Gabriele D'Annunzio, la lingua italiana: le parole inventate dal Vate

Gabriele D’Annunzio e i contributi alla lingua italiana: lessico e neologismi coniati dal Vate

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Di Stella Grillo

Nello spazio dedicato alle Parole dal Mondo, oggi, Gabriele D’Annunzio e i contributi alla lingua italiana da parte del Vate. D’Annunzio è autore di numerosi neologismi che, nel tempo, sono diventati ricorrenti nel linguaggio parlato. Ecco, dunque, una puntata speciale della consueta rubrica del martedì in occasione del suo anniversario di nascita, il 12 Marzo.

Gabriele D’Annunzio, la lingua italiana e l’importanza delle parole

Gabriele D'Annunzio lingua italiana
Gabriele D’Annunzio lingua italiana – Credits: culturaidentita.it

Fra personalità letterarie italiane più affascinanti ma non solo: il Vate ha donato notevoli contributi alla lingua italiana poiché raffinato linguista; la sua fantasia ha regalato i natali a numerosi neologismi, vocaboli, e nomi propri che sono entrati a far parte del linguaggio corrente. Gabriele D’Annunzio fu anche uno dei numerosi intellettuali che aderì alla politica linguistica del fascismo contribuendo lui stesso alla creazione di alcuni espressioni e parole; è il caso del celebre tramezzino inventato a Torino dal Vate durante una visita al Caffè Mulassano nel 1925. E ancora, il Corpo Nazionale dei Pompieri: durante il regime fascista, nel 1938D’Annunzio suggerì di modificare il nome in Vigili del Fuoco ispirandosi alla figura dei vigiles risalenti all’Antica Roma. E, ancora, italianizzò il cognac francese utilizzando l’attributo arzente per riferirsi a un liquore qualsiasi; arzente, infatti, è una variante dell’aggettivo ardente.

Questi sono solo alcuni degli esempi della sconfinata creatività del Vate, punto fermo nella sfera lessicale della lingua italiana: a cominciare dall’invenzione dei nomi propri di persona! Inventò il nome proprio Cabiria in onore dell’eroina dell’omonimo film muto datato 1914 , del quale firmò anche la sceneggiatura. Un’altra invenzione dall’eclettico poeta abruzzese è il nome femminile Ornella; il Vate lo utilizza per la protagonista del suo romanzo La figlia di Jorio del 1904. Esiste, tuttavia, una prova dell’utilizzo di questo nome risalente al 1900, conclamata dal Dizionario Storico dei Nomi italiani della Utet. Altro nome proprio inventato da D’Annunzio fu Liala: lo pseudononimo della scrittrice di romanzi rosa Amalia Liana Negretti Odelaschi.

Vocaboli nati dalla fantasia del Vate

A Gabriele D’Annunzio spettano gli onori per aver introdotto, all’interno della lingua italiana, vocaboli in uso ancora oggi. Dopo aver già raccontato la storia del tramezzino, ecco le parole più celebri il cui utilizzo risulta anche attualmente:

  • Scudetto: il classico triangolo tricolore applicato sulle maglie della squadra che vince il Campionato italiano di calcio fu coniato proprio da Gabriele d’Annunzio. Questo simbolo si ispira a una sorta di ”targa” che D’Annunzio volle applicare e cucire dietro la divisa, indossata dagli italiani, in una partita di calcio organizzata durante l’occupazione di Fiume, il 7 febbraio del 1920.
  • Velivolo: il Vate fu un esperto aviatore e ideò questo termine traendo spunto dal latino velivolus, “che va e par volare con le vele”, per riferirsi al nuovo mezzo di trasporto. D’Annunzio spiegò la scelta di questo termine durante una conferenza sul Dominio dei cieli avvenuta nel 1910:

‘La parola è leggera, fluida, rapida; non imbroglia la lingua e non allega i denti; di facile pronunzia, avendo una certa somiglianza fònica col comune veicolo, può essere adottata dai colti e dagli incolti”.

Conferenza sul Dominio dei cieli (1910)
  • Fusoliera: utilizzata per la prima volta nel romanzo Forse che sì, forse che no (1910), è un termine tecnico dell’ambito aviatorio. Il poeta scelse questo vocabolo in riferimento alla parte principale e centrale del corpo di un aeromobile contenente passeggeri o carico. D’Annunzio scrive nel suo romanzo:

“… Immaginò di ritrovarsi nella lunga fusoliera che formava il corpo del suo congegno dedàleo tra i due vasti trapezii costrutti di frassino di acciaio e di tela”.

Forse che sì, forse che no (1910)

Parole e declinazioni: il cambio di genere

Gabriele D’Annunzio cambiò anche il genere di alcuni termini, per esempio l’Automobile e il suo uso al femminile: inizialmente il termine automobile era declinato al maschile in tutti i paesi e, almeno fino al 1926, anche in Italia. Tuttavia, Gabriele D’Annunzio decise di dare un ulteriore contributo alla lingua italiana asserendo che il genere più consono a questo vocabolo era, senza dubbio, il femminile:

Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza. Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza”.

Lettera al Senatore Giovanni Agnelli (1926)

Il cambio di genere toccò anche al celebre fiume Piave. Lo storico corso d’acqua, importantissimo per la storia italiana, era originariamente declinato al femminile: la Piave. Dopo la vittoria italiana, durante la Prima Guerra Mondiale, il Vate decise di cambiarne il genere sia per celebrarne la potenza, sia come simbolo patriottico; D’Annunzio, infatti, lo consacrò come ”fiume sacro alla Patria” riferendosi al fiume il Piave, al maschile.

Gabriele D’Annunzio e la lingua italiana: i motti celebri

Gabriele D’Annunzio ha donato alla lingua italiana anche diversi giochi di parole molto popolari, motti e modi dire attualmente in uso:

  • Tenere-a-mente. Questa locuzione è un modo di dire che il poeta abruzzese era solito scrivere su bigliettini e fotografie che, in seguito, dedicava alle sue amanti. Fra queste, si annoverano Luisa Baccara, Antonietta Treves  e Olga Levi Brunner di cui esiste anche una testimonianza; una lettera autografata inviata alla Brunner datata 1917 e conservata al Vittoriale nel Museo d’Annunzio Segreto, sotto il palcoscenico dell’anfiteatro. Questa espressione scissa in questi termini si riferisce alla dolcezza condivisa e al reciproco ricordo dei due amanti.
  • Qui staremo benissimo: Hic manebimus optime è un celebre motto simboleggiante risolutezza e determinazione. Questa espressione latina appartiene allo storico romano Tito Livio e appare nella sua opera Ab Urbe Condita, nota anche come Storia di Roma; è attribuita a un centurione che, durante le invasioni celtiche della penisola italiana, esortava i propri compagni influendo, indirettamente, alle decisioni del senato romano di non abbandonare la città. E’ un’espressione che indica patriottismo e D’Annunzio la utilizza ricordando l’impresa di Fiume; a tal proposito, infatti, divenne il motto simbolo dei Legionari.
  • Grave benché soave: D’Annunzio coniò questo motto in lingua latina nel romanzo Trionfo della morte: Gravis dum suavis. Gravis è inteso come ‘‘triste”; Dum è una congiunzione latina resa con ”mentre” ”allo stesso tempo” e, Suavis significa ”Dolce”. E’ utilizzato per indicare il ricordo di un tempo diverso. Queste parole descrivono il personaggio d’Ippolita Sanzio, amante del protagonista Giorgio Aurispa, all’interno del romanzo.
  • E sul monte e nello stagno son qual fui falcon grifagno: coniato da Gabriele d’Annunzio il 2 dicembre 1917 in onore al Battaglione Monfalcone della Brigata Marina. Esalta le caratteristiche dei combattenti paragonandoli ai valorosi rapaci capaci di attacchi e guizzi d’azione repentini ma efficaci.

Slogan e marchi pubblicitari

Il nome dei rinomati biscotti Saiwa si deve proprio a Gabriele D’Annunzio e ai suoi contributi non solo alla lingua italiana ma anche al marketing! L’allora piccola pasticceria genovese si chiamava Società Accomandita Industria Wafer e Affini che, nel ‘900, si espanse per la produzione dei dolci. Fu il Vate a proporre l’acronimo Saiwa, in modo tale da semplificare l’appellativo con le iniziali della società.

I famosi magazzini La Rinascente, inizialmente noti come “I grandi magazzini dei fratelli Bocconi”, dopo un terribile incendio nel 1917 cambiarono il nome con quello suggerito da D’Annunzio: “Rinascente“, riferito alla rinascita dei grandi magazzini, risorti dalle proprie ceneri proprio come l’iconico uccello mitologico, la Fenice.

Stella Grillo

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