Jackie: Recensione, trama, cast del film su Jacqueline Kennedy

Jackie: ritratto di una First Lady

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Jackie

Titolo originale: Jackie

Anno: 2016

Paese di produzioneStati Uniti d’America, Cile, Francia

Generebiografico, drammatico

Produzione: Jackie Productions Limited, LD ENtertainment, Protozoa, Fabula, WIld Bunch, Why Not Production

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 100 min

Regia: Pablo Lerrain

Sceneggiatura: Noah Oppenheim

Fotografia: Stéphane Fontaine

Montaggio: Sebastian Sepulveda

Musica: Mica Levi

Attori: Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup, John Hurt, Richard E. Grant, Caspar Phillipson

Trama di Jackie

Il film racconta la storia di Jackie Kennedy nella settimana successiva alla morte del trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy. Durante un’intervista che concesse al giornalista Theodore White, tramite continui salti temporali, Jackie ripercorre i momenti salienti vissuti durante i giorni successivi a uno dei più famosi omicidi della storia moderna ricordando anche alcuni momenti trascorsi alla Casa Bianca durante il suo incarico da First Lady.

Recensione di Jackie: la regia

Quinta pellicola del regista Pablo Lerrain, noto anche per altri lavori come Neruda e No – I giorni dell’arcobaleno, Jackie può sembrare a prima vista un classico biopic; definizione non adeguata considerando che il film non racconta tutta la vita della first lady ma solo un breve periodo.

La prima cosa che colpisce durante la visione del film sono i numerosi primi piani che Lerrain riserva alla protagonista: la scelta di questa inquadratura cinematografica è dettata dalla volontà del regista di amplificare le emozioni vissute dalla protagonista permettendo allo spettatore di cogliere ogni sfaccettatura delle sue sensazioni grazie anche alle espressioni facciali. Questi primi piani sono inoltre affiancati da numerosi primissimi piani, ovvero inquadrature che includono totalmente il volto del personaggio, tagliando via le spalle e parte della testa, che hanno il preciso scopo di presentare a livello intimo e psicologico la protagonista cercando di creare una vicinanza con lo spettatore che si sente in qualche modo capace di carpire i pensieri e le sensazione di Jackie. L’uso di questi tipi d’inquadrature suggerisce il desiderio del regista di rendere questo film una vera e propria introspezione della First Lady. Più che un film biopic, dunque, la pellicola risulta essere una vera e propria riflessione su questo spaccato di vita di Jackie.

Un altro elemento che suggerisce questa conclusione è l’uso copioso del movimento di camera zoom; molte scene iniziano con un campo così detto medio ovvero un’inquadratura dove la figura principale è incorniciata dall’ambiente che lo circonda dando così una visione d’insieme della scena rappresentata, per poi finire con un’inquadratura che riprende la figura intera o addirittura che si conclude con un primo piano della protagonista. Questo movimento di camera viene spesso utilizzato non solo per concentrare l’attenzione dello spettatore su Jackie ma soprattutto per dare carattere al personaggio e aumentare il senso di drammaticità della scena descritta.

Grazie a questi esempi è possibile capire a fondo come la regia sia usata in questo film come vero e proprio strumento per amplificare la storia raccontata.

Un altro esempio emblematico di questo scopo della regia è rappresentato dalle riprese iniziali: nei primissimi fotogrammi del film il primo piano di Jackie non è stabile, ma leggermente traballante e movimentato per sottolineare la confusione, il dolore e l’incertezza che caratterizzano da subito la protagonista. Queste riprese volutamente non stabilizzate della first lady sono in contrasto con le inquadrature dedicate al giornalista che invece risultano essere ben ferme e stabilizzate: questa distinzione permette di sottolineare ulteriormente la differenza emotiva tra i due personaggi.

Infine, nella pellicola, sono spesso presenti inquadrature di spalle (anche note come inquadrature di quinta) che hanno un duplice scopo: in primo luogo mostrare ciò che il personaggio sta guardando aiutando lo spettatore a immedesimarsi nella scena in qualità di protagonista e inoltre aumentare il senso di mistero e inquietudine che avvolge Jackie.

È interessante infine notare la struttura ciclica del film: la pellicola si apre e si chiude con delle scene della morte del presidente e con il tour della Casa Bianca guidato dalla stessa first lady

Particolarmente interessante inoltre è la sceneggiatura; al contrario di ciò che ci si aspetterebbe, il racconto della morte di JFK non viene svelato nei primi momenti del film, ma viene lasciato alla fine. In questo modo si crea durante tutta la durata del film un crescente desiderio nello spettatore che vuole conoscere il punto di vista della First Lady di quel fatidico giorno.

Una cosa interessante da notare è la cura nei dettagli che caratterizza il film, nello specifico i costumi e le scenografie, estremamente fedeli alla realtà, sono un valore aggiunto al film.

Un altro elemento che non si può non citare riguarda gli ultimi fotogrammi del film: Jackie ha ormai lasciato la Casa Bianca, si sta allontanando definitivamente dalla vita da First Lady mentre si sofferma a guardare la moglie di Lyndon Johnson intenta a scegliere le nuove tappezzerie, teme che tutto ciò che ha fatto per il paese venga dimenticato, si lascia cogliere da un momento di tristezza che viene subito sostituito da una certezza: lei, nonostante tutto ha cambiato profondamente quella nazione con la sua forza, la sua determinazione e la sua eleganza. Infatti, mentre è in macchina, nota con estremo orgoglio e compiacimento i nuovi allestimenti delle vetrine dei grandi magazzini: tailleur di ogni colore evidentemente ispirati al suo guardaroba.

Jackie: tra apparenza e realtà

Dopo aver analizzato alcuni aspetti chiave della regia, è possibile ora concentrarsi sulla tematica ricorrente presenta nel film: il dualismo e la dicotomia.

Tuttala pellicola è caratterizzata dalla presenza di elementi in continua contrapposizione tra loro come il potere e l’amore, la perdita e la ricchezza, l’apparenza e la realtà, la storia e il mito. Tra tutte queste antitesi quella di sicuro più interessante è il rapporto tra apparenza e realtà. Tutto il film si basa sul desiderio della first lady di mantenere in apparenza un aspetto regale, risoluto e forte, quando in realtà non è altro che un’anima fragile, indifesa e spezzata dal dolore. La tematica inizia a emergere in modo velato quando il presidente chiede a Jackie se è pronta ad affrontare la folla di gente che li sta aspettando all’aeroporto di Dallas e lei risponde “Ma certo, io amo la folla”, una frase ironica che di fatto afferma il contrario di ciò che provava la First Lady, com’è noto da diverse testimonianze storiche. Solo quando Jackie dice al giornalista “Io non fumo” lo spettatore si accorge inconfondibilmente della sua “falsità” intesa come volontà di mantenere una determinata apparenza: la frase pronunciata dalla protagonista risulta infatti essere in forte contrasto con ciò che lo spettatore vede durante tutto il film, ovvero una donna che fuma costantemente.

“Non saprei più distinguere la verità dalla finzione”

— Jackie Kennedy

Jackie: la storia e il mito

Il film descrive perfettamente la forza di una donna che ha saputo, nonostante il dolore, creare un mito che ancora permane nelle menti di molti uomini. Il mito secondo cui il presidente Kennedy è stato uno dei migliori e più amati presidenti della storia americana deve in parte essere attribuita a Jackie, come ben descritto nel film.

La morte del presidente, avvenuta il 23 novembre del 1963, risvegliò negli americani una sensazione di fragilità e vulnerabilità che li tocco in prima persona; proprio facendo leva su questo sentimento di compassione e coinvolgimento, le decisioni prese dalla first lady nei momenti dopo l’omicidio, dall’indossare il vestito sporco di sangue davanti alla stampa affinché possano “vedere cosa hanno fatto a Jack” fino al funerale solenne con la parata ad Arlington, alimentarono l’idea di grandezza del presidente.

Jackie non perde nessuna occasione per proteggere l’ormai defunto presidente da giudizi che potrebbero scalfire la sua aurea personale, basti pensare, per esempio a come la First Lady, nella realtà, fece scudo con il proprio corpo alla testa del marito cercando di impedire la visione di quella terribile realtà ai fotografi, quando la limousine arrivò all’ospedale. In ogni istante, in ogni parola, in ogni gesto è evidente la volontà della first lady di restituire dignità a una morte che dignitosa non fu; di mantenere quell’immagine di perfezione e felicità idilliaca che all’epoca aveva caratterizzato la presidenza Kennedy, ricordando a tutti che seppur per un breve periodo “ci fu una Camelot”.

Jackie: il mito di Camelot

Il tema del mito di Camelot è estremamente ricorrente nel film, non solo grazie alle frasi pronunciate dall’ormai ex First Lady durante l’intervista (qui potete trovare l’articolo originale pubblicato sul Life), ma anche grazie alla musica che Jackie ascolta durante un momento di disperazione nel film per riavvicinarsi al defunto marito.

La leggenda di Camelot viene spesso associata alla presidenza Kennedy proprio grazie all’intervista descritta nel film; fu infatti Jackie a ideare questo paragone. Il giornalista più tardi scriverà nelle sue memorie “Inavvertitamente fui il suo strumento nella costruzione del mito”.

Jackie spiegò molte volte al giornalista che non voleva “lasciare Jack a tutti le persone acide che avrebbe scritto di lui nella storia”. Lei non voleva che Jack fosse lasciato agli storici, che lo avrebbero descritto in funzione solo del suo operato politico, desiderava invece che fosse ricordato nel migliore dei modi, voleva che fosse ricordato come l’uomo che ha incarnato il sogno americano, anche se per un breve tempo.

Durante l’intervista la First Lady propose di fatto una visione della storia che ricorda molto il racconto di un eroe, una storia che non deve essere dimenticata per nessun motivo. «Ci saranno altri grandi presidenti, ma non ci sarà mai più una Camelot». Jackie citando una delle frasi del celebre musical che dice ascoltava con John prima di andare a dormire dà inizio dunque al paragone tra la presidenza di Kennedy e Camelot.

“Io credo che i personaggi di cui leggiamo, finiscano per diventare più reali dell’uomo che ci sta accanto.”

—Jackie Kennedy

Ma come mai questo paragone sembra così azzeccato? Perché d’ora in avanti tutti assoceranno la presidenza di JFK al mito di Camelot? Le analogie di fatto sono molte, eccone alcune:

  • L’amore nell’era medievale era caratterizzato da una sfumatura di impossibilità e sofferenza. Le belle dame sono irraggiungibili dai loro ammiratori. Lancillotto, per esempio, è innamorato di Ginevra, la moglie di Artù. L’amore in molti casi è una virtuosa prova, una prova esistenziale che trascende il matrimonio. L’amore è compagnia del cuore, un ideale
  • I giornalisti hanno spesso fatto riferimento alla famiglia Kennedy come una famiglia reale. Parlare dei Kennedy come di persone reali aveva il preciso scopo di muovere dentro gli animi degli americani quel sentimento, tipico invece del popolo britannico, fedele alla corona e devota ad essa. Rendere questa famiglia “reale” gli permetteva di essere visti come delle figure di rifermento, gente a cui aspirare che allo stesso tempo era rispettata e ammirata.

Ma l’analogia con Camelot rappresenta di fatto il culmine di una grande e importante opera pubblicitaria messa in atto dallo stesso Kennedy per rendersi agli occhi degli americani il candidato perfetto. L‘immagine di Kennedy infatti come uomo stimato e ammirato da tutti inizia molti anni prima con una serie di stratagemmi volti a rendere “ideale” l’immagine di Kennedy. É interessante come il concetto d’ideale vada di pari passo con il concetto di normale. La perfezione che viene presentata è una perfezione non ostentata ma semplicemente desiderata da tutti gli uomini: il desiderio di una bella casa, di una bella moglie, di una bella famiglia, semplicemente il desiderio di una bella vita. Proprio per questo forse Kennedy è stato uno dei presidenti più amati perché è stato in grado d’incarnare in se stesso tutti i desideri e I sogni degli americani, a partire dalla semplicità di una vita normale. Kennedy amato perché visto come persona “normale”.

“Un popolo ha bisogno della sua storia. Ha bisogno di sapere che persone reali hanno vissuto qui.”

— Jackie Kennedy

Kennedy viene considerato la personificazione del futuro, futuro che non ci sarà. «For one brief shining moment there was Camelot».

Note positive:

  • Interpretazione di Natalie Portman
  • Fotografia
  • Regia

Note negative:

  • Ritmo piuttosto lento

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