Lettera da una sconosciuta: Max Ophuls e il mito di Vienna

Lettera da una sconosciuta: Max Ophuls e il mito di Vienna

March 15, 2023 0 By Mariangela Martelli

Lettera da una sconosciuta (Letter from an Unknown Woman, 1948) è un film di Max Ophuls tratto da un racconto di Stefan Zweig (Brief einer Unbekannten, 1922). Un uomo legge una lettera nell’arco della notte prima del duello. È la confessione di una donna, conosciuta anni prima e di cui il protagonista non ricorda. La voce fuori campo di lei dà forma al contenuto della missiva, mettendo in scena un lungo flashback, che di fatto, articola il corpo filmico. << A te, che non mi hai mai conosciuto >> è così che Lisa Berndle (Joan Fontaine, vedi Rebecca) apre il racconto di sé all’uomo che ha sempre amato, non ricambiata: Stefan Brand (Louis Jourdan), un musicista. L’intestazione stampata sui fogli è quella dell’ospedale, da dove la donna scrive le ultime volontà. Le parole di Lisa sono il tentativo estremo di far arrivare la propria verità all’uomo: dal momento dell’innamoramento, alla rivelazione del figlio nato dopo l’unica notte trascorsa insieme. La confessione articola i ricordi: vediamo Lisa ragazzina, fantasticare sul nuovo vicino che osserva da lontano, senza parlarci. A lei basta entrare in contatto con degli elementi che lo rimandino a lui: dagli oggetti, al suono del pianoforte. La musica che proviene dalla stanza di lui, permette a Lisa di idealizzare un collegamento sentimentale con la figura dell’amato. Si incontrano per la prima volta, per caso: lei gli apre la porta del palazzo mentre lui sta uscendo. Un attimo sospeso, il viso di lei rimane dietro il vetro. Purtroppo il tempo non è a loro favore: Lisa deve traslocare a Linz, dopo che la madre si è risposata ma alla partenza alla stazione, la ragazza scappa, per raggiungere Stefan. Lei lo aspetta rincasare, seduta sulle scale, per poi spiarlo mentre sale, in compagnia di una donna. Chiusa la parentesi a Linz, Lisa ritorna a Vienna e ogni giorno, dopo il lavoro in una boutique, si reca sotto casa di Stefan per osservarlo. Una sera lui la nota e le parla, passeggiano per le strade innevate. Una panoramica, da dietro il vetro di un cafè, segue la coppia che dall’esterno entra nel locale. A cena, i due sono incorniciati dalle tende laterali, come un sipario teatrale. Durante il giro in carrozza, lui le regala una rosa bianca, affascinato dall’ingenuità della giovane.

Lisa spia il suo amore da lontano: Stefan è, nel film, un talentuoso pianista e non un romanziere come nel racconto. La presenza dell’amato è evocata dalla musica che suona (Chopin, Mozart, Liszt) e dagli oggetti lussuosi ammirati dalla giovane. Come già in Amanti folli (Liebelei, 1933) si tratta di una storia d’amore a senso unico: Lisa ha idolatrato Stefan senza vedere che per lui lei è solo un “amoretto”, la cui avventura le lascia un figlio. Come in Tutto finisce all’alba (Sans lendemain, 1939) i due amanti si rincontrano casualmente dopo dieci anni, a teatro, ma lui non si ricorda della donna. La seduce una seconda volta, facendole però cadere il velo che l’ha illusa. Tra gli altri topoi ophulsiani, troviamo, all’interno del film: il viaggio immaginario come in Yoshiwara, il quartiere delle Geishe (Yoshiwara, 1937) inserito nella sequenza della passeggiata notturna al Prater e il movimento della ripetizione, attivato da un marchingegno artigianale, che anticipa la struttura narrativa de Il piacere e l’amore (La ronde, 1950). Nella celebre sequenza degli amanti all’interno di un vagone ferroviario, vediamo con loro, lo scorrere dei fondali dipinti di alpi innevate e di ponti veneziani: un movimento circolare che plasma un microcosmo onirico, sospeso e ovattato. La scena sintetizza l’unica notte che i protagonisti trascorrono insieme: tra lo spazio dell’immaginazione e un tempo proiettato verso l’altrove. Il giorno seguente si salutano alla stazione, ma la promessa di lui, di rivedersi dopo un paio di settimane di concerti, non viene mantenuta. Dopo la separazione, Lisa continua a vivere nel ricordo di lui, un fantasma del passato che non riesce a lasciar andare:

<< Sedevo sola in casa per ore, per giorni interi, e non facevo altro che pensare a te, rivivendo di continuo, senza mai stancarmene, le centinaia di piccoli ricordi di te, ogni incontro, ogni attesa, e mettendo in scena questi piccoli episodi come a teatro, per me sola. >>

S. Zweig, Lettera da una sconosciuta, Ed. Newton, p. 132.

Segue un salto temporale di dieci anni: Lisa vive in un palazzo, si è sposata e il figlio avuto con Stefan è cresciuto. La quotidianità domestica della donna è messa in discussione quando rivede l’amore della sua vita a teatro ma Stefan, nonostante intuisca di averla già vista, non la ricorda. L’illusione di Lisa si infrange la sera in cui va da lui e comprende di essere una tra le tante. Il film si chiude sul presente di Stefan, a fine lettura. Lisa e suo figlio non ci sono più, sono morti di tifo. Ormai è l’alba: l’uomo si fa coraggio e va incontro al proprio destino.

<< Trasalì per lo spavento: era come se all’improvviso fosse stata spalancata una porta senza che nessuno se ne fosse accorto, e una corrente d’aria fredda soffiasse da un altro mondo nella sua camera immobile, in attesa. Percepì una morte e percepì amore immortale: qualcosa gli si spezzò nel profondo dell’anima, ed egli pensò alla donna invisibile, in maniera appassionata e incorporea, come a una musica lontana. >>

Ivi, p. 151.

Max Ophuls è lo pseudonimo di Maximilian Oppenheimer. Uomo cosmopolita ma sempre legato all’ impero austro ungarico, Ophuls ha adattato il proprio cognome in base ai contesti sociali dei paesi in cui ha vissuto e lavorato (Italia, Francia, Hollywood, di nuovo Francia). È con l’esilio dalla Germania, durante il secondo conflitto mondiale, che fa sparire i puntini sulla “u” del cognome. La carriera di Ophuls nasce tra le quinte ma dopo una dozzina d’anni di esperienza teatrale alle spalle, Ophuls passa al cinema. Trasforma le sue idee di messa in scena teatrale in funzione dello schermo, sviluppando il concetto di fluidità di movimento della mdp, in accordo con il profilmico. Ritroviamo, all’interno della filmografia, la poetica dell’autore, rivolta verso un mondo che non c’è più: quello a cavallo tra ‘800 e ‘900. Il concetto della decadenza è espresso nei suoi film, attraverso le forme filmiche del movimento di macchina, in primis i carrelli sinuosi che, come vortici e girotondi impossibili, si sviluppano in arabeschi raffinati, rincorrendo e circondando il tramonto di un’epoca che sta cambiando. Ma sotto la superficie dello splendore del décor è presente la crepa che ingloba un universo: quello mitteleuropeo, dove i personaggi vacillano all’interno dell’horror vacui scenografico. Ophuls esibisce gli ultimi bagliori di un mondo di ieri: le giostre, i balli e le corse sfrenate sono un ri-girare attorno alla stessa idea, custodita nel bagaglio personale del regista e dal quale, mai come durante gli anni dell’esilio, vi attinge per la realizzazione delle sue opere. La cifra stilistica di Ophuls, regista preferito di Stanley Kubrick, è caratterizzata da un’attenzione verso il melodramma e le protagoniste femminili, dalla cura scenografica, dai movimenti circolari e dalle panoramiche. Ricordiamo, inoltre, le sue trasposizioni filmiche di opere letterarie come Il piacere e l’amore (La ronde, 1950), tratto da Girotondo (Reigen, 1900) di Arthur Schnitzler e Il piacere (Le plaisir, 1951) dai racconti di Maupassant. Il racconto di Lettera da una sconosciuta è stato oggetto di molti adattamenti cinematografici, come il precedente Solo una notte (Only yesterday, 1933) di John M. Stahl. Già durante le riprese di Re in esilio (The Exile, 1947), la casa di produzione Universal-International propone a Ophuls la trasposizione di un racconto di cinquanta pagine di Stephan Zweig, Brief einer Unbekannten (Lettera da una sconosciuta, 1922). Ophuls e Howard Koch apportano delle modifiche necessarie per aggirare la censura: la protagonista del libro, una donna di cabaret, diventa un’adolescente; vengono eliminati i riferimenti alla prostituzione; infine sono aggiunti il personaggio del marito e il tema del duello. Il film ottiene un grande successo: l’attrice tedesca Greta Garbo ne è entusiasta e contatta Ophuls per affidargli il suo ritorno su grande schermo, dopo otto anni: il progetto prevedeva un adattamento del romanzo di Honoré de Balzac (La Duchesse de Langais, 1834) che rimane irrealizzato.

Il mito di Vienna presente in Lettera da una sconosciuta fin dalla didascalia dell’incipitVienna 1900” e che circonda l’atmosfera del film, contribuisce a etichettare Ophuls come “regista viennese”, sebbene vi avesse soggiornato solamente un paio di mesi, tra l’altro senza girare una pellicola. La capitale austriaca è come un fantasma che aleggia all’interno di tutta la sua filmografia: infatti il passato ritorna fin da subito, nella lettera anonima di una donna che raggiunge il protagonista-destinatario quando lei è già morta. La lettura dell’uomo evoca fantasmi: un film lungo il tempo di un flashback (come ne La signora di tutti, 1934 e Lola Montès, 1955), narrato dalla voce fuoricampo della protagonista e che mette in scena dei simulacri di ciò che è stato.

Mariangela Martelli