A ventidue anni sono andata a New York per la prima volta. Era inverno, avevo una lunga lista di cose da vedere e ho deciso di iniziare da Central Park. Di passeggiare in mezzo agli alberi non me ne fregava nulla: volevo solamente arrivare davanti al laghetto e buttare lì al mio fidanzato: «Dove vanno le anatre in inverno quando la superficie dell’acqua diventa ghiacciata?».

Avevo fatto le prove: lo sguardo trasognato e una gonna a pieghe corta, come quelle indossate dalle ragazze dei college nei film americani, ma il clima era stranamente mite e il lago era pieno di anatre.

Anni a mangiare il pane di segale perché, se qualcuno mi avesse chiesto: «Cosa vuoi fare da grande?», ero pronta a rispondere: «Quella che salva i bambini, afferrandoli un attimo prima che cadano nel burrone, mentre giocano in un campo di segale». Altri anni di “Esmé” o “Pescibanana” come password, e infine una scuola di scrittura che alla mia famiglia era costata come un rene, scelta principalmente per il nome, per ritrovarmi a un rave di anatre. Davanti a quel lago ho iniziato a diffidare di J.D. Salinger.

Non sapevo molto di lui in realtà, m’importava solo di Holden Caulfield e della famiglia Glass. Per me Salinger era un eremita dal pessimo carattere che aveva scelto l’auto esilio nel New Hampshire. Il suo cottage di Cornish era una specie di Deposito dello zio Paperone con i cartelli “sciò”, “pussa via” o “sparite!” sparsi ovunque.

Ogni tanto qualche fotografo faceva irruzione nei suoi boschi, e ci arrivavano le foto di questo signore furibondo che – anche con i capelli bianchi e il carrello della spesa – incuteva una certa paura. Il mio problema è che avevo finito i suoi libri, e aspettavo quelli nuovi. Insieme a me, tutto il mondo. Dunque ho cercato di capire cosa facesse in quel suo Deposito blindato.  E ho scoperto che scriveva. Ogni santo giorno.

Lo ha fatto dal 1965, anno in cui ha smesso di pubblicare, fino al 2010, quando è morto: milioni di pagine lunghe quarantacinque anni che nessuno ha mai letto. Tranne suo figlio Matt, una carriera di attore un po’ così, La rivincita dei nerds in pieno ottantismo e un Capitan America nel 1990. È lui che assicura: «Quasi tutto quello che ha lasciato verrà alla fine pubblicato», ma non abbiamo visto ancora niente, ad eccezione di molte lettere.

Conti in sospeso

Non le ha pubblicate Matt, ma sono state vendute all’asta da due ex ragazze che avevano qualche conto in sospeso con J.D. La prima, Joyce Maynard, all’epoca diciottenne e talentuosa studentessa di Yale, dopo un rapporto epistolare si trasferisce nel Deposito con lui.

Salinger ha letto il racconto che le hanno pubblicato sul New York Times e ha soprattutto visto la foto a piena pagina di Joyce: le scrive che l’ama più di ogni suo personaggio e che non ha bisogno di Yale, ma solo di lui. La convivenza dura sette mesi, poi J.D. tira fuori due banconote da 50 dollari, le dice di prendere le sue cose e sparire.

La seconda è Toody Maher, sempre diciottenne. Lui, che nel frattempo di anni ne ha sessanta, le scrive: «La nostra connessione è impervia alla ruggine, alla distanza, agli acidi, al tempo, alla maionese».

Anche Toody andrà a trovarlo al Deposito, lui azzererà tutto ciò che è stato prima di lei, dicendole: «Sono mai stato innamorato, mi chiedi… Non direi amore, davvero. Cotte, colpi di fulmine, febbri assortite, bollori e raffreddori, matrimoni e relazioni formate da abitudini, ma non proprio una quantità di maledetto amore, Miss».

Ovviamente finirà anche con Toody: c’è sempre qualcuna più giovane per J.D., che esce parecchio male da queste lettere. A metterci il carico arriva poi la figlia Margaret, meno amorevole del fratello Matt, che pubblica un memoir in cui Joan Crawford sembra davvero una mammina cara, rispetto a questo padre.

Secondo quanto scritto, Salinger fa vivere la loro madre come una prigioniera nel Deposito: le visite sono vietate anche ai familiari, non deve volare una mosca e l’unica voce che si sente è quella di J.D., che con la sua crudeltà porta la moglie a pensare più volte al suicidio.

Le ultime parole de Il giovane Holden consigliano: «È buffo: non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti». Salinger ha provato a non raccontare niente. Qualcuno, però, l’ha fatto al posto suo.

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