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Lost Girls and Love Hotels

2020
REGIA:
William Olsson
CAST:
Alexandra Daddario (Margaret)
Takehiro Hira (Kazu)
Carice van Houten (Ines)

Il nostro giudizio

Lost Girls and Love Hotels è un film del 2020, diretto da William Olsson.

Il film di Olsson è una serenata alla notte luminosa, alla solitudine claudicante e l’erotismo carnivoro del fondale giapponese, ormai divenuto suggestione sostitutiva dell’America di una volta. Al tempo dei social e di YouTube, Kawai ed Hentai hanno la meglio sugli indiani e i cowboy. Lost Girls and Love Hotels riprende la questione dei Love Hotels, tanto cari a Gaspar Noé ma decisamente ancora tutti da sfruttare. Con essi scandisce le tappe decadenti di una Ms. Goodbar americana, in cerca di sesso violento con sconosciuti mandorlati. Citiamo il film di Richard Brooks non a caso. La protagonista Margaret (Alexandra Daddario) ricorda il personaggio irrequieto interpretato da Diane Keaton nel 1977: una donna con una duplice esistenza (di giorno insegnante e di notte viveur tra alcol e incontri hot) e un bisogno di abbeverarsi alle soffici mammelle dell’oscurità più famelica. Il film è stato sceneggiato da Catherine Hanrahan, autrice del romanzo da cui è tratto, basato sull’esperienza che lei ha vissuto a Tokyo come insegnante di Inglese.

Doveva essere diretto già prima del 2017 da Jean-Marc Vallée, con Kate Boswroth protagonista, ma qualcosa andò storto e le cose finirono per slittare in una nuova produzione, con un regista e un’interprete principali diversi.
Tenendo presente che si tratta del primo script della Hanrahan, le cose non sono andate poi così male, anche se Lost Girls and Love Hotels soffre un po’ troppo lo sguardo turistico di una giovane ingenua e non cambia rotta praticamente mai. Per molti il sodalizio oriente/occidente non fa molto di più del meraviglioso salamelecco Yakuza di Sidney Pollack (1974). Anche qui lui deve spiegare all’occidente affascinato perché ha un dito tagliato e altre drastiche usanze dell’organizzazione criminale più affascinante del ventunesimo secolo. Il problema principale però è sempre l’amore, dice il Cinema. Dal punto di vista di lui non esula dal senso del dovere mentre per lei è libertà di chiedere a qualcuno di stringerle una cinghia alla gola e tirare. Kazu (Takehiro Hira) non esula dallo stereotipo del criminale giappo, austero, crudele, impaccato di soldi ed erotico, mentre Margaret è algida, spettrale, anemica, la sua pelle è fredda come la terra da cui proviene e mi sia concesso, eccitante quanto un cremino nel sedere a Ferragosto.

Il suo continuo martellare contro i corpi maschili, prostituendosi o concedendosi gratuitamente al primo che capita, sembrano i disperati tentativi di un cadavere vivente che vorrebbe scaldarsi contro un altro cadavere vivente.  Continua a ingurgitare birra e superalcolici sperando di aumentare la propria gradazione. Si accende sigarette a non finire come scusa di tirarsi in faccia la fiamma di un accendino. Tutto questo sforzo per restare termo-esistenzialmente sotto lo zero. Cammina, corre, rincorre il fuoco del vero amore, senza il quale nulla ha senso. Però il principe azzurro con gli occhi a mandorla è destinato a un’altra principessa e allora Margaret continua a cercare tra gli sconosciuti per strada, finché non incappa in un drago, il quale la segrega nel proprio castello (sempre una stanza di un Love Hotel, ovviamente) legandola a un letto e facendo strani discorsi sulla morte e le maschere di pelle. Margaret potrebbe fare qui la fine di Ms. Goodbar ma è forse proprio quello che sta cercando: cacciarsi nel pericolo come fosse un rituale evocativo, per veder tornare il suo principe a salvarla. Se la vita è una fiaba lei la vuol vivere, altrimenti non le interessa. Diciamo però che sul piano critico mai un lieto fine sia costato così caro.