LONDRA – “Sono stati compiuti degli errori, adesso servono decisioni difficili”. Le prime parole del nuovo Cancelliere dello Scacchiere, ovvero ministro delle Finanze, pronunciate sabato mattina alla radio della Bbc, suonano come una severa bacchettata sulle dita di Liz Truss, la premier che gli ha appena assegnato la poltrona di numero due del governo, insieme a una residenza ufficiale al numero 11 di Downing Street. Ma Jeremy Hunt nutre da tempo l’ambizione di andare a vivere e lavorare al numero 10 della strada simbolo del potere britannico. E non è mai stato così vicino al traguardo.
Con la prima ministra “appesa a un filo”, nel giudizio dell’ex leader conservatore William Hague, i giornali scrivono che nell’esecutivo Hunt rappresenta di fatto il Ceo, l’amministratore delegato, mentre Truss d’ora in poi sarà al massimo la presidente, un ruolo simbolico, finché dura. La previsione di colui che fino a ieri era il suo più stretto alleato, Kwasi Kwarteng, defenestrato da responsabile della Finanze per farne il capro espiatorio della crisi, è che la premier durerà soltanto “qualche settimana” e poi sarà costretta anche lei a dimettersi. “I tempi delle sue dimissioni restano da stabilire”, afferma il Financial Times, “ma la fine appare inevitabile”. Già, ma per fare posto a chi, in un partito che ha già avuto quattro primi ministri negli ultimi sei anni, un sintomo di instabilità un tempo associato con l’Italia, non con il Regno Unito?
Chi è Jeremy Hunt
Discendente di nobili di campagna imparentati alla lontana con la regina Elisabetta, figlio di un ammiraglio, laureato a Oxford in Ppe (Politics, Philosophy, Economics – la facoltà della classe dirigente, sebbene per la verità pure Liz Truss abbia conseguito la stessa laurea, nella medesima università, per cui non garantisce di saper dirigere), sposato con una cinese venuta a studiare in Inghilterra, Hunt ha iniziato a lavorare insegnando inglese in Giappone, quindi ha aperto una società di pubbliche relazioni a Londra che ha avuto estremo successo: quando è stato eletto deputato nelle file dei conservatori nel 2005 l’ha venduta per 30 milioni di sterline, diventando uno dei membri più ricchi del parlamento.
Il voto di Hunt sulla Brexit
Nel referendum sulla Brexit del 2016 si schiera per rimanere nell’Unione Europea. Theresa May, che rimpiazza Cameron a Downing Street dopo le dimissioni di quest’ultimo, lo mantiene nell’incarico: del resto anche lei era una “Remainer”, e sia lei che Hunt dopo il referendum dicono di avere cambiato idea e di sostenere la Brexit. Nel 2018 diventa ministro degli Esteri, uno dei tre incarichi più importanti del governo. A quel punto si sente maturo per candidarsi alla leadership, quando nel 2019 May viene sfiduciata ed è costretta a dimettersi: ma Hunt viene battuto nel duello finale delle primarie da Boris Johnson e torna sui banchi dei “peones”, i deputati senza incarichi ministeriali. Ci riprova questa estate, dopo le dimissioni di Johnson, ma stavolta viene eliminato al primo turno delle primarie.
I flop da ministro
Adesso la sua nomina a Cancelliere dello Scacchiere viene salutata come l’arrivo di “un paio di mani esperte” nella cabina di regia economico-finanziaria del governo. In passato, per la verità, non ha sempre brillato: come ministro della Cultura fu accusato di favori occulti a Rupert Murdoch, alla Sanità ha condotto una battaglia controproducente contro lo sciopero dei medici, agli Esteri non è riuscito a ottenere il rilascio di un’anglo-iraniana tenuta prigioniera a Teheran. E una volta, in un comizio, è incappato in una gaffe imperdonabile, dicendo di avere una “moglie giapponese”: chissà cosa ha pensato la consorte, che è di Pechino.
Venerdì i mercati non hanno reagito particolarmente bene al licenziamento del suo predecessore Kwarteng, confermando la diagnosi secondo cui non basterà a prolungare molto la vita del governo Truss. Anche Jeremy Hunt aspetta gli eventi, nella speranza di poter traslocare dall’11 al 10 di Downing Street: dove però, a detta di commentatori e sondaggi, è probabile che il prossimo inquilino sia il laburista Keir Starmer.