Mamma Denise non voleva giocasse a football. Preferiva il soccer, il calcio. Almeno finchè lui e i suoi fratelli non fossero cresciuti un po’ per sopportare l’impatto con uno sport che, a qualsiasi età, non fa sconti. Papà Tony non aveva neppure il tempo di stargli appresso, impegnato com’era a sbarcare il lunario nell’America che tocca agli emigranti: sudore e fatica per costruirsi reputazione e portafogli.
Tony faceva l’elettricista e c’era sempre per chi necessitasse di un suo intevento. Ma sempre davvero: giorno e notte. E non diceva mai no. Per garantire un futuro alla sua famiglia e ai suoi quattro ragazzi che intanto crescevano alti, forti e belli. Sì, perché i Garoppolo’s, dall’Italia, paese d’origine dei loro avi (Vasto, Abruzzo), hanno portato il fascino latino che, certo, aiuta al mondo d’oggi, almeno un po’.
Dall’Abruzzo agli States. Dalle lampadine da aggiustare a uno dei contratti più ricchi della intera Nfl. Che storia quella di Jimmy G, come gli americani, con il loro spirito pratico, chiamano il quarterback dei San Francisco 49ers per abbreviare un cognome lungo che sembra uno scioglilingua.
Dunque James Richard Garoppolo (nato in Illinois, ad Arlington Heights, non distante da Chicago) “disobbedisce” alla mamma e il football lo pratica, per strada, nei giardini, con gli amici, sin da piccolino. Ma il ruolo non è, da subito, quello che lo farà una stella della Nfl: gioca, a scuola, prima linebacker (difensore!), poi running back. Soltanto in seguito sarà un quarterback.
Jimmy cresce, come ama dire, in “una solida e unita famiglia italiana” trapiantata in Usa. Non frequenta “grandi” scuole (la Rolling Meadows High School) e non lo chiamerà una grande università (la Eastern Illinois). Anche se il college dove giocherà conta tra i suoi ex allievi passati di lì grandi coach come Mike Shanahan (padre dell'attuale allenatore dei Niners) e Sean Payton (head coach dei New Orleans Saints) e, soprattutto, Tony Romo, per molti anni guida dell’attacco dei Dallas Cowboys.
E proprio di Romo, in una crescita graduale quanto impetuosa, Jimmy batterà ogni record così da diventare, nonostante l’università “secondaria”, un protagonista del draft del 2014. Bravo l’ex quarterback Todd Christensen (Cowboys, Giants, Raiders) a segnalarlo all’ateneo con poche efficaci parole: “Ragazzi, quel Jimmy sembra Tony Romo quando lancia, non ve lo lasciate sfuggire").
E al draft, al secondo giro, arriva la chiamata della vita: Jimmy G va alla corte dei New England Patriots, per essere sintetici: il massimo dei massimi. Ad oggi, la dinastia più vincente del football americano. Il suo guru, Bill Belichick, vede lungo e crede che quel ragazzo “italiano” possa crescere all’ombra di Tom Brady e subentrargli quando il quarterback ritenuto il più forte di tutti i tempi, deciderà di arrendersi all’anagrafe. Così Garoppolo va a “scuola” dal dio del football, si allena con lui, parla con lui, va in palestra con lui, studia i video delle partite con lui. Ogni giorno. Ma non gioca mai. Finchè non arriva lo scandalo dei palloni sgonfiati ad arte, il “Deflategate” e Tom Terrific viene squalificato per 4 giornate. Jimmy si fa trovare pronto e gioca bene le prime due, mostrando una insospettabile leadership, e tutte le sue qualità. Poi si fa male. Ma quei due matches lasciano il segno. Il ragazzo è pronto.
Tom Brady, però vuole giocare ancora e ancora e ancora. La soglia dei 40 anni non lo preoccupa minimamente. Sta bene e vince ancora tutto. Così in casa Patriots si impone una scelta. Che fare con quel Garoppolo ormai cresciuto e scalpitante? Le voci di spogliatoio raccontano di una divisione tra il patron dei Pats, Robert Kraft e il super coach. Il primo stravede per Tom, lo crede agonisticamente immortale e vuol dare il benservito a Jimmy, scambiandolo con qualche prossima scelta al draft; il secondo è dubbioso: Brady ha un’età “pesante” e neppure lui è eterno…
Vince Kraft e Garoppolo finisce ai gloriosi San Francisco 49ers. Sì, una delle squadre più conosciute in Italia perché negli Ottanta, quando il football sbarcò in televisione, molti si appassionarono alla Nfl grazie alle gesta del “mitico” Joe Montana, un altro “italiano” (origini siciliane), del formidabile Jerry Rice, del granitico Ronnie Lott.
Da Montana a Garoppolo, la suggestione di una nuova “golden age” nella Baia è quasi automatica. E Jimmy la alimenta vincendo tutte le gare che disputa da titolare nel primo anno. Quindi arriva il super contratto - 137,5 milioni di dollari per 5 anni - e con questo un fato avverso: un ginocchio si gira innaturalmente e i legamenti cedono. Stagione finita.
Ferito, ma non vinto, Garoppolo lavora duro per recuperare mentre i social si scatenano in boatos su suoi presunti amori (anche una pornostar) e la passione per le macchine (Maserati). Ma Jimmy da suo padre ha imparato cosa sia il sacrificio e il duro lavoro e anche i risultati che ne derivano ("Lavorava così tanto, mio padre Tony, che talvolta non lo vedevo perchè andava via all'alba e tornava a notte fonda") e non lesina energie per tornare fisicamente pronto.
Quest’anno si ripresenta con tutte le incognite che si hanno dopo un infortunio simile. Ma i Niners sembrano pronti a tornare protagonisti e ne vincono otto di seguito. Jimmy deve riacquistare il ritmo giusto e lo fa con gradualità, partita dopo partita, con un picco in Arizona, contro i Cardinals. Poi arriva la battaglia con Seattle, persa per un calcio da tre punti fallito in overtime. Notte difficile per Garoppolo, maltrattato dalla difesa dei Seahawks.
In sala stampa fa autocritica su due palle perse: “Non dovevo, accidenti…”. Ma la Niners Nation lo apprezza e lo sostiene. Piace quel ragazzo “italiano” dalla perfetta tecnica di lancio e dal sorriso aperto. E poi c'è quella coincidenza con le origini di Montana...così, complice una super difesa e il miglior tight end della lega (Kittle), i fan della Baia sono tornati a sognare.
Giovanni Marino
@jmarino63
g.marino@repubblica.it
Tony faceva l’elettricista e c’era sempre per chi necessitasse di un suo intevento. Ma sempre davvero: giorno e notte. E non diceva mai no. Per garantire un futuro alla sua famiglia e ai suoi quattro ragazzi che intanto crescevano alti, forti e belli. Sì, perché i Garoppolo’s, dall’Italia, paese d’origine dei loro avi (Vasto, Abruzzo), hanno portato il fascino latino che, certo, aiuta al mondo d’oggi, almeno un po’.
Dall’Abruzzo agli States. Dalle lampadine da aggiustare a uno dei contratti più ricchi della intera Nfl. Che storia quella di Jimmy G, come gli americani, con il loro spirito pratico, chiamano il quarterback dei San Francisco 49ers per abbreviare un cognome lungo che sembra uno scioglilingua.
Dunque James Richard Garoppolo (nato in Illinois, ad Arlington Heights, non distante da Chicago) “disobbedisce” alla mamma e il football lo pratica, per strada, nei giardini, con gli amici, sin da piccolino. Ma il ruolo non è, da subito, quello che lo farà una stella della Nfl: gioca, a scuola, prima linebacker (difensore!), poi running back. Soltanto in seguito sarà un quarterback.
Jimmy cresce, come ama dire, in “una solida e unita famiglia italiana” trapiantata in Usa. Non frequenta “grandi” scuole (la Rolling Meadows High School) e non lo chiamerà una grande università (la Eastern Illinois). Anche se il college dove giocherà conta tra i suoi ex allievi passati di lì grandi coach come Mike Shanahan (padre dell'attuale allenatore dei Niners) e Sean Payton (head coach dei New Orleans Saints) e, soprattutto, Tony Romo, per molti anni guida dell’attacco dei Dallas Cowboys.
E proprio di Romo, in una crescita graduale quanto impetuosa, Jimmy batterà ogni record così da diventare, nonostante l’università “secondaria”, un protagonista del draft del 2014. Bravo l’ex quarterback Todd Christensen (Cowboys, Giants, Raiders) a segnalarlo all’ateneo con poche efficaci parole: “Ragazzi, quel Jimmy sembra Tony Romo quando lancia, non ve lo lasciate sfuggire").
E al draft, al secondo giro, arriva la chiamata della vita: Jimmy G va alla corte dei New England Patriots, per essere sintetici: il massimo dei massimi. Ad oggi, la dinastia più vincente del football americano. Il suo guru, Bill Belichick, vede lungo e crede che quel ragazzo “italiano” possa crescere all’ombra di Tom Brady e subentrargli quando il quarterback ritenuto il più forte di tutti i tempi, deciderà di arrendersi all’anagrafe. Così Garoppolo va a “scuola” dal dio del football, si allena con lui, parla con lui, va in palestra con lui, studia i video delle partite con lui. Ogni giorno. Ma non gioca mai. Finchè non arriva lo scandalo dei palloni sgonfiati ad arte, il “Deflategate” e Tom Terrific viene squalificato per 4 giornate. Jimmy si fa trovare pronto e gioca bene le prime due, mostrando una insospettabile leadership, e tutte le sue qualità. Poi si fa male. Ma quei due matches lasciano il segno. Il ragazzo è pronto.
Tom Brady, però vuole giocare ancora e ancora e ancora. La soglia dei 40 anni non lo preoccupa minimamente. Sta bene e vince ancora tutto. Così in casa Patriots si impone una scelta. Che fare con quel Garoppolo ormai cresciuto e scalpitante? Le voci di spogliatoio raccontano di una divisione tra il patron dei Pats, Robert Kraft e il super coach. Il primo stravede per Tom, lo crede agonisticamente immortale e vuol dare il benservito a Jimmy, scambiandolo con qualche prossima scelta al draft; il secondo è dubbioso: Brady ha un’età “pesante” e neppure lui è eterno…
Vince Kraft e Garoppolo finisce ai gloriosi San Francisco 49ers. Sì, una delle squadre più conosciute in Italia perché negli Ottanta, quando il football sbarcò in televisione, molti si appassionarono alla Nfl grazie alle gesta del “mitico” Joe Montana, un altro “italiano” (origini siciliane), del formidabile Jerry Rice, del granitico Ronnie Lott.
Da Montana a Garoppolo, la suggestione di una nuova “golden age” nella Baia è quasi automatica. E Jimmy la alimenta vincendo tutte le gare che disputa da titolare nel primo anno. Quindi arriva il super contratto - 137,5 milioni di dollari per 5 anni - e con questo un fato avverso: un ginocchio si gira innaturalmente e i legamenti cedono. Stagione finita.
Ferito, ma non vinto, Garoppolo lavora duro per recuperare mentre i social si scatenano in boatos su suoi presunti amori (anche una pornostar) e la passione per le macchine (Maserati). Ma Jimmy da suo padre ha imparato cosa sia il sacrificio e il duro lavoro e anche i risultati che ne derivano ("Lavorava così tanto, mio padre Tony, che talvolta non lo vedevo perchè andava via all'alba e tornava a notte fonda") e non lesina energie per tornare fisicamente pronto.
Quest’anno si ripresenta con tutte le incognite che si hanno dopo un infortunio simile. Ma i Niners sembrano pronti a tornare protagonisti e ne vincono otto di seguito. Jimmy deve riacquistare il ritmo giusto e lo fa con gradualità, partita dopo partita, con un picco in Arizona, contro i Cardinals. Poi arriva la battaglia con Seattle, persa per un calcio da tre punti fallito in overtime. Notte difficile per Garoppolo, maltrattato dalla difesa dei Seahawks.
In sala stampa fa autocritica su due palle perse: “Non dovevo, accidenti…”. Ma la Niners Nation lo apprezza e lo sostiene. Piace quel ragazzo “italiano” dalla perfetta tecnica di lancio e dal sorriso aperto. E poi c'è quella coincidenza con le origini di Montana...così, complice una super difesa e il miglior tight end della lega (Kittle), i fan della Baia sono tornati a sognare.
Giovanni Marino
@jmarino63
g.marino@repubblica.it