Killers of the Flower Moon: recensione del film di Martin Scorsese – Cannes 76

Il film, presentato fuori concorso a Cannes 2023, racconta la vera storia del massacro della tribù indiana di Osage.

Killers of the Flower Moon recensione film

Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, l’attesissimo Killers of the Flower Moon è il nuovo film di Martin Scorsese che arriverà nei cinema italiani il prossimo autunno, prima di approdare su Apple TV+. Il regista ne ha anche curato la sceneggiatura insieme a Eric Roth, basata sull’omonimo libro del 2017 di David Grann. La trama è incentrata su una serie di omicidi avvenuti in Oklahoma ai danni Nazione Osage durante gli anni Venti, commessi dopo che è stato scoperto il petrolio nella loro tribù. Il film è interpretato da Leonardo DiCaprio, qui anche nelle vesti di produttore esecutivo, insieme a Robert De Niro, Lily Gladstone, Jesse Plemons, Brendan Fraser e John Lithgow. Si tratta della settima collaborazione tra Scorsese e DiCaprio e dell’undicesima tra Scorsese e De Niro.

 

Killers of the flower moon, dal libro al film

Basato sul best-seller di David Grann del 2017 Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI, il film targato Apple Studios racconta la storia di come una serie di omicidi di nativi americani della nazione Osage – per le riserve di petrolio sulla terra degli Osage – sia coincisa con la nascita dell’FBI. In questo caso, è Jesse Plemmons a interpretare Tom White, un Texas Ranger trasformato in agente dell’FBI inviato in Oklahoma da J. Edgar Hoover per indagare sui crescenti omicidi dei membri della Nazione Osage, allora molto ricchi. Inizialmente, DiCaprio avrebbe dovuto interpretare il personaggio di White, punto di vista centrale del libro ma, assieme a Scorsese e De Niro, si decise di riorganizzare la trama del film attorno al sospettato Ernest Burkhart, nel tentativo di evitare una narrazione incentrata sul “salvatore bianco”.

Killers of the Flower Moon è ambientato negli anni ’20 a Fairfax, un’area dell’Oklahoma nord-orientale che, come sottolinea Scorsese nell’ottimo prologo del film (una sorta di mockumentary in bianco e nero), deteneva all’epoca il più alto reddito pro capite, con gli indiani della Osage Nation come principali beneficiari. In mezzo alla profusione di pozzi petroliferi, ricevevano generose royalties ed è per questo che li vediamo indossare gioielli ostentati e girare in auto lussuose con autisti bianchi.

Nel bel mezzo di questa corsa all’oro (nero), Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), un veterano della Prima Guerra mondiale (in realtà era un cuoco della Fanteria) arriva sulla scena insieme a migliaia di altri lavoratori per unirsi all’azienda gestita da suo zio William “The King” Hale (epiteto che spiega da se la sua influenza nella gestione del potere nella contea). Proprio su suggerimento di Hale, Ernest sposa Mollie, membro di una delle tante famiglie autoctone benestanti; in questo senso, una delle domande su cui Scorsese si soffermerà nel corso della narrazione è se ci sia un vero amore alla base della relazione tra Ernest e Mollie o se Ernest abbia optato per un matrimonio di interesse che gli potesse far acquisire progressivamente un reddito importante. Quel che è certo è che si scatena un costante e crescente massacro genocida: la terra e le rendite sono troppo allettanti per gli uomini bianchi e gli Osange vengono spogliati dei loro averi con ogni tipo di trucco, inganno o vero e proprio omicidio a sangue freddo.

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Robert De Niro e Leonardo DiCaprio in una scena di Killers Of The Flower Moon

Lupi in Oklahoma

Riesci a vedere i lupi in questa foto?“: ad Osage County, i lupi sono nascosti ovunque. Al contrario dei gufi, presagio di morte per gli indiani e che appaiono nelle visioni di qualche personaggio, in Killers of the Flower Moon i lupi non vengono mai rappresentati nella loro forma animalesca. Devono essere scovati e forse qualcuno, all’interno della contea, lo ha già fatto. Sono gli assassini di una terra promessa e perduta, che hanno manipolato un intero popolo e le sue risorse. Tuttavia, più che come carnefici e fautori di un vero e proprio genocidio – secondo il Ministero della Giustizia, quello di Osage fu “il capitolo più sanguinoso della storia del crimine americano” – Scorsese inquadra questi lupi con il suo solito taglio. Sono criminali, truffatori, gangster e ai loro loschi movimenti è rivolta gran parte dell’attenzione del regista, molto più di quella dedicata alle vere vittime, gli Osage.

La principale linea narrativa di Killers of the Flower Moon permette, tramite uno sguardo incessante sulle figure maschili, un’attenta analisi su questi nuovi “bravi ragazzi”. Lo scontro tra Ernest e William è, letteralmente, all’ultimo sangue e non c’è modo per distogliere il focus registico da questo duello. Una mimica facciale piuttosto accentuata distingue questi personaggi animaleschi, che ricalcano effettivamente le sembianze dei lupi con le smorfie che mantengono per tutta la durata del film. I fan di Martin Scorsese gioiranno nel partecipare a questo testa a testa di bravura recitativa tra due attori feticcio del regista e, soprattutto per quanto riguarda DiCaprio, rimarranno sicuramente colpiti dal personaggio poco autorevole e debole di spirito che gli è stato costruito addosso, un qualcosa di sicuramente inedito rispetto ad altri suoi precedenti ruoli.

Killers of the Flower Moon Leonardo DiCaprio

Punti di vista secondari

Dall’altro lato, il modo in cui Scorsese decide di adattare il saggio di partenza, non permette alla grandissima Lily Gladstone di brillare nel secondo e terzo atto del film quanto accade nella prima parte. In questa, la sua Mollie è infatti spesso sulla scena mentre sta imparando a conoscere Ernest per poi, come dicevamo, essere tirata fuori dai giochi assieme agli altri Osage, un po’ perchè la partita sulla loro vita si gioca altrove, negli spazi in cui ha accesso l’uomo bianco, un po’ perchè ciò che interessa a Scorsese è sradicare la falsità che domina i rapporti tra questi criminali, passando dall’epopea western a quasi il gangster movie.

Anche l’FBI, il punto di vista fondamentale del libro, che conduce l’indagine e smaschera i lupi, è poco presente nel film di Scorsese. Tutto è funzionale alla messa in scena del rapporto tra zio e nipote – o sarebbe meglio dire servo e padrone – e che dovrebbe incapsulare il senso metaforico della prevaricazioni sociale da parte dei bianchi in Oklahoma. Circoscrivere la vicenda al microcosmo tematico prediletto da Scorsese funziona a tratti: con un montaggio non sempre puntuale, soprattutto per quanto riguarda le sequenze degli omicidi degli Osage, la riflessione sull’act of killing, il vero e proprio genocidio che è stato commesso, sembra venire meno rispetto alla ferocia con cui si ritraggono i rapporti tra bianchi. Nonostante ciò, nel ritrarre questo scontro tra Lupi, Scorsese fa Scorsese, una scelta che convincerà sicuramente i fan di lunga data del regista, pur aprendo la porta a quella scelta creativa sicuramente inedita, soprattutto per quanto riguarda un inaspettato inserto finale.

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