01 marzo 2022
a cura di Redazione Oscar
1953. On the Road, il libro destinato a cambiare la storia della letteratura e la vita di migliaia di persone nel mondo, langue sulle scrivanie di numerose redazioni. Mentre attende una risposta dai diversi editori a cui ha inviato il dattiloscritto, Jack Kerouac inizia a praticare e studiare il buddhismo; inizia anche a redigere una serie di note che desidera regalare all'amico Allen Ginsbe...
Restammo sdraiati sulla schiena a guardare il soffitto e a chiederci cosa avesse avuto in mente Dio quando aveva fatto la vita così triste.Jack Kerouac, Sulla strada
Il 1944 fu l'anno della svolta: Edith Parker, allora ragazza (poi moglie) di Kerouac, gli presentò il giornalista Lucien Carr che gli fece poi conoscere William S. Burroughs e Allen Ginsberg. Nasceva il nucleo originario della leggendaria Beat Generation.
La prima volta che Kerouac utilizzò il termine "beat" fu nel 1950, nel suo primo romanzo La città e la metropoli: Liz Martin è una "beat che se ne va in giro per la città alla ricerca di qualche altro lavoro, di un benefattore, di 'grana' o di un po' di 'fumo'".
"Beat" diventa con lui, e con gli altri scrittori e giornalisti che erediteranno quella spinta, sinonimo di una vita che rifiuta le regole imposte e abbraccia la sperimentazione, gli stili di vita alternativi, la sessualità libera, l'interesse per la spiritualità orientale.
È un termine che richiama la realtà della condizione dei meno privilegiati che come Liz vagano per la città alla ricerca di fortuna, ma lo fanno con la libertà e l'ottimismo di chi sa che solo sulla strada si può trovare se stesso.
Se si cerca un'idea di questa filosofia, la si trova splendidamente condensata nell'opera teatrale Beat Generation, ricca di personaggi che non sono i vagabondi tipici della narrativa di Kerouac, ma uomini e donne della classe operaia che esprimono il cuore del pensiero beat, quello spirito di libertà che iniziò a fiorire allora per esplodere poi nella grande contestazione del decennio dopo.
Kerouac stesso è testimonianza di questa tensione, infatti scappò da un'esistenza ordinaria per vivere "libero in arte".
Le sue Lettere dalla Beat Generation sono la testimonianza più viva di uno scrittore affamato di vita e di avventure, pronto a trasformare in lucide liriche le sue esperienze e a fondere le sue peripezie di eterno vagabondo con la grande letteratura.
Forever on The Road riunisce tre opere di Kerouac: Sulla strada, I vagabondi del Dharma e Big Sur.
I Blues di Jack Kerouac contiene invece i due libri di poesia che l'autore pubblicò in vita (Mexico City Blues, 1959, e La scrittura dell'eternità dorata, 1960), insieme ai testi di cinque raccolte poetiche che lo scrittore aveva apprestato e che vennero poi pubblicate postume, come Vecchio Angelo Mezzanotte e Il libro dei blues, e a un insieme di poesie sparse che uscirono su rivista o rimasero manoscritte.
Il percorso iconografico all'interno di Forever On The Road è stato curato da Leopoldo Carra, traduttore e critico letterario, che ha curato e tradotto per gli Oscar Mondadori anche I blues di Jack Kerouac (per le traduzioni insieme a Massimo Bocchiola, Leopoldo Carra, Luca Guerneri e Silvia Rota Sperti).
Per lo Specchio Mondadori, nel 2018, Carra ha tradotto anche Greatest Poems di Lawrence Ferlinghetti, fondatore della libreria e casa editrice City Lights a San Francisco, luogo di culto per la generazione Beat.
Ha curato, inoltre, numerosi libri di Allen Ginsberg pubblicati dal Saggiatore.
Ho sempre pensato che Jack Kerouac, più che elaborare una visione organica del nostro destino e della società americana, abbia creato immagini indelebili del suo paese, e fissato con intensità le sensazioni dell’avventura, le gioie dell’amicizia, i tormenti di un’indisciplinata ricerca spirituale.
Tracciare un percorso iconografico che accompagnasse i testi di Sulla strada, I vagabondi del Dharma e Big Sur mi è quindi sembrato un modo emozionante di rileggere questi romanzi.
I quali, è noto, sono popolati di eccentrici personaggi ispirati ad amici reali (Ginsberg, Burroughs, Cassady…).Si trattava di ritrovare le foto di quei volti allora giovani, di quella vita ai margini, di auto scassate e di vecchi treni merci, ma anche opere figurative che evocassero il mito on the road. Senza dimenticare il jazz.
Nessuno più di Kerouac, quando descrive un sassofonista in un locale di San Francisco, sa cogliere la potenza espressiva della musica afroamericana, l’urgenza di quelle lunghe improvvisazioni che gli ispirarono la sua «prosa spontanea» e la sua «prosodia bop». Ecco perché, tra le pagine di Forever on the Road, figurano immagini di Charlie Parker e Miles Davis…
A cinquant’anni dalla scomparsa dell’autore, la sua America ci appare infinita e piccolissima, se Jack poteva cantarla come una canzone di Billie Holiday, solcarla avanti e indietro su una Hudson del ’49 imbrattata di fango.
Oltre che terreno di una ribellione, ci appare come uno spazio mentalesimile all’oceano di Moby Dick, come la proiezione di un infinito desiderio. È proprio l’opera poetica completa, raccolta nei Blues di Jack Kerouac, a far luce sugli aspetti più segreti di quell’incessante ricerca di senso.
Il cattolicesimo, la scoperta del buddhismo, la struggente memoria dell’infanzia a Lowell, Massachusetts, mi sembrano oggi temi più profondi delle droghe o di certi stereotipi che sono stati, negli anni, appiccicati agli autori beat.
Tradurre Mexico City Blues è stata una sfida continua nell’affrontare un linguaggio eterogeneo, polisemico, in cui anche un semplice gioco fonetico racchiude sempre almeno un nucleo di significato.
Oltre a tentare di chiarire passaggi oscuri dei testi (tradotti anche da Massimo Bocchiola, Luca Guerneri e Silvia Rota Sperti), il glossario alla fine del volume si ripropone di ampliarne il dettato per suggerire percorsi di lettura biografici, spirituali e culturali.
Questo poeta, troppo spesso considerato un po’ estemporaneo, è in realtà nutrito di profonde letture, e si inserisce nella grande tradizione bardica di Walt Whitman.
Leopoldo Carra
Alla fine de I Blues si trova un glossario a cura di Leopoldo Carra dal titolo Sassofoni, bodhisattva e altre voci: la band di Jack Kerouac, uno strumento preziosissimo per muoversi tra le poesie del volume scoprendo termini che vanno dal jazz alla spiritualità orientale. Imprescindibile per chi voglia imparare a parlare come un beat.
Oltre alle parole, ci sono poi le immagini che parlano di Kerouac e della sua generazione. Sono piene di vita, hanno i colori dell'America di allora, non raccontano solo luoghi: fanno emergere un immaginario.
Per accostarci a questo mondo, ci affidiamo alle parole di Manuele Scalia, graphic designer e artista che ha seguito tutto il progetto grafico delle copertine di Kerouac negli Oscar Moderni.
Manuele Scalia © Slavica Veselinovic
Il primo volume di Jack Kerouac di cui mi sono occupato è stato On the road, il rotolo del 1951. L’iconografia legata a questo titolo, e più in generale a Kerouac, è quasi sempre stata rappresentata dalle prospettive infinite delle highways americane.
Immagini che restituiscono un’America da cartolina, che ho sempre trovato lontane dal travagliato vissuto dell’autore. Trattandosi della versione originale e incensurata del romanzo, mi premeva restituire verità anche alla veste grafica.
Proposi quindi di mettere in copertina un frammento di quel rotolo di carta per telescrivente su cui Kerouac dattiloscrisse la sua opera più celebre. Ingiallito, macchiato, stropicciato e con le correzioni apportate nervosamente a penna, mi emozionò moltissimo la prima volta che lo vidi.
Perché lì dentro c’era Kerouac.
Quando, qualche tempo dopo, ricevetti l’incarico di curare tutte le ristampe in Oscar, Elisabetta Risari fu molto chiara: “non voglio vedere pompe di benzina a bordo strada!”. Un monito, e una sfida, che accolsi con piacere.
Volevo proporre delle foto d’autore che avessero una storia, frammenti di vita quotidiana, soggetti e luoghipersineltempo. Mostrarli, quando possibile, così come descritti da Kerouac.
La mia ricerca quindi si concentrò su quei fotografi che per primi raccontarono a colori la provincia americana. Il fascino estraniante dell’interno vuoto di un diner (Maggie Cassidy), lo scatto rubato di una donna seduta in macchina all’interno del parcheggio di un fast food (Bella bionda e altre storie), fissati per sempre dalla lente di William Eggleston.
Un’automobile dai colori pastello abbandonata nel vicolo cieco di un quartiere povero (I sotterranei), opera di Fred Herzog.
Molte di queste foto sono il risultato delle prime sperimentazioni a colori con le pellicole Kodachrome. Ed è proprio qui che l’immaginario “on the road” trova le sue radici.Le automobili sono state una costante nella mia raccolta d’immagini. Sia in quanto simbolo e mezzo del peregrinare, sia come ispirazione nel definire la cromia dei vari volumi della collana.
Raccolsi delle pagine originali dei cataloghi colore delle auto americane. E visto che Kerouac era un appassionato di musica be-bop, li confrontai con quelli degli strumenti musicali di quegli anni, in particolare le chitarre elettriche, che iniziavano a essere immesse sul mercato agli inizi degli anni ’50.
Di seguito alcuni dei materiali che hanno guidato il progetto di Manuele Scalia: