Di lei il regista d’avanguardia Luis Buñuel ha affermato "non recita, esiste": l’azione drammatica, il filo della vita di Jeanne Moreau, ha corrisposto la sua identità personale senza lasciare margini ad altro. Gli amori, gli incontri e le amicizie, che pur ci sono stati, hanno rappresentato correnti laterali mai approfondite dalla stampa e dalla bibliografia dedicata. Di Jeanne Moreau si è scritto più di qualsiasi altra attrice francese. Il suo volto è stato immortalato da registi e fotografi in ritratti di posa, scatti rubati e inquadrature da grande schermo nell’ordine delle migliaia. Eppure, ammettono, nessuno è stato in grado di ritrarla davvero. Un volto "difficile da fotografare" ha affermato il regista Julien Duvivier, mentre la stessa Moreau ha ammesso di non essersi mai riconosciuta in nessuno scatto. Appassionata di narrativa, forse in pochi sanno che negli anni Settanta Jeanne Moreau aveva firmato due contratti con la casa editrice Bernard Grasset per un’autobiografia. Il progetto non vedrà mai la luce, eppure l’urgenza di raccontare la parte di sé che nessuno aveva saputo vedere rimane: in un’opera di autoanalisi scrive di sé e si registra. Per anni i testi e le registrazioni sono rimasti nei cassetti del Fondo Jeanne Moreau, creato nel 2017 all’indomani della morte dell’attrice. Oggi, il Fondo ha deciso di aprire gli archivi, permettendo che i materiali inediti confluiscano in quell’autobiografia lasciata incompiuta. Il volume, edito da Gallimard, si chiama Jeanne di Jeanne Moreau: un ritratto di Jeanne Moreau, scritto – indirettamente – da Jeanne Moreau, senza il filtro della pellicola.

Jeanne par Jeanne Moreau

Jeanne par Jeanne Moreau

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Nata a Parigi il 23 gennaio 1923, Jeanne Moreau era la figlia di un ristoratore di Montmartre e di una ballerina inglese di Les Folies Bergères, il teatro del varietà che aveva fatto la storia della Belle Epoque nella Parigi della moda e della bella borghesia. Seguendo le orme materne, si iscrisse al Conservatorio per approdare, nel 1947, tra le fila della compagnia della Comédie Française e, successivamente, nel più sperimentale Théâtre National Populaire. Quasi contemporaneamente, esordì al cinema ma con scarso successo: sono gli anni delle bionde Martine Carol, Marylin Monroe e Brigitte Bardot, quando il modello silenzioso della ragazza bruna ancora non bucava lo schermo. Fu l’incontro con il regista Louis Malle a segnare il passaggio da attrice a diva. Con Ascensore per il patibolo (1957) Jeanne Moreau viene "vista" per la prima volta: nella scena centrale del film l’attrice, qui nel ruolo di Florence, vaga senza posa nella notte parigina, sullo sfondo degli Champs-Élysées, mentre Louis Malle riprende la scena con una carrozzina per bambini spinta dal direttore della fotografia Henri Decaë, mentre le variazioni jazz di Miles Davis segnano il tempo.

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Keystone-France//Getty Images
Jean-Claude Brialy, Jeanne Moreau e Anatole Litvak al Festival di Cannes, 1962

"Il volto della Moreau è illuminato soltanto dalle luci dei locali e dei negozi a cui passa dinanzi. In un’epoca in cui le attrici venivano illuminate e fotografate con grande cura, queste scene ebbero un effetto dirompente, e influenzarono molti film a venire. Ci rendiamo conto che Florence è un po’ folle. E l’improvvisazione jazz di Miles Davis sembra appartenere alla notte tanto quanto lei", così il critico Roger Ebert spiegò la scelta di Ascensore per il patibolo. A questa prima prova filmica ne seguirono moltissime: da Les Amants (1958) – sempre per la regia di Malle – a Jules e Jim (1962) e Sposa in Nero (1968) di François Truffaut.

La sua cinematografia degli anni Sessanta anticipò un modello di femminilità che ancora non aveva un nome, ma in cui le donne del suo tempo si identificavano e i più ammiravano: quello della self-made woman, di una figura di donna affascinante e inafferrabile, che non scende a compromessi perché basta a sé stessa. Nelle parole di Liza Ginzburg, autrice di Jeanne Moreau: la luce del rigore (2021), la Moreau non si è mai lasciata sopraffare né dal sistema né dai suoi personaggi perché era "sposata con sé stessa" e, a discapito delle critiche dei benpensanti, ha fatto di quella indipendenza, che allora era avvertita come un tratto di mascolinità, un attributo di fascino.

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Reg Lancaster//Getty Images
Jeanne Moreau circondata dai fotografi in seguito all’annuncio del matrimonio con Pierre Cardin, 1962

"La Moreau veniva percepita come la donna moderna. Attraversava languida i luoghi alla moda di allora – Parigi, la Costa Azzurra, Venezia, Roma – bevendo e fumando, spesso accompagnata da fraseggi di cool jazz" disse di lei la critica Ginette Vincendeau. La sua modernità corrispose, in ambito cinematografico, al filone della Nouvelle Vague, letteralmente nuova ondata. La definizione venne adottata negli anni Sessanta dalla nuova generazione di cineasti francesi che, prendendo le distanze dalla produzione industriale, proposero nuove tecniche di ripresa da applicarsi a temi altrettanto "giovani" quali la sfiducia negli ideali della borghesia e la ricerca di autenticità. Di questa corrente, Jeanne Moreau è stata la gran dame: voltando le spalle ad una carriera convenzionale, ha sempre selezionato personalmente i registi con cui lavorare, prendendosi la libertà di rinunciare a titoli rumorosi. Contesa dai maggiori produttori del tempo, voleva fare altro: tornò al teatro e si diede alla regia, rimanendo sempre "intègre" – "integra" – come lei stessa rispose nel 1995 a una giornalista che le chiese di autodefinirsi.

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Sunset Boulevard//Getty Images
Jeanne Moreau sul set di Ascensore per il patibolo, 1957

Nelle oltre trecento pagine di Jeanne di Jeanne Moreau si racconta di una donna che ha vinto tanto – migliore attrice femminile al Festival di Cannes del 1960 e tre premi alla carriera – rimanendo sempre uguale a sé stessa. Tra immagini mai pubblicate e testi d’archivio, sono presenti anche lettere indirizzate a personalità del tempo quali Pierre Cardin – di cui fu musa e amante grazie all’intermediazione di Mademoiselle Chanel, che li presentò – Roger Nimier, Pedro Almodóvar e Yves Saint Laurent. Così l’attrice Rebecca Marder, che del volume ha scritto la prefazione, spiega infine la novità della pubblicazione: "Queste memorie giustapposte e lavorate a maglia non hanno nulla a che vedere con una serie di aneddoti o di piccole storie di sé attinenti il solo mondo dello spettacolo, esse compongono un (auto)ritratto esigente, intenso. Stimolante".