Fallout - Recensione

"...and I feel fine".

Fallout - La recensione

Più o meno una quindicina di anni fa - mentre chiacchieravo di Lost e Heroes non ricordo più con chi - saltò fuori questa riflessione riguardo ai cambiamenti in ballo a Hollywood e, in generale, nell’industria dell’intrattenimento, laddove diversi nerd della mia generazione, o giù di lì, stavano piano piano colonizzando le varie stanze dei bottoni. Una colonizzazione che plausibilmente avrebbe modificato diverse cose sia bene, sia male (col senno di poi penso all’uso e abuso della nostalgia), ma anche razionalizzato la rappresentazione dei videogiochi all’interno di film e serie TV.

Fino a quel momento in effetti non era girata benissimo perché, beh, parliamo di un medium giovane rimasto allegramente ignoto persino a una bella fetta della cosiddetta generazione X, di conseguenza c’era bisogno di un ricambio. Giusto per fare un esempio e capire quanto si stava peggio quando si stava peggio: in un episodio di Scrubs (ripeto, Scrubs, mica Rin Tin Tin) il personaggio di Turk va in fissa per un FPS, ma evidentemente nessuno si è mai preso la briga di mostrare all’attore Donald Faison come tenere un controller in mano né di imbastire un segmento di gameplay sensato, anche perché difficilmente la cosa avrebbe creato problemi al pubblico. La faccenda ha iniziato a cambiare verso i tardi anni Dieci del Duemila, ossia quando i nerd sono passati da sottocultura di nicchia a nuova normalità, andando a nutrire un mercato che fino a quel momento li aveva rappresentati a mo' di macchiette.

Nel giro di un niente sono spuntate serie TV come The Big Bang Theory, Silicon Valley e Halt and Catch Fire, piene di riferimenti videogiocosi sensati, contaminando in positivo anche produzioni più generaliste come Raising Hope o How I Met Your Mother.

Stop agli adattamenti scadenti

Insomma, per far crollare i pregiudizi nei confronti dei videogiochi era sufficiente sedersi lungo la riva del fiume e aspettare i cadaveri dei passatisti, e a oggi la colonizzazione di cui sopra è stata ampiamente portata a termine ribaltando anni e anni di sciatterie e adattamenti scadenti per lasciare spazio a produzioni di buona qualità come Super Mario Bros. - Il film o il The Last of Us di HBO, evidentemente curate da gente che sa di cosa parla. Al medesimo circoletto virtuoso appartiene anche Fallout, serie TV targata Prime Video e basata sul franchise creato da Interplay e in seguito passato nelle mani di Bethesda: dopo aver apprezzato le prime quattro puntate, non mi ha sorpreso scoprire che Jonathan Nolan e Graham Wagner, rispettivamente produttore e sceneggiatore del progetto, sono entrambi videogiocatori.

...e da giocatori hanno preso parecchio sul serio il materiale di riferimento, vedi le armature.

Alle redini della serie troviamo anche Lisa Joy (Westworld) e la sceneggiatrice Geneva Robertson-Dwore (Captain Marvel), che col resto del team hanno contribuito a realizzare un mezzo miracolo a base di fantascienza, mistero e umorismo nerissimo. Ribadendo quanto già detto in sede di anteprima, il Fallout televisivo rielabora con cognizione di causa i toni, le atmosfere e l’estetica retrofuturista dei videogiochi, a loro volta debitori dei B-Movie postapocalittici degli anni Sessanta nonché di opere come Mad Max e certo cinema western.

Questi riferimenti sono stati incanalati dagli autori in una struttura da road movie corale ambientata nella California distopica del 2296, a sua volta devastata - come il resto degli Stati Uniti, a quanto pare - da una guerra nucleare e dove si muovono i tre protagonisti: si parte con Lucy (Ella Purnell), una giovane nata e cresciuta nel Vault 33, struttura antiatomica apparentemente destinata a salvare parte dell’umanità, costretta ad avventurarsi in superficie alla ricerca del padre (Kyle MacLachlan).

"Helloo-ooo-ooo!".

Seguono Maximus (Aaron Moten), membro della Confraternita d'Acciaio che desidera più di ogni cosa infilarsi un’armatura, e infine il Ghoul (Walton Goggins), ex attore di hollywood precedentemente noto come Cooper Howard sopravvissuto alla guerra, sì, ma a caro prezzo. Proprio quest’ultimo, oltre a rappresentare il personaggio più "à la Westworld" del mazzo, fa da ponte verso un’ulteriore linea narrativa collocata prima del disastro e deputata a indagarne i misteri, non troppo diversamente da quella ambientata nel Vault 33 dopo la partenza di Lucy.

Se piangi, se ridi

Tutte le tracce tendono verso un orizzonte comune e sono dominate da un particolare tono coerentemente alla caratterizzazione dei rispettivi vettori, contribuendo a creare un racconto dove tragedia e commedia si alternano valorizzandosi a vicenda; e se Purnell e Moten fanno un buon lavoro nel palleggiarsi la situazione, a dettare il ritmo è soprattutto il bravissimo Goggins, persino quando c’è in giro gente come il suddetto MacLachlan o Chris Parnell.

Cooper Howard/il Ghoul rappresenta l’uomo in nero di questi paraggi.

Ancora: ho apprezzato la messa in scena curata dallo stesso Nolan in concerto con Clare Kilner, Frederick E.O. Toye, Daniel Gray Longino e Wayne Yip, nonché le scelte di fotografia, il montaggio e le scenografie, capaci di accogliere adeguatamente la macabra follia delle varie lande postatomiche e una generosa dose di violenza splatter (del resto siamo partiti dai B-movie). A essermi sembrato un po’ ingombrante, se proprio, è stato l’utilizzo della colonna sonora folk-rock anni Cinquanta, ma devo ammettere che la cosa passa decisamente in secondo piano con l’avanzare del racconto che, a partire dalla quinta puntata, cresce per densità e portata prendendosi il tempo di far respirare i personaggi e approfondirne i legami. La coppia Lucy-Maximus, in particolare, oltre a regalare alcuni tra i momenti più divertenti e dolci della serie, accende la miccia a un finale capace di sfruttare con discernimento il MacGuffin di turno - una volta tanto - e piazzare una botta durissima in vista della prossima, scontatissima stagione.

La seconda tranche di puntate permette inoltre al racconto di accostare alcune tematiche decisamente politiche - vedi i discorsi attorno allo showbiz e al maccartismo, all’eredità della guerra fredda, al razzismo e al rapporto tra scienza e potere - evidentemente infilate per dialogare con l’attualità, mentre altre più "complottiste", diciamo così, rimandano alla fantascienza di riferimento e ai precedenti lavori della coppia Nolan-Joy, per quanto la sensazione di essere davanti a una copia carbone di Westworld è ampiamente scongiurata dall’umorismo e dalle stramberie postatomiche provenienti dal videogioco.

Insomma, per me è un sì: pur preferendo ancora l’adattamento di The Last of Us, ho apprezzato moltissimo anche questo Fallout che, oltretutto, rispetto alla serie di Mazin e Druckmann non aveva a disposizione un materiale narrativo altrettanto definito.

Le otto puntate della prima stagione di Fallout sono disponibili su Prime Video.

Verdetto

Ma che bel momento per essere fan dei videogiochi e delle serie TV! Dopo HBO, anche Prime Video sembra aver capito come azzeccare questo genere di adattamenti, impostando un’opera capace di cogliere le migliori opportunità offerte dal materiale di partenza - in questo caso l’ambientazione, l’atmosfera e la vena di follia - ma allo stesso tempo prescinderne a favore del pubblico generalista. L’idea di spargere la narrazione su più protagonisti è perfetta per "raccontare" un open world, anche perché gli stessi funzionano bene individualmente, sì, ma soprattutto durante le interazioni, soprattutto quando entrano in gioco le reciproche differenze ed esperienze formative; e se, a tratti, il ritmo del racconto paga pegno alla natura evidentemente introduttiva di questa prima stagione, di ciccia ce n’è comunque a pacchi, mentre lo slancio finale è davvero clamoroso.

In questo articolo

Fallout

11 Aprile 2024

Fallout - La recensione

8.5
Buono
Venite per il videogioco, restate per tutto il resto.
Fallout