La Gorizia che non c'è più nelle opere di Pacassi, viaggio nel genio della Mitteleuropa • Il Goriziano
La Gorizia che non c'è più nelle opere di Pacassi, viaggio nel genio della Mitteleuropa

La Gorizia che non c'è più nelle opere di Pacassi, viaggio nel genio della Mitteleuropa

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La Gorizia che non c'è più nelle opere di Pacassi, viaggio nel genio della Mitteleuropa

Di Vanni Feresin • Pubblicato il 20 Giu 2021
Copertina per La Gorizia che non c'è più nelle opere di Pacassi, viaggio nel genio della Mitteleuropa

Protagonista del Settecento in città, l'architetto divenne un nome di primo piano nell'Impero asburgico. Le sue opere più belle.

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Gorizia può vantare vestigia architettoniche e artistiche di pregevole rilievo sostanzialmente per due ragioni: in primis perché la città ha origine molto antica, basti guardare il suo nucleo urbano arroccato nel borgo medioevale attorno al castello, e in seconda ipotesi per la sua particolare situazione geografica che l’ha messa a contatto con mondi molto diversi e talvolta contrapposti; sicuramente le devastazioni procurate dai duelli di artiglieria della prima guerra mondiale poco o nulla hanno lasciato della città precedente al XVIII secolo e ciò ha recato dei danni profondissimi a una storia complessa che avrebbe meritato ben altro destino.

Fondamentale per il capoluogo isontino è stato tutto il Settecento. Dal punto di vista sociale Gorizia, che contava poco più di cinquemila abitanti alla fine del Seicento [giungerà agli ottomila abitanti poco prima delle dominazioni napoleoniche], passò rapidamente a un’espansione e a uno sviluppo, sia dal punto di vista urbanistico sia demografico, determinato soprattutto da una notevole concentrazione di ordini religiosi che con i loro conventi, le chiese, i seminari, i collegi, le cappelle segnarono in modo profondo la fisionomia barocca di molta parte del centro cittadino.

Il Settecento segnò l’innalzamento e il miglioramento della qualità della vita, con ripercussioni positive sulle arti in generale. A Gorizia si incrociavano in modo del tutto singolare due indirizzi culturali e formali perché la vita artistica cittadina ruotava intorno a due poli antitetici, Venezia e Vienna, due aree culturali che attraevano e influenzavano in modo simile gli artisti goriziani. Tra i pittori operanti nel XVIII secolo che si caratterizzeranno per la loro gorizianità (o perché vi sono nati o vi hanno preso fissa dimora) sicuramente sono da annoverarsi Antonio Paroli (1688 – 1768) e la famiglia di artisti Lichtenreiter. Nel campo dell’architettura, invece, la famiglia Pacassi, e in particolare Nicolò, lasciò un segno indelebile tra Gorizia e Vienna.

Nicolò nacque a Wiener Neustadt il 5 marzo 1716 e come sottolinea Ranieri Mario Cossàr in “Storia dell’arte e dell’artigianato a Gorizia”, edita a Pordenone nel 1948: “nessun misero mortale, nato in riva al ceruleo Isonzo, è stato ritenuto dai cittadini più goriziano di lui, sebbene avesse visto la luce a Wiener Neustadt”. Il suo vero nome era Nikolaus Franz Leonhard von Pacassi, il padre Giovanni si trasferì a Gorizia dopo il matrimonio con una donna del luogo. La famiglia da generazioni si dedicava al mestiere di scalpellino e i Pacassi erano molto ricercati in città proprio per la lunga esperienza, in particolare nel campo della costruzione degli altari, tanto che Giovanni realizzò nel 1708 l’altare della Cripta dei Cappuccini a Vienna (luogo di sepoltura della famiglia imperiale d’Austria) e il nonno di Nicolò, Leonardo, aveva realizzato tra il 1690 e il 1694 l’altare maggiore della Chiesa del Santissimo Salvatore in Gradisca [si vedano le note spese presenti nell’archivio storico della parrocchia di Gradisca 3.4/1 Pagamenti effettuati e quietanze; b.39 – 43; 1620 – 1915].

Il padre di Nicolò, negli anni di permanenza nella capitale dell’Impero, ebbe modo di entrare in contatto con i grandi protagonisti dell’arte e dell’architettura mitteleuropea e anche per questo motivo fece intraprendere la carriera di architetto a suo figlio. Nicolò nel 1740, non ancora ventiquatrenne, progettò e realizzò il Palazzo Attems – Santa Croce e sarà proprio Sigismondo d’Attems, amico e vicino di casa [abitavano entrambi di piazza Corno], a metterlo in contatto con il mondo della corte imperiale viennese, infatti già nel 1743 sovrintenderà ai lavori del Castello di Hetzendorf per conto dell’Imperatrice Maria Teresa.

La carriera di Pacassi fu rapida e di successo: nel 1745 divenne Baumeister al servizio della corte, nel 1748 Hofarchitekt (Architetto di corte), nel 1753 ottenne il titolo di primo architetto delle costruzioni imperiali e nel 1760 K. K. Oberhofarchitekt (Sovrintendente alle costruzioni imperiali), tra il 1761 e il 1763 divenne professore all’Accademia di San Luca a Roma, nel 1764 ottenne l’investitura a cavaliere del Sacro Romano Impero e nel 1769 l’imperatrice lo nobilitò con il titolo baronale, ancora controverse le motivazioni delle sue improvvise dimissioni da sovrintendente, avvenute nel 1772.

I lavori goriziani che ancora oggi restano visibili sono, oltre al già citato palazzo comunale, la fontana del Nettuno in piazza della Vittoria e quella dell’Ercole, nel cortile di Palazzo Attems Petzenstein, ultima opera dell’architetto del 1775. Nicolò Pacassi, nella sua visione moderna e innovativa dell’architettura, elaborò facciate chiuse entro schemi limpidi, rispettando e sviluppando proporzioni e temi ancora palladiani, con evidenti ascendenze francesi, e come scrive Sergio Tavano: “egli imprime un indirizzo d’avanguardia non solo nella sua città ma anche e soprattutto a Vienna e dovunque lo chiamavano le sue mansioni di architetto di corte.

Anche se alcuni studiosi hanno recentemente confutato in modo netto la veridicità delle attribuzioni delle opere goriziane del Pacassi, non si può ignorare il lavoro svolto negli ultimi cinquant’anni dagli storici dell’arte Ranieri Maria Cossàr, Antonio Morassi, Sergio Tavano, Diego Kuzmin e Giuseppina Perusini, pertanto si ritengono fondate le argomentazioni finora prodotte che indicano quali opere goriziane:

Il Palazzo Attems – Santa Croce venne ultimato da Nicolò Pacassi nel 1740, all’epoca l’architetto aveva appena ventiquattro anni. Questo risulta essere il primo grande progetto attribuito all’architetto Goriziano, che ideerà e realizzerà altri due notevoli palazzi per la nobile famiglia degli Attems: il Palazzo di Piazza Corno nel 1745 e quello di Podgora del 1748, andato distrutto durante il primo conflitto mondiale, l’8 agosto del 1915.
Dell’originario Palazzo Attems – Santa Croce permangono oggi solamente i tre balconcini sul fronte stradale, la loggia jonica rivolta al giardino e la doppia scalinata d’ispirazione veneta, con gli altri gradini che conducono al primo piano. L’edificio venne completamente modificato da Johann Christoph Ritter de Zahony, subito dopo l’acquisto del 1823. Le modifiche sono state effettuate da un architetto che rimase misteriosamente anonimo.

Il Palazzo Attems-Petzenstein famoso per la sua imponente facciata, si erge solenne in quella che fu Piazza Corno [oggi de Amicis] dominato da sette statue allegoriche e con lo stemma comitale segnato AN. MDCCXLV, iniziato secondo alcuni storici nel 1714, secondo altri nel 1732, e ultimato nel 1747. La costruzione di sapore palladiano, ma in stile di transizione fra il barocco e il rococò con il suo grande salone adorno di stucchi venne impreziosito da numerose tele dei maggiori autori del secolo XVIII, non ultimo Antonio Paroli.

Il Palazzo Attems di Piedimonte del Calvario [distrutto nel primo conflitto mondiale] venne ultimato nel 1748. Lo storico dell’arte Antonio Morassi così descrive le scelte di Pacassi “lo vedo specialmente intuitivo nel trar vantaggio partito dal paesaggio per ambientare bene le sue fabbriche: qualità che forse gli veniva da uno studio profondo su l’architettura rustica e sull’arte dei giardini”. La villa è fabbricata “in una prospettiva così bene intesa, che la valorizza e ingrandisce a dismisura. Il terreno leggermente ascendente e i terrapieni la fa apparire più lontana, ingannando l’occhio, e le proporzioni tra gli edifici principali, e le fabbriche annesse son tanto ben vagliate che dall’intimo nesso architettonico ne risulta un insieme perfettamente armonioso, ma aumentato in potenza prospettiva”.

La Fontana del Nettuno, nell’attuale piazza della Vittoria, al cui centro domina Nettuno con suo tridente sopra i sei tritoni, che versano dal corpo lo strale d’acqua nel bacino, era stata benedetta e inaugurata il 25 marzo 1756. L’antico pozzo pubblico che gli stava accanto venne otturato nel 1758. Maria Teresa per la conclusione dell’opera aveva donato parte del ricavato della vendita delle caccie della contea, il giudice e rettore Francesco de Gironcoli aveva fornito gratuitamente la pietra necessaria e per questa ragione era stato creato nobile del Sacro Romano Impero con il predicato di Steinbrunn, nel 1760. Esecutore dell’opera lo scultore Marco Chiereghini.

La Fontana dell’Ercole, segno tangibile dell’affetto di Nicolò Pacassi per la città di Gorizia. Ercole con la clava in mano è nell’atto di atterrare l’Idra di Lerna; la fontana era collocata in mezzo all’allora piazza Corno e un’iscrizione ne ricordava l’atto generoso dell’architetto. L’opera monumentale venne realizzata da Marco Chiereghini nel 1775 e con la sua linea di composizione armonizzava con il Palazzo Attems-Petzenstein. Venne rimossa nel 1934 per essere collocata nel giardino del palazzo stesso dove ancora oggi è possibile ammirarla.

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