Killers of the Flower Moon Recensione

Killers of the Flower Moon: la recensione del film di Martin Scorsese

20 maggio 2023
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Un film epico, disteso e variegato nel quale Scorsese ripercorre la nascita di una nazione imbrattata di sangue e contaminata dal denaro. Il regista americano si abbandona come forse mai prima d'ora al piacere del racconto, utilizzando tutti i registri del cinema. La recensione di Killers of the Flower Moon di Federico Gironi.

Killers of the Flower Moon: la recensione del film di Martin Scorsese

Martin Scorsese ha 80 anni. Pochi giorni fa, intervistato dal sito americano Deadline, ha detto di aver capito solo adesso, da poco, il senso della frase pronunciata dall'allora 83enne Akira Kurosawa ricevendo l’Oscar alla carriera. “Sto cominciando solo adesso a intravedere tutto quello che il cinema può essere, ed è troppo tardi”, disse il giapponese. “Voglio raccontare delle storie, e il tempo non c’è più”, ha aggiunto l’americano adesso.
Non è stata solo la candida confessione di un uomo di fronte alla prospettiva della sua mortalità, e allo stesso tempo: è stata in qualche modo una dichiarazione di intenti. Degli intenti portati avanti, sicuramente, con questo Killers of the Flower Moon.

Non è solo per via dei 206 minuti di durata, ma forse pochi altri film nella straordinaria carriera di Scorsese avevano lasciato trapelare una voglia così intensa di racconto, e di distensione dello stesso. E c’è da dire, a questo proposito, che i 206 minuti di Killers of the Flower Moon, temibilissimi sulla carta, scorrono via assai più facilmente della maggior parte degli altri film che vediamo in giro oggi, e che magari rimangono perfino sotto le due ore.
Non è nemmeno solo questione di temi, che pure sono importanti, e al passo coi tempi senza però mai essere vittima della frenesia un po’ aggressiva dell’ideologia corrente negli Stati Uniti e non solo. È proprio una questione di cinema. Di quel cinema il cui potenziale Scorsese sente, come Kurosawa, di iniziare a percepire nella sua pienezza solo oggi.

Un paradosso, certamente. Se c’è qualcuno che il cinema l’ha compreso in pieno, tra i contemporanei, quel qualcuno, assieme a pochi altri, è sicuramente Scorsese.
Eppure, viene quasi a pensare che mai come prima Scorsese abbia voluto esplicitamente giocare con tutte le carte che il cinema mette a sua disposizione: raffinando al meglio la sceneggiatura e i dialoghi, studiando e riprendendo inquadrature potentissime, alternando il dinamismo e la frenesia con l’intimismo e con la calma. Soprattutto, mescolando dentro a questo film un numero elevatissimo di generi.
In Killers of the Flowers Moon ci sono il western e il gangster movie; il poliziesco e il melodramma; il film storico e il cinema civile. C’è anche, forte, benvenuta, la commedia, che si esprime in alcuni duetti tra i personaggi di DiCaprio e De Niro, intrisi di chiara ironia: tanto che ti sembra di sentirlo, Scorsese, che sghignazza sul set, con quella sua risata inimitabile e trascinante.

La trama, tutto sommato, qui in queste righe conta poco, anche se conta molto nel film e in quello che vuole trasmettere.
Una trama che parla di un giovanotto non particolarmente intelligente (per usare un eufemismo) che, dopo la Prima Guerra Mondiale, arriva nelle terre della nazione Osage, benedetta dalla scoperta del petrolio che ha reso ricchi i nativi americani, e maledetta dall’invidia e dal razzismo dei bianchi, che negli anni Venti del secolo scorso potevano comunque imporre, con la violenza e i comportamenti subdoli, il proprio potere e il proprio dominio. Il giovanotto infatti finisce per diventare un pedone nelle mani di un diabolico zio, che fingendo amore e amicizia, e sommistrando morte, si impadronisce lentamente dei soldi e dei terreni degli Osage.

Poco importa anche come recitino DiCaprio e De Niro (bene, anche se DiCaprio sembra a volte fare Jack Nicholson, e poi Nicholson che fa Marlon Brando); poco importa che Lily Gladstone sia bravissima, e i comprimari tutti all’altezza.
Poco importa che questo film qui sia o meno forse tra i grandi capolavori di Scorsese; di certi film del passato ha sicuramente la visceralità, la rabbia, l’energia, forse la potenza: ma qui ci sono una compostezza e una chiarezza espositiva spaventose. Come non ha la radicalità di Il petroliere di P.T. Anderson, che però gli è simile per molti aspetti (nel raccontare la nascita di una nazione intrisa di sangue e denaro).
Importa che Killers of the Flower Moon sia il film nel quale questo grande regista dimostra (per l’ennesima volta, ma con una dedizione quasi totale a questo aspetto) quando sia importante, fondamentale, regalare allo spettatore un grande, epico, purissimo racconto. Di sapere e apprezzare e non rinnegare come il cinema possa e debba essere affabulazione, e il regista un avveduto e furbo cantastorie.
Il modo - che non andrò a raccontare - in cui sceglie di raccontare le ultimissime battute della vicenda dei suoi personaggi, mettendosi peraltro in scena in prima persona, sta lì a dimostrarlo.
Con tutta la sua leggerezza, la sua ironia e la sua serietà.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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