Jojo Rabbit - Recensione

Taika Waititi mette in scena una tragedia annunciata mascherandola abilmente da commedia.

Jojo Rabbit - La recensione

LA RECENSIONE IN BREVE

  • Uno sguardo inaspettato sul nazismo e sull'Olocausto.
  • Pungente, sarcastico, politicamente scorretto... ma ha anche dei difetti.
  • Si ride, si piange, si tifa, fino a non saper più cosa fare.

“Hai dieci anni, Jojo. È ora che ti comporti come tale.” Avreste mai pensato che a rivolgere un rimprovero simile, a un bambino, sarebbe stato Adolf Hitler a causa della sua fede vacillante nel nazismo? Eppure è uno dei tanti, ricercati contrasti che il regista neozelandese Taika Waititi mette in scena in Jojo Rabbit – un film liberamente tratto dal romanzo del 2004 di Christine Leunens, Il cielo in gabbia. Commedia e dramma allo stesso tempo, racconta il nazismo e il suo peggiore corollario, l’Olocausto, attraverso gli occhi fanatici di un bambino cresciuto con la convinzione che la razza ariana sia l’unica meritevole di esistere, immaginando gli ebrei come creature orripilanti dedite ad altrettante discutibili pratiche. L’incontro proprio con una ragazza ebrea servirà ad aprire gli occhi al piccolo Jojo e a farlo riflettere che, forse, il lato sbagliato della Storia lo sta vivendo lui assieme ai propri, radicati preconcetti.

A vedere il trailer, Jojo Rabbit ci si presenta come un film pungente e politicamente scorretto nel suo ironizzare su uno dei periodi storici più bui, ma da un regista del calibro di Waititi non ci si sarebbe potuto aspettare diversamente. Quella che non viene, fortunatamente, messa in mostra finché non la si vive di persona è la profonda tragicità nascosta in quei già menzionati contrasti di cui il film si fa carico: non è certo il primo a raccontare del nazismo e dell’Olocausto, anzi è ultimo in una fila che possiamo far risalire fino al 1934, eppure Waititi sembra avere trovato una formula che funziona molto bene.

Gioventù hitleriana

Siamo portati a vedere il regno del terrore di Hitler filtrato dagli occhi di Jojo, indottrinato sulla causa che lui fra i tanti deve tenere alta, e dunque bello, solare, giusto: vedere bambini e ragazzini addestrati alla guerra in maniera parodistica ci strappa una risata, ma un angolo della nostra mente sa che dietro i lustrini e l’esasperazione messi in scena da Waititi c’è un’altra verità: quella storica della Gioventù hitleriana grazie alla quale si sarebbero creati futuri membri delle forze armate e “buoni cittadini”. Ciò che Jojo stesso cerca di essere, in contrasto con la madre Rosie (interpretata da una superba Scarlett Johansson) che vorrebbe la fine della guerra per risparmiare al figlio un destino dal quale, in parte, è riuscito ad allontanarsi.

Costretto a casa per un incidente occorso in fase di addestramento, Jojo non tarderà a scoprire la presenza di Elsa in soffitta, un’ebrea che la madre ha nascosto a sua insaputa e con cui comincia un rapporto belligerante. Il film a un certo punto ruota dunque attorno al rapporto tra i due e, lentamente, la follia anarchica con la quale ci si era presentato inizia a sfumare per lasciar intravedere – pur senza perdere la sua vena sarcastica – cosa si nasconde sotto la patina di un depistaggio inatteso.

Il mostro sotto al letto

Nazismo, guerra e lo stesso Hitler, amico immaginario di Jojo interpretato proprio da Taika Waititi, cambiano lentamente forma facendo emergere il mostro sotto il letto, quello che agli occhi di Jojo era sempre stato rappresentato dagli ebrei. Si può raccontare una storia in tanti modi, ma con Jojo Rabbit il regista ha scelto forse quella meno scontata e prevedibile: ci sono film in cui il dramma è chiaro fin dai primi minuti, che non indossano alcuna maschera, ma anzi la strappano dando lo spettatore in pasto a una crudeltà davanti a cui non si è mai davvero preparati.

Scarlett Johansson dimostra ancora una volta tutta la sua bravura.

Waititi sceglie invece un approccio diverso, chiaramente ispirato al romanzo, che coglie il pubblico ancora più in contropiede, perché da un film che sembra vendersi come una parodia ci si aspetta solo quello: il nazismo ridotto a una parodia di se stesso. Invece si ride, si piange, si tifa, fino a non saper più cosa provare perché si è sempre preda dei contrasti sui quali il regista ha voluto giocare e non si è più sicuri se il colpo verrà da tergo, dal fianco o più semplicemente ci si presenterà di fronte, brutale e inaspettato. Jojo Rabbit è un film ingannevole per scelta e nel suo essere fuorviante riesce dove, forse, altri più seri non fanno più lo stesso effetto: l'orrore spesso bussa alla nostra porta sotto false spoglie, ci lusinga, ci fa abbassare la guardia e solo allora ci colpisce con tutta la sua forza, mostrandosi per quello che è. Allo stesso modo, Waititi ci spinge a rilassarci e ridere per ricordarci poi che no, su questa Storia in particolare c'è ben poco da ridere.

Verdetto

In una situazione attuale dove non è quasi possibile accennare al nazismo se non in termini dispregiativi e, nel caso, si viene troppo facilmente tacciati di esserlo, il regista non si fa problemi a esacerbare il concetto, i simboli, lo stesso Hitler visto come buono e bravo amico immaginario. Questo “soffocare” lo spettatore è molto apprezzabile perché la parola in sé è sempre "innocua": sono le azioni dietro che si devono temere e anche qui, nel suo portarle a un eccesso molto spesso parodistico, Waititi colpisce nel segno. Jojo Rabbit è un film da non sottovalutare e dovendo pensare a una prima sorpresa di questo 2020 non posso che indicare lo spirito dissacrante di Waititi, che cerca la comicità dove non può esistere, riuscendoci e utilizzandola come ottimo collante, mettendo poi in scena una storia con cruda delicatezza. Un ossimoro impensabile di cui lui è padrone.

In questo articolo

Jojo Rabbit - La recensione

8.5
Buono
Taika Waititi mette a nudo il tabù del nazismo, esacerbando il concetto fino a soffocare lo spettatore con un'ironia pungente e parodistica, per affondare poi il colpo quando meno ce lo si aspetta e raccontare una tragedia sì annunciata, ma molto ben nascosta.
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