nel 1636, il caso del teatro progettato dal Chenda a Padova per uno spettacolo cavalleresco, su commissione del marchese Enea degli Obizzi, in erriquez, op. cit., pp. 352 e 357. 109 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 28v. Graziella Martinelli BraGlia 214 ducale “aggiustata per li fuochi, che formarono giochi, e girandole in quantità, e varietà mirabile.” Questo “Palagio”, si apprende da un brogliaccio con le varie scene ideate da Girolamo Graziani110, era “La Rocca di Giove”. Nella prima apparenza di scena, riporta il brogliaccio, “Amore / Comparisca Cupido sopra le Merlate di questa rocca o in rilevato palco d’essa con Arco faretra e face (…). 2° Giove / Esca Giove armato di fulmini sgridando Amore (…), l’Aquila Estense co’ fulmini ghermite fra l’ugne, e schernendo Cupido qual fanciullo imbelle, e da nulla ricordargli la puntura dell’Ape per cui si diede vilmente in preda a lagrime puerili. 3° Imeneo (…). 4° Coro di Cittadini modenesi (…), s’oda un ripieno di sinfonie e musici accenti che applaudono al presente Imeneo fra le due Altezze inviti a far ritorno fra essi il promesso secol d’oro, il che finito si darà la machina alle fiamme” con l’esplosione dei fuochi. Ma il programma poteva rivelarsi rischioso; e allora “per evitare ogni difficultà, che potissero havere li musici di recitare in una machina costruita di fuochi artificiali si è venuto in deliberazione che in una machina apparischino tre statue, Amore cioè da una parte in positura di trafiger Giove con un dardo, che in loco di punta habbia un Ape. Giove dall’altra in forma tale, che sembra co’ fulmini in mano da presumere di poter attirare le maggiori potenze del mondo, Imeneo nel mezo tra loro in simetria comporre insieme le accenate due deità. (…) Da una parte della piaza si spicchi un’Ape [cancellato: in volo ad incendiare detta machina, e dall’altra perciò di rincontro un’Aquila ambe] à volo, ad incendiare oportunamente la machina”111. Sembra di poter indovinare la mente di Gaspare Vigarani dietro queste ingegnose creazioni e, magari, l’impegno di Bernardo Falconi nel modellare le tre statue di Cupido, Giove e Imeneo. Nel medesimo foglio, seguono interessanti accenni agli intenti della mise in scéne: “Pertanto si disidera una composizione, che esprima à pieno il sentimento della nostra intenzione alla curiosità de spettatori” in quanto “l’inscrizione della festa e rappresentazione de fuochi, che Amore provocato hà trafitto, et incendiato Giove nella propria Reggia con un Ape [cancellato: in loco di strale]. Tornando alle pagine di Allacci, dai lati del “Palagio” di Giove fino alle due torri d’ingresso del teatro – altre due torri le fronteggiavano sul versante opposto – correva un cornicione con aquile e api, sormontato negli spigoli da cornucopie argentate, mitologico simbolo di abbondanza e prosperità, che dovevano servire per i fuochi d’artificio, mentre grandi vasi argentati erano utilizzati per l’illuminazione. La “Cortina”, appesa da un piedistallo all’altro, era dipinta con siepi fiorite, fontane, statue; motivi agresti e insieme aulici, ripresi nei parapetti dei palchi che accoglievano i musici e altri spettatori, decorati con “una spalliera coperta di Cedri, Aranzi, Pomigranati [melagrane, simboleggianti fecondità, ricchezza e concordia], Gelsomini [simboli nuziali] e altri fiori”: dunque, anche l’olfatto degli spettatori era appagato, con le profumate essenze 110 111 ASCMo, “Allegrezze 1657 al 1720, f. 14, “La Rocca di Giove”. Ivi, s.d. Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 215 dei pregiati agrumi e dei gelsomini. Dietro ai palchi svettavano altissimi alberi, dando l’illusione di “un bellissimo giardino”, mentre “dal mezzo della Rocca spuntava un Pino che serviva di fuoco artificiato. (…) A riscontro del Palagio era fabricato il Palco de Serenissimi (…). Sopra de Palchi giravano il teatro trè ordini di Ringhiere pomposamente ornate, e di torce illuminate. (…) La Cattedrale e la sua torre Ghirlandina, la Torre della Ragione [poi ridotta d’altezza, nota come Torre Mozza] e d’Orologio, la facciata e la merlatura del Palagio del Pubblico erano pieni di lumi, e le finestre di Torce.” In quanto alla Ghirlandina, è pervenuta una dettagliatissima “Nota dell’Illuminazione da farsi alla Torre maggiore”, che fra l’altro prevede: “Si illuminerà la piramide superiore d’essa sino al pomo…”112. La relazione di Allacci prosegue: “Dirimpetto alla Macchina erano fuochi in gran quantità (…) che pareva essersi mutata la notte in chiarissimo giorno”, mentre intorno al teatro si innalzavano su piedistalli “gran vasi d’argento (…) accesi da quattro fiamme.” Anche nella “Piazzetta del Vescovado” era stata eretta una colonna su un’alta base decorata da maschere, fiori e lumi, con sulla cima una sorta di capitello composto da quattro aquile, quattro api e al sommo un giglio illuminato. Presso la colonna vi erano trenta cavalieri che, non appena Lucrezia si fu accomodata nel suo palco, “uscirono nel mezzo del Teatro correndo à due à due sopra a’ loro cavalli con torce accese in mano per la Lizza ivi preparata, e dopo ponendosi a capo della carriera incominciarono à ferire il Saracino armato, rompendo ciascheduno di loro otto, à diece lance.” Nell’anfiteatro dunque si correva la giostra del Saracino, riprendendo la tradizione degli spettacoli ferraresi, dove i tornei e le giostre erano allestiti in notturna113, così che le luminarie e i “fuochi di gioia” accrescessero la suggestione dell’evento. Era anche un modo per recuperare e ribadire la gloriosa origine feudale e guerriera di casa d’Este, che sembra stesse molto a cuore a Francesco I. Sovviene allora della giostra memorabile che si era corsa a Roma, in piazza Navona, il 25 febbraio 1634, voluta dal cardinale Antonio Barberini e da altri nobili romani, di cui aveva riferito a Francesco I nelle sue lettere Fulvio Testi, autore dei versi cantati in quella circostanza da Bacco e dal Riso114. Nella giostra modenese, i cavalieri torneanti erano disposti in cinque squadriglie, ciascuna di sei, “superbissimamente vestiti di divise ricamate, e tempestate di gemme sopra drappi di seta con cimieri in capo”. Guidava la prima squadriglia, “di color rosso fuoco”, il figlio di Francesco I, Alfonso, futuro duca Alfonso IV; la seconda, vestita di giallo, il principe Cesare, fratello e luogotenente generale di Francesco I; la terza, in bianco e nero, il principe Borso; la quarta, “turchino celeste”, e la quinta “color gradellino” – gris-de-lin, dal fiore di lino tra il grigio e 112 Ivi, s.d. Si rinvia a G. B enaSSati , La pratica del torneo a Modena in età barocca. Appunti per una fenomenologia dello spettacolo nel Ducato estense, in “Il Carrobbio”, VII (1981); p iGozzi , Strategie festose a Modena e a Reggio, op. cit., pp. 274-277. 114 Si rinvia a G. f iorentino , Musica e festa nella Roma barocca: il caso di piazza Navona, in La musica a Roma nel Seicento. Studi e prospettive di ricerca, a cura di A.M. Goulet, Roma 2012, pp. 55-72: 60-65. 113 Graziella Martinelli BraGlia 216 il rosa, cioè viola pallido – capeggiate da gentiluomini di Camera del duca. Ogni squadriglia era scortata da trenta staffieri con la stessa livrea, ognuno con due torce accese in mano. Quand’ecco che “il Portone del Palagio (…) coperto con un cendado [o zendado: drappo] di seta turchina arabescato d’oro, lasciò libera l’entrata, per cui si vedeva una superbissima lontananza con cortili, et ordine di loggie e prospettive di delizie, dalle quali usciva la Primavera sopra (…) il Carro”. Era la macchina ideata e realizzata da Vigarani, un carro con ruote a grandi “rosoni” d’oro e d’argento, trainato da destrieri bardati di fiori e ornato dalla statua di Zefiro. Vi sedeva, su un trono, la Primavera vestita da “un vaghissimo manto tutto tempestato di fiori”. Sul carro, la circondavano quattro divinità: Ebe, simboleggiante la giovinezza; Flora, la dea dei giardini; Apollo in abiti marziali e Bacco, nume delle feste, dell’agricoltura e in senso lato della civiltà. Scortavano il carro ventiquattro pastori a piedi recanti torce. Ed è singolare che i suonatori non vengano occultati, come nel torneo del 1635 per Maurizio di Savoia, secondo una consuetudine che risaliva agli intermezzi del secolo precedente115, ma anzi vengano fatti rientrare nella coreografia. “Al suono di Piffari, e al concerto di trombe si mosse lentamente la macchina”, portandosi davanti alla sposa, a cui la Primavera cantò alcuni versi “annunziando alli Sig.ri Padroni l’allegrezze de’ Fuochi”116: “Di festivi splendori Facciasi il Ciel più chiaro, Cinto di mirti, e fiori Gioisca il mio Panaro…”. Alla Primavera si univa il coro di Ebe, Flora, Apollo e Bacco: “O de’ veri, e cari amanti Imeneo, dolce ristoro, Già ch’insieme unir ti vanti Le belle Api à i Gigli d’oro, Guardi il core, e la tua mente Sì gran nodo eternamente”117. “Intramezzava questa Canzone un’Armonia di circa quaranta Instrumenti musicali”; e gli inediti documenti riportano che le note erano ancora di Benedetto Ferrari, l’autore delle musiche de Gli Amori di Alessandro con Rossane e, probabilmente, di quell’Andromeda che, nella primavera del 1656, avrebbe inaugurato il Teatro Ducale Grande di Francesco I118. Per quei versi Graziani aveva abbandonato il registro epico-cavalleresco dei suoi poemi, ad esempio de Il conquisto di Granata edito nel 1650, per volgersi alla mitologia più galante 115 Si rimanda ancora a e rriquez , op. cit., p. 384 n. 70. ASCMo, “Allegrezze 1657 al 1720, f. 14, s.d. 117 Descrizione delle allegrezze, op. cit., p. 12. 118 Si veda Martinelli BraGlia, Il Teatro Ducale Grande di Modena, op. cit. 116 Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 217 e a immagini bucoliche, declamate nelle gentili corde arcadiche. Il prediletto universo letterario-cavalleresco, pur esibito nella stessa formula del torneo, rimaneva escluso dalla rappresentazione. All’ispirazione mitologica, che pur sopravvive nelle quattro deità che accompagnano il Carro, si affianca il tema simbolico, dominante l’apparato scenografico, della Primavera, forse sollecitato dallo stesso periodo in cui si svolgevano le feste, il mese di aprile. Palesi i suoi significati di fioritura, di giovinezza, di fecondità, con un’inclinazione verso quel genere pastorale che percorre il Seicento fino alla sua brillante affermazione nel melodramma del secolo successivo. Poi, riprendendo la narrazione di Allacci, “Primavera rientrò nel suo Palagio”. Dopo un attimo di pausa, lo sfolgorante coup de théâtre: “discese dalla ghirlandina della Torre Maggiore un fulmine, che nel mezzo della Piazza portò una grandissima pioggia di fuoco; e balenando il Cielo s’accesero gli Alberi (…) che aprendosi sorgevano in altissime Piramidi di fiamme (…) e il fuoco d’intorno al Teatro andò ad ardere le Aquile, i Gigli, le Api, i Vasi.” Dunque, un’accensione in sequenza, con l’effetto di una propagazione progressiva, di fuochi e di luce: “giunse il fuoco al Palagio, onde il Giglio della sommità della Cupula girando con le Aquile, Api e Corona formò un manto di fuoco”, creando una grande girandola, una fontana spiovente di scintille, “ora con pioggia, ora con lampi”, sonoramente enfatizzata da scoppi di bombarde e di archibugi. Dunque, un impiego di razzi – uno che, come folgore, scende dalla Ghirlandina – giochi di fuoco e girandole all’apice del “Palagio”, presso la corona ducale. E la girandola, fuoco artificiale che si propaga a ruota attorno a un asse centrale, era prediletta dall’arte pirotecnica d’epoca barocca119. Si deduce che molto del fascino dello spettacolo era affidato, oltre che al senso della vista, anche a quello dell’udito: una “meraviglia” che giocava sull’effetto della sorpresa, dell’imprevisto, del ritmo delle esplosioni120; e qui l’elemento acustico era rafforzato dagli scoppi degli archibugi. Pare che, al di là della magnificenza architettonica dell’anfiteatro e delle incantevoli creazioni sul tema della primavera, l’aspetto “macchinistico” dell’evento, affidato al solo Carro della Primavera di Vigarani, non fosse certo privilegiato. Mentre si puntò sulla spettacolarità dei fuochi d’artificio, davvero memorabili, e sulle esecuzioni musicali. Musici, vestiaristi e impresari I vari gruppi di musici radunavano un folto numero di elementi, che gli atti comunali citano ed elencano. Ed è questa una documentazione piuttosto rara: come scrive Alessandra Chiarelli, per simili eventi in genere si trovano 119 Il famoso trattato di V. B irinGuccio , De la pirotechnia. Libri X, Venezia, per Curtio Navò et fratelli, 1540, dedica un capitolo del Libro X ai Modi di comporre una girandola. 120 Si rimanda, sulla pirotecnica in età barocca, a S. B riatore , Il suono dei colori, fuochi nella festa, in Trame di meraviglia, Studi in onore di Silvia Carandini, a cura di P. Bertolone, A. Corea, D. Gavrilovich, Roma 2016, pp. 75-80; inoltre G. S tefani , Musica barocca. Poetica e ideologia, Milano 1974, p. 30. 218 Graziella Martinelli BraGlia “pochi cenni alla presenza di strumenti durante le entrate dei combattenti e alla localizzazione dei cantanti, sulle macchine oppure su un palchetto predisposto, senza nessun dettaglio”121. In questo caso, assai più documentati sono il reclutamento, il ruolo e persino l’aspetto dei musici. Su ordine di Vigarani, a fornire i costumi “per i Musici del carro” provvede il vestiarista Giulio Patuzzi, o Pattuzzi: “abbiti tre, tutti carichi d’oro cantarino, e toccha d’oro, e argento di sopra, fornito di nastri, con abbiti, e manti compagni, L. 42. Per un altro abbito simile guarnito di nastri per il Carrozziere L. 12”122. A questi, o forse ad altri delle decine di musicisti coinvolti, erano destinati i costumi per cui una certa suor Matilde riceve 14 lire, “per cucire le Camisce (…) Per Cartoni per le Ghirlande (…) Per Braganze (…) per libretti d’argento, per tre fogli d’oro cantarello”. Era infatti abitudine rivolgersi a monasteri femminili per cucito, ricamo, inamidatura e stiratura, oltre che per lavori in carta. “Non voliamo cosa nisuna – scrive suor Matilde su un piego di lettera – l’habbiamo fatto volentieri per servire il Sig.re Giuglio Cesare”, forse quel Giulio Cesare Selvatici, o Selvatico, che, si vedrà, si era assai prodigato per reperire i musici; sul retro del piego, la scritta “Cesare di San Pauli”, forse la chiesa di San Paolo a Modena123. I musici hanno una provenienza eterogenea, da località fuori Modena e anche esterne al ducato. Rimangono frammenti di una corrispondenza, che fu certamente assai corposa124, a testimoniare lo sforzo di radunare provetti esecutori. Fallì l’approccio con “D. Giovanni Fontana del Cornetto”, di cui resta una lettera scritta da Parma a un ignoto destinatario: ha saputo da Pellegrino – forse Pellegrino Ascani, impegnato nella festa come pittore, ma anche suonatore di contrabbasso e arciviolone nel “concerto ducale” – dell’invito, esteso al “suo Compagno”, a suonare in questa occasione. La richiesta di Fontana e del collega è di 15 doppie d’oro per ciascuno – ne avevano ricevuti 12 per il primo matrimonio ducale – previa licenza “delli nostri Patroni come speriamo haverla”; esigono inoltre un impegno scritto, “altrimenti se ne staremo à casa nostra”125. Sono dunque due musicisti attivi a Parma, alla corte di Ranuccio II Farnese con cui la Casa d’Este è strettamente imparentata e intrattiene rapporti che si traducono anche nello scambio di artisti126. Consapevole del proprio valore e della difficoltà a reperire esecutori di questo strumento127, il 121 A. c hiarelli , La civiltà musicale modenese nel periodo estense (sec. XVII-XIX), in Lo Stato di Modena. Una capitale, una dinastia, una civiltà nella storia d’Europa, a cura di A. Spaggiari, G. Trenti, atti del convegno (Modena 25-28 marzo1998), Roma 2001, pp. 1061-1075, a p. 1063. 122 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 23v, 27 aprile; fattura in “Allegrezze 1657 al 1720”, f. 14, s.d.. È probabile che si tratti di quel Giulio Pattuzzi tumulato nella chiesa del Carmine nel 1660 nel sepolcreto da lui voluto per sé e i suoi eredi; S oli , op. cit., v. I, p. 205, n. 36. 123 ASCMo, “Allegrezze 1657 al 1720, f. 14, s.d. 124 Si farà di seguito riferimento a lettere in ASCMo, colloc. cit., f. 14. 125 Ivi. 126 Per gli stretti contatti musicali fra la corte estense e quella farnese, con scambi di musicisti, esecutori e “virtuosi” si rinvia a p. r uSSo , Musica a corte da Odoardo Farnese alla fine del ducato, in Storia di Parma. Musica e teatro, a cura di F. Luisi, L. Allegri, Parma 2013, pp. 149-160, e in partic. il paragrafo Alla corte dei Farnese, pp. 149-160. 127 Il nome di Giovanni Fontana “Cornetto”, anche assieme a “il suo scollaro”, compare negli elenchi dei musici parmensi riportati in Barocco padano: atti del 13° Convegno internazionale sulla musica italiana Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 219 recalcitrante Giovanni Fontana, come si vedrà, verrà sostituito da un altro, ed eccezionale, cornettista. È coinvolto nel reclutamento dei musici anche frà Angelo Monesi, procuratore dei Carmelitani di Modena, noto come munifico committente di opere artistiche e di preziosi arredi per la chiesa di Santa Maria del Carmine, l’odierna San Biagio nel Carmine, e per questo in rapporti di consuetudine con la corte estense e con Francesco I in particolare. A Monesi scrive, il 20 aprile da Ferrara, un mittente dalla firma illeggibile: “ho inteso che desidera Gioseffo dal Cornetto (…). Però il suddetto sta in casa mia et assicuro V.S. se non havessi ricevuto sua lettera al sicuro non l’havrei mandato”, anche se tale era la richiesta di Francesco I128. Si datano al 21 aprile tre lettere indirizzate al citato Giulio Cesare Salvatici (o Selvatici), chiamato “priore”; la prima, da un mittente illeggibile, riferisce di alcuni musicisti da Bologna, ma senza citarne i nomi; la seconda, di Guido Pagliaroli da Reggio, lo informa che gli invierà “dodici musici e suoi instrumenti”. Sempre del 21 aprile è la lettera, dalla firma illeggibile, destinata a certo Francesco Paliani [Pagliani?] che fa riferimento a “Iuseffo dal Corneto” (sic) e a frà Angelo Monesi. La corrispondenza intessuta fra Bologna, Ferrara e Reggio dovette andare a buon fine: si data al 21 aprile il rimborso di “due dobble per il viaggio di cinque musici a Modona” da Bologna, che sono quattro tromboni e il cornetto Giacomo Pridiera. In quest’ultimo è da riconoscersi Giacomo Maria Predieri (1611-1695), detto il Vecchio o dal Cornetto, tra i maggiori protagonisti della cultura musicale del Seicento bolognese, che dal 1641 era suonatore di cornetto nel Concerto Palatino129. Da Ferrara giungono altri tre esecutori, incluso Giuseppe del Cornetto, il quale riceverà 5 doppie; altre note riportano le “spese per condurre il P. Gioseppe et il P.re Cesare [Selvatico?] e i costi sostenuti “per spedir huomini a Ferrara e Bologna à levar musici”130. Tra gli esecutori modenesi vi è anche un padre Petronio del Carmine. Resta poi una preziosa “Nota di Musici da Reggio”, che elenca tredici nomi e i rispettivi compensi. Sempre dal reggiano provengono Stefano Flaminio, o Fiaminghi, da Novellara e Livio Pegolotti da Scandiano, ai quali si procura o si rimborsa la cavalcatura131; Pegolotti, che Girolamo Tiraboschi dice “Professore di Musica”, è padre di Tommaso, futuro Segretario e vicecancelliere del principe Foresto d’Este, autore dei Trattenimenti armonici da Camera a violino solo e violoncello stampati a Modena per Fortunato Rosati nel 1698132. nei secoli XVII-XVIII, a cura di A. Colzani, A. Luppi, M. Padoan (Brescia, 18-20 luglio 2005), Como 2008, pp. 604, 605, 610, 614. Per la tradizione e la pratica musicale del cornetto, assai apprezzata in loco, si veda B. d ickey , I cavalieri del cornetto: omaggio a due cornettisti degli Estensi, in Grandezze e Meraviglie, a cura di E. Bellei, Modena 1999, pp. 30-31. 128 Non si sa se Gioseffo del Cornetto sia quel Giuseppe del Cornetto alias Foscheri citato come autore della musica di alcune cantate nella Biblioteca Estense di Modena da t iraBoSchi , op. cit., p. 583. 129 Si rinvia a r. M ellace , Predieri, in Dizionario Biografico degli Italiani, 85, Roma 2016, ad vocem. 130 ASCMo, colloc. cit., c. 18v., 19 aprile. 131 ASCMo, “Allegrezze 1657 al 1720, f. 14, s.d. 132 Si veda t iraBoSchi , op. cit., p. 597. Graziella Martinelli BraGlia 220 Accanto a un certo Vendramino (un veneziano?), che verrà pagato perché “ha suonato”133, si ritrovano “quattro Piffari da Levizzano” e “quattro Piffari di Pulinago”134; provengono quindi dalla collina (Levizzano di Castelvetro) e dalla montagna modenese (Polinago), luoghi dove evidentemente era viva una tradizione musicale consona alle atmosfere bucoliche e pastorali che il tema della primavera intendeva evocare. I musicisti, come altri artisti impegnati nei festeggiamenti, verranno alloggiati presso Francesco Badia135. Ma soprattutto si ritrova un ensemble di esecutori carpigiani i cui nomi sono noti alla storiografia musicale: “Andrea Lazzari / Francesco Lazzari / Ercole Bosio / D. Gio. Batta Romingardi / D. Nicolò Pasi / Ludovico Acerbi”. In particolare, Andrea e Francesco Lazzari verranno compensati con 2 ungari ciascuno; inoltre Andrea riceve “L. 10 per rimborso di tanti spesi in venir da Carpi a Modena ordinato da Signori Deputati”136. Andrea di Giacomo Lazzari (1608 - 1661) è mercante di panni fini e seterie, con dimora e magazzini nel Portico Lungo sulla piazza di Carpi. Esponente della borghesia più doviziosa, Andrea per un trentennio è tesoriere e computista del principe Carlo Alessandro d’Este (1616-1679), zio di Francesco I, che per turbe nervose è confinato con una piccola corte nel Castello di Carpi; è ottimo violinista che prosegue la locale tradizione musicale dell’Accademia Brusata , tanto da poter ipotizzare un suo alunnato dal canonico don Tranquillo Brusati, virtuoso suonatore di viola137, per aderire poi all’Accademia degli Apparenti, che pare istituita nel 1646, dove è “L’ACUTO”, con stemma che rappresenta un violino (Carpi, Museo della Città). Più volte chiamato a Modena da Francesco I e dal figlio Alfonso IV, in occasione di questa trasferta modenese porta con sé il figlio Francesco (1637-1698), prosecutore dell’attività mercantile e provetto violinista con cui è solito eseguire musiche sacre assai apprezzate durante le funzioni della Collegiata carpigiana dell’Assunta138. Del “concerto Lazzari”, che Andrea costituì a dimensione familiare, tramanda il dipinto attribuito a Girolamo Martinelli (Carpi, Museo della Città) che lo ritrae in un’esecuzione musicale idealmente riunito con i sei figli: oltre a Francesco, don Paolo (1640-1678), arcidiacono della Collegiata di Carpi, violinista, nonché poeta; don Antonio (1643-1695), canonico, al violoncello; alla spinetta Barbara I (n. 1628), futura suor Laura Maria e poi badessa nelle Servite di San Sebastiano, dove fu maestra di canto delle monache; Paola (n. 133 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 30v., 13 maggio. Ivi, c. 20r, 22 aprile; c. 22v., 22 aprile; “Nota de strumenti, che hanno sonato per servizio della festa fatta in piazza per l’allegrezza della nuova Sposa quest’anno 1654”. 135 ASCMo, colloc. cit., “Nota de Musici che alloggiano in casa del S.r Fran.co Badia”, 22 aprile. 136 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 20r, 22 aprile. 137 Così M. B izzoccoli , Musica, teatro e istituzioni pubbliche a Carpi nel secolo XVII, in Il principato di Carpi in epoca estense. Istituzioni, economia, società e cultura, seminario di studi a cura di G. Zacchè (Carpi, 22-24 ottobre 1998), Roma 2002, pp. 437-466: 451-453, a cui si rimanda per la trattazione della cultura musicale nella Carpi del tempo. 138 Si rinvia a M. B izzoccoli , La famiglia Lazzari e L’Accademia degli Apparenti, in La dimensione teatrale a Carpi dal XIII al XIX secolo, catalogo della mostra a cura di R. Benzi, M. Bizzoccoli (Ridotto del Teatro Comunale), Carpi 1981, pp. 34-35; per approfondimenti, l. t ornini , Storia di Carpi, s. IV, parte IV, ms. sec. XVIII, Archivio Guaitoli, Comune di Carpi. 134 Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 221 1632) al violone e Barbara II (n. 1646) che batte la solfa, divenute rispettivamente suor Serafina Celeste e suor Virginia Maria nelle Clarisse di Santa Chiara (fig. 6). Assieme ai Lazzari, vengono da Carpi don Giovanni Battista Romingardi, don Nicolò Pasi, violoncellista, e due notevoli musicisti: Ercole Bosio (m. 1678), maestro di Cappella e fecondo compositore, che musicò gli intermezzi della tragedia I sette infanti di Lara ispirata alla leggenda castigliana, rappresentata nel 1670 nel Teatro di Carpi139, e don Lodovico Acerbi, sacerdote milanese, violoncellista apprezzato anche dalla corte estense140. Dunque, un’accolita di “dilettanti”, amanti della pratica musicale senza che questa rappresenti per loro una vera professione in quanto appartengono a un cospicuo livello sociale. A festeggiamenti finiti Nella generale soddisfazione, al termine dei festeggiamenti i Conservatori incaricarono l’orafo e argentiere Galeazzo Fusari di approntare donativi come ulteriore ricompensa per i due artisti che avevano sovrinteso all’evento. Per inciso, di Fusari parla anche Lodovico Vedriani come colui che “di dissegno, e di lavori chiamati di basso rilievo, e simili fatture d’argento, e d’oro hà pochi pari a giorni nostri qui in Modona” 141; resta memoria di un suo paliotto in argento per l’altare maggiore della chiesa di San Domenico, eseguito nel 1644 su probabile commissione di casa d’Este che aveva il patrocinio di quell’altare142. Dunque, l’8 maggio 1654 gli vengono pagati “due fruttiere, et un spargolo da acqua santa dato al d. Gaspare Vigarani per sua recognitione dell’assistenza della machina, o Carro, et un’altra fruttiera data similmente al Sig. Benedetto Ferrari Mastro di Capella di S.A.S. per sua recognitione d’aver composti in musica li versi recitati d’avanti la Ser.ma Duchessa”143 (fig. 7). A Cristoforo Malagola, dipendente comunale, vengono invece elargite L. 300 “per sua recognitione (…) e sue fatiche fatte per l’occasione”144. Infine lo stampatore ducale Bartolomeo Soliani viene pagato L. 340 “per la stampatura della discrizione della festa e per cartoni”145. Questo il riepilogo delle spese sostenute dalla Comunità: “operari L. 5.708; legnami L. 4428; tele L. 1.453; pittura L. 5.815; illuminazione L. 3.607; fuochi artificiali L. 2.505; spesa della macchina L. 1.805; spesa della musica L. 1.824”, 139 Si veda l.f. V aldriGhi , Carandini Ippolito, Suor Sulpizia Cesis, il Morsellino e altri musicisti dei secoli XVI-XVII-XVIII, Modena 1881, p. 3. 140 Si rinvia a B izzoccoli , Musica, teatro e istituzioni pubbliche a Carpi nel secolo XVII, op. cit., pp. 452-453. 141 Vedriani lo cita come acquirente della grande Maddalena di Antonio Begarelli (Modena, Ospedale di Baggiovara) realizzata nel 1531 per l’altare Beleardi nella chiesa della Madonna del Carmine, poi nella collezione del vescovo Roberto Fontana, da dove pervenne all’orefice: V edriani , Raccolta de’ pittori, scultori, et architetti modonesi, op. cit, p. 48. 142 Si rinvia a G. Martinelli BraGlia, Valori storici e architettonici della chiesa di San Domenico a Modena, in Aspetti e problemi del Settecento modenese, a cura di G. Bertuzzi, v. II, Modena 1982, pp. 61-88, a p. 85. 143 ASCMo, colloc. cit., “Reggistro de’ mandati”, c. 28r. 144 Ivi, c. 31r., 13 maggio. 145 Ivi, c. 30v., 13 maggio. 222 Graziella Martinelli BraGlia Fig. 6 - Girolamo Martinelli, Concerto in Casa Lazzari. Carpi, Museo della Città. Le “allegrezze” per le nozze di Francesco I d’Este e Lucrezia Barberini (1654) 223 per un totale di L. 35.101146. Gravose spese, come dimostra la minuta di una lettera della Comunità a un principe estense, con cui si lamentano difficoltà economiche, al fine di ottenere dal “Banchiere Viggarani [Carlo Vigarani, fratello di Gaspare] ducatoni due milla di Modana con la sicurtà del Banchiere Lanzi per la puntuale restituzione di cotal prestito”147. Il 4 maggio Malagola aveva ricevuto L. 132 per gli operai che “hanno guastato li palchi fatti”148. Ci si può immaginare che, secondo una prassi consueta, il “Palagio” e le quinte dipinte, gli apparati con le statue, i vasi, le aquile, i gigli, le api venissero smontati e trasportati nei magazzini in attesa di venir riutilizzati per altri allestimenti, secondo la pratica, abituale, del riciclo delle strutture e degli elementi decorativi; probabilmente furono stivati in quell’Arsenale, adibito anche a scuderie, che la Comunità possedeva sulla via Emilia, presso Porta Bologna, vicino al coro della chiesa dei Carmelitani, accanto a “ordigni e stromenti della Giustizia, tela, palchi per la piazza, asse, travi, legna”149. Fig. 7 - Ritratto di Benedetto Ferrari detto dalla Tiorba, acquaforte. 146 Ivi, c. 34r. ASCMo, colloc. cit., minuta di lettera s.d. 148 Ivi, c. 26r., 4 maggio. 149 Così nel 1634; ASCMo, Ex Actis, 1634, primo semestre, F. 58/1, maggio, trascr. in G. Martinelli BraGlia, Le Scuderie Ducali di Modena e l’intervento di Bartolomeo Avanzini, in “Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena”, s. VIII, XVIII/II (2016), pp. 579-594, a p. 583. 147 ATTI Cariche sociali............................................................................................................. pag. V Soci (al 31.12.2021) .................................................................................................... « V Calendario adunanze ................................................................................................... « XII eBruk BuSni: La penna del cronista: fonti e scrittura nella cronaca di Modena di Giovan Battista Spaccini......................................................................................... « 3 Stefano Minarelli: Ritratti ed enigmi nel Compianto sul Cristo Morto di Cima da Conegliano nella Galleria Estense............................................................ « 23 GiuSeppe MiGliorato: Ipotesi sulle Spositioni sopra Dante raccolte da domestici ragionamenti di messer Lodovico Castelvetri della Biblioteca Reale di Copenaghen .... « 41 enzo Ghidoni: Galeotto II Pico e l’ambasciatore francese a Venezia Guillaume Pellicier ........................................................................................................... « 53 enzo Ghidoni: Galeotto II Pico e la pace di Crépy ..................................................... « 89 laura Bondielli, filippo coMiSi, Giulia Guazzelli: Casa Landi: cronache da uno sgraffito. 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