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Morto Jeff Beck, eroe della chitarra rock che insegnò il mestiere a Jimmy Page

Rimpiazzò Clapton negli Yardbirds, poi «duellò» col fondatore dei Led Zeppelin e fondò supergruppi in giro per il mondo. Aprendo le porte all’hard & heavy

di Francesco Prisco

Morte Jeff Beck, nel luglio scorso sul palco a Londra con Johnny Depp

3' di lettura

Alcuni artisti passano alla storia per il loro successo, altri per l’influenza che hanno avuto sui loro colleghi. Jeff Beck - virtuoso assoluto della chitarra elettrica morto all’età di 78 anni per una meningite batterica - apparteneva senza dubbio alla seconda categoria. Assieme a Eric Clapton, Jimmy Page e Peter Green era una delle quattro colonne portanti del tempio che a Londra, a metà anni Sessanta, era stato consacrato alla chitarra rock, prima che da quell’altra parte dell’oceano arrivasse un uragano chiamato Jimi Hendrix. Anche dopo l’uragano, Beck è rimasto fermo lì a incidere e suonare. Punto di riferimento per tutti.

L’esordio con gli Yardbirds

In 60 anni di carriera ha incrociato il palco con numerosi illustri colleghi, dando e ricevendo come sempre succede quando si suona insieme. Nel caso di Beck, tuttavia, possiamo tranquillamente dire che ciò che ha dato supera in grande misura quanto ha ricevuto. Nativo del sobborgo londinese di Wallington, si avvicina alla chitarra giovanissimo e, appena ventenne, è già turnista in quella che nel frattempo era diventata la Swinging London. Sono gli anni del British Blues e Jeff, che con le pentatoniche se la cava abbastanza, non ci mette molto a farsi notare, tanto da avere l’onore di rimpiazzare un certo Eric Clapton negli Yardbirds, band che del British Blues era simbolo assieme ai Rolling Stones e ai Bluesbreakers di John Mayall. È qui che Beck definisce il suo stile chitarristico, prendendosi ancora di più la scena, sul palco e in sala d’incisione, rispetto a quanto non avesse fatto prima di lui Mr. Slowhand. Eric era tutto uno svisare, Jeff costruisce muri portanti col canale distorto dell’amplificatore. Senza quell’approccio, forse non ci sarebbe mai stato un heavy metal.

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«Roger» e quel 1966 parecchio italiano

In Roger the Engineer (1966), primo vero album degli Yardbirds concepito come tale, gioca a tutto campo, obbedendo al leader Keith Relf quando deve, ma mettendosi in vetrina quando può (Jeff’s Boogie): il risultato è un disco di culto che oggi faremmo bene a riscoprire. Quello stesso anno gli Yardbirds incrociano due volte l’Italia: si esibiscono a Sanremo abbinati a Lucio Dalla (il brano è Pafff... bum!), dove Mike Bongiorno li apostrofa come «gallinacci», e appaiono in Blow up, capolavoro di Michelangelo Antonioni, dove a Beck toccherà il compito di sfasciare la chitarra nell’amplificatore a favore della macchina da presa.

Gli anni del Jeff Beck Group

Gli Yardbirds erano un supergruppo senza saperlo: dopo Clapton e Beck si unirà a loro pure Jimmy Page, con cui Jeff intraprende una collaborazione che sa tanto di competizione a chi alza di più il volume dell’amplificatore e fa le scale più velocemente. Con questi presupposti non può durare a lungo: Beck fonderà il suo Jeff Beck Group con Ronnie Wood al basso e Rod Stewart al microfono, regalandoci due perle come Truth (1968) e Beck-Ola (1969), Page trasformerà gli Yardbirds in New Yardbirds, prototipo di una macchina da guerra chiamata Led Zeppelin. Due progetti concorrenti (non a caso entrambi incidono la cover di Willie Dixon You Shook me) dal destino impari. Page - di una manciata di mesi più vecchio di Beck - è quello che ha cambiato la storia, ok, ma Beck è quello che gli ha insegnato il mestiere.

Beck, Bogert & Appice

Negli anni Settanta, decennio di massima gloria per gli eroi della chitarra elettrica, Beck è uno dei musicisti più stimati e corteggiati a livello internazionale. Lui continua a mettere in piedi supegruppi: con Tim Bogert e Carmine Appice dei Vanilla Fudge fonda il power trio Beck, Bogert & Appice. L’omonimo album (1973) contiene pezzi da novanta come la cover di Superstition di Stevie Wonder, opportunamente trasformata in una specie di schiacciasassi. Il Nostro poi strizzerà l’occhio al funky (Blow by Blow, 1975) e alla fusion (Wired, 1976), acclamato dalla critica e dagli addetti ai lavori, tanto da portarsi a casa otto Grammy.

L’amicizia con Johnny Depp

Fino all’ultimo, grande voglia di suonare e di collaborare: qui in Italia lo abbiamo visto l’estate scorsa al Vittoriale in partnership con Johnny Depp, attore prestato al rock e suo grande fan. Tanto ha vissuto, tanto ha visto, tante avrebbe potuto raccontarne. «Una volta volevo scrivere un’autobiografia», disse in un’intervista. «Ho iniziato a scriverla e poi ho pensato: no, lasciamo che scavino quando sarò morto». Si accomodi chi vuole: il momento è arrivato. Fate attenzione, comunque: a occhio e croce ci sarà da scavare un bel po’.

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