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Jago a Palazzo Bonaparte, Quel che resta di una mostra

Jago a Palazzo Bonaparte, Quel che resta di una mostra

Nel docu The Rock Star lo scultore davanti alle sue opere

ROMA, 23 settembre 2022, 18:54

di Luciano Fioramonti

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Jago - RIPRODUZIONE RISERVATA

Jago - RIPRODUZIONE RISERVATA
Jago - RIPRODUZIONE RISERVATA

"Una mostra comincia e finisce. Quello che resta è l'umanità di tutte le persone che sono venute e mi hanno arricchito". Jago riflette e commenta aggirandosi tra le sue sculture, visitatore notturno e solitario di Palazzo Bonaparte dove dal 12 marzo alla fine di agosto più di 140 mila visitatori hanno fatto la fila per ammirare i lavori che lo hanno reso famoso. Così lo descrive il documentario 'Jago. The Rock Star', racconto in bianco/nero di grande fascino prodotto da ItsArt e Ballandi e scritto da Filippo Nicosia e Marco Pisoni per la regia di Giovanni Troilo. "Non l' ho ancora visto - diceva il giovane artista prima della proiezione - quindi non so dare un giudizio. Anche il titolo non l'ho deciso io". Ecco, appunto, nel gioco di parole tra rock - roccia, pietra - e i grandi della musica non si corre il rischio di esagerare? "E' un tentativo disperato di farmi montare la testa - risponde all'ANSA - . Quando qualcuno mi dice una cosa del genere rispondo sempre 'non lo dire una seconda volta altrimenti rischio di crederci'. Ovviamente non è così. Lo vedo come un gioco simpatico". Jacopo 'Jago' Cardillo, 35 anni, commenta con un sorriso il successo straordinario della mostra organizzata nella capitale da Arthemisia, con numeri riferibili "a un artista defunto entrato tra i classici" e anche sulla definizione di 'Nuovo Michelangelo'', diffusa nel mondo dei social di cui è diventato un campione di visualizzazioni record grazie alle dirette dei suoi lavori in corso per ogni opera, mettendo le mani avanti. "Non voglio essere il 'nuovo nessuno' ma solo me stesso - chiarisce -. A volte c'è bisogno di creare parallelismi per leggere la realtà. In una dimensione comunicativa può aiutare ma in questo caso chi lo dice non sa di cosa parla. E' importante, invece, l'eredità della bellezza che ci arriva dal passato". Il documentario, in visione gratuita su ItsArt dal 29 settembre, è una sfida che il regista ha detto di aver vissuto "concedendosi il lusso di perdersi, liberi per una volta dai vincoli del sistema produttivo che spesso sacrificano la spontaneità e le emozioni". Tra le luci radenti che esaltano la bellezza dei marmi e la colonna sonora avvolgente di Lamusa II, Jago mostra di lasciarsi andare a un monologo spontaneo per mettersi a nudo. "L'arte è un gesto di sintesi - osserva -. L'opera è un oggetto-simbolo restituito alla collettività perché l'arte appartiene agli altri". Lo scultore ribadisce di essere stato costretto a guardare le sue opere, cosa che non fa mai. L'occasione, però, gli consente di raccontare aspetti sconosciuti dei suoi lavori. Ad esempio, l'idea per la sua opera forse più complessa e sorprendente, i 30 cuori in ceramica uno leggermente diverso dall'altro con cui filmati in loop riproducono il movimento del battito cardiaco, gli è venuta dal doppio rumore provocato dal colpo sullo scalpello come seguendo uno spartito. Ecco il suo Habemus hominem, il celebre busto di Ratzinger dal sorriso enigmatico, prima nell'abbigliamento papale e poi, dopo la rinuncia al pontificato, letteralmente 'spogliato' fino a mostrare la pelle rugosa. "Ho cominciato a lavorare con i sassi perché non avevo i soldi per comprare i blocchi di marmo - ricorda -. Visualizzare una forma in una pietra o in un blocco di marmo scegliendola tra il numero infinito di forme possibile è la vera responsabilità dell'artista. E' un problema quando si deve spiegare un'opera. Se fra 400 anni un bambino troverà un pezzo di una mano scolpita da me e la riconoscerà io ho vinto". Seduto accanto al suo 'Figlio velato', con le pieghe di quel drappo morbido che avvolge il bimbo su cui è possibile contare ogni singola linea di tessuto, o alla 'Pietà' moderna che rimanda alle sofferenze e alle vittime provocate dalla guerra, il social artist esprime l'idea che lo guida. "Non è importante la dimensione di un'opera, ma quando è pesante il risultato che produce in termini di valore per gli altri", spiega riferendosi al minuscolo bimbo in posizione fetale portato nella stazione spaziale internazionale dall'astronauta Luca Parmitano. E cita il caso di una donna che lo stupì per aver baciato una sua statua che non era un'opera religiosa. "Quel gesto è stato di grande importanza per me. Il significato lo dà l'osservatore. Il tuo sta già dentro l'opera". Finita la proiezione, Jago non nasconde la soddisfazione: "Bello, bello, bello. Anche questo racconto resterà".

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