La fabbrica delle mogli di Ira Levin

In inglese esiste un’espressione idiomatica che è ormai entrata a far parte del linguaggio comune: quando una donna si annulla completamente nella cura della casa e della famiglia, rinunciando a ogni tipo di hobby o carriera esterna, curando se stessa solo in funzione di piacere al marito e non ammettendo distrazioni dal suo ruolo di casalinga perfetta, si dice di lei che è una “Stepford wife”, una “moglie di Stepford”. L’espressione viene proprio da questo romanzo di Ira Levin, pubblicato nel 1972 e seguito, nel 1975, da un’ottima trasposizione cinematografica.
Nel 2004, in seguito al remake interpretato da Nicole Kidman, anche la traduzione italiana del romanzo ha cambiato titolo, mutuandolo da "La fabbrica delle mogli" in un più banale “La donna perfetta” che, francamente, sembra più adatto a un romanzetto rosa che a quel thriller satirico e vagamente distopico di cui in effetti si tratta. Anche il film del 2004 ha del tutto tradito il romanzo, aggiungendo, fra l’altro, un lieto fine che certamente non era nelle intenzioni del suo autore, anche se non manca, nel finale originale, una lieve speranza.

Come spesso succede con questo tipo di letteratura, malgrado siano passati più di 40 anni dalla sua pubblicazione, le tematiche del romanzo risultano ancora attuali: femminismo, emancipazione, presa di coscienza, hanno riguardato, in tutti questi anni, principalmente le donne, mentre gli uomini sono rimasti, nel migliore dei casi, perplessi e spaesati, quando non sono arrivati a tragici eccessi. In ogni situazione e in ogni momento della nostra vita quotidiana sopravvivono tracce di quel maschilismo, che si sta rivelando incredibilmente duro a morire: arriva sempre un momento in cui l’uomo viene “prima”. E, c’è da scommetterci, non sono ancora pochi i maschi che, in fondo, apprezzerebbero, o addirittura auspicherebbero, una moglie “perfetta” che li trattasse come principini, non permettendo loro di muovere un dito, sia dal punto di vista materiale che figurato.

Stepford è una tranquilla cittadina inglese, dove le famiglie si trasferiscono attratte dai prezzi moderati, dalla tranquillità, dall’aria buona e dall’ambiente ideale per i figli. Joanna vi si stabilisce con il marito Walter, non sapendo che quello sarà per lei l’inizio di un incubo. Donna indipendente, fotografa semidilettante, Joanna inizia subito a notare, nelle altre donne della cittadina, un comportamento da “casalinga perfetta” che dapprima la irrita, poi la spaventa. Le uniche immuni, a quanto pare, sono Charmaine, la battagliera Bobbie e la scrittrice di colore Ruthanne, arrivata dopo di lei. Quando anche Charmaine si trasforma, Joanna e Bobbie iniziano a sospettare che ci sia qualcosa nell’aria o nell’acqua, e Joanna ha forti dubbi sull’Associazione Maschile alla quale anche Walter si è iscritto. Che cosa sta trasformando le mogli di Stepford in specie di robot pettoruti? Non lo sapremo mai con certezza, ma non è più di tanto importante: il messaggio passa perfettamente e non è certo un particolare a fare di questo libro il classico moderno che è giustamente diventato.
Un breve, ma incisivo romanzo che inizia in sordina, quasi come una cronaca giornaliera di un tranquillo paesino, per poi acquisire, via via, elementi di disturbo, di angoscia, fino a condurre Joanna, in un drammatico crescendo, verso il suo peggior errore: quello di dubitare di se stessa e delle proprie intuizioni. Un monito ancora valido per le donne d’oggi: forse ancora di più.