Jack Kerouac: libri e vita di una leggenda americana - Oscar Mondadori

Jack Kerouac: libri e vita di una leggenda della letteratura americana

01 marzo 2022
a cura di Redazione Oscar

Jack Kerouac: centenario della nascita di una leggenda


Il 12 marzo 1922 a Lowell, Massachusetts, nasceva Jack Kerouacleggenda della letteratura americana e figura dominante della beat generation.

In occasione del centenario dalla sua nascita, ricordiamo i quarantasette anni di vita dell'autore, vissuti viaggiando e sperimentando, con irrequietezza, immaginazione e sogno.

La collana Oscar Moderni Mondadori celebra quest'anniversario con un'edizione straordinaria di Some of the Dharma: zibaldone nel quale, per tre anni, Jack Kerouac ha riversato la sua intera vita, riunendo annotazioni, poesie, blues, haiku, conversazioni, preghiere e altro ancora.

Some of the Dharma

Jack Kerouac

1953. On the Road, il libro destinato a cambiare la storia della letteratura e la vita di migliaia di persone nel mondo, langue sulle scrivanie di numerose redazioni. Mentre attende una risposta dai diversi editori a cui ha inviato il dattiloscritto, Jack Kerouac inizia a praticare e studiare il buddhismo; inizia anche a redigere una serie di note che desidera regalare all'amico Allen Ginsbe...

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Chi era Jack Kerouac?


Se ci fosse un'immagine, una sola, capace di restituire il senso della vita di Kerouac, sarebbe una macchina che sfreccia luccicante nella notte, nel cuore dell'America.

Dove sta andando non è facile a dirsi: l'esistenza di Kerouac non ha seguito mappe precise ma si è costantemente lanciata alla scoperta di nuovi percorsi, quasi fosse un'improvvisazione jazz. Sai come comincia ma non puoi mai immaginare come finirà. 

Si definiva "poeta", tra le altre cose. Un idealista a cui anche il suo idealismo a un certo punto è diventato stretto. Un uomo coraggioso che credeva nella tenerezza e nella spiritualità.

Appena undicenne scrisse il primo romanzo (Mike Explores the Merrimack) e, nonostante sia poi andato perduto, l'energia positiva e creatrice di questa prima prova non si perse più. Per tutta la vita Kerouac rimarrà "uno scrittore affamato" di nuove esperienze.

Le opere di Kerouac, oltre trenta tra romanzi, raccolte di racconti e di poesie, lettere e saggi, sono nate dentro la corrente della vita e delle cose.

Parlano di città (La città e la metropoli), incontri on the road (Sulla strada, L’ultimo vagabondo americano e I vagabondi del Dharma), serate nei club dove si suona il buon jazz (Bella bionda e altre storie), scrittori alla ricerca di fortuna, percorsi di crescita (Pic), famiglia, uomini disperatamente innamorati (I sotterranei e Maggie Cassidy) e viaggi alla ricerca di radici (Satori a Parigi).

Raccontano un'America che esiste ancora pur non essendoci più, perché i suoi romanzi non sono solo il ritratto di una società che stava cambiando, sono l'omaggio agli uomini e alle passioni che lì vivevano.

La lingua della letteratura di Kerouac è una delle sue tante rivoluzioni: somiglia alle onde, è rapida, ha tutti i colori della vita, mozza il fiato. È nutrita di slang, si contamina con il cinema, il teatro, la musica e soprattutto con i mille umori della strada.

Jack Kerouac

Ha scritto della vita, della morte e dell'eterna dialettica che le unisce: "Emancipate le masse umane / Di questo mondo dalla schiavitù alla vita / E alla morte, abolendo la morte / E sterminando la nascita".

Ecco il suo concetto di liberazione totale che passa attraverso l'ardore della lotta e la ricerca spirituale. Era "cattolico da capo a piedi", viveva intensamente il senso del perdono, del sacrificio, la devozione.

Portò sempre addosso i segni di un passato familiare che si ripresentava come un'onda, a partire dalla morte prematura del fratello Gerard, 9 anni, quando lui ne aveva solo 4. Un'immagine di morte che tornerà nella sua produzione, come un monito.

Figlio di immigrati franco-canadesi, il padre era un tipografo, nella sua bottega prese dimestichezza con la macchina da scrivere. In qualche modo sentiva già allora che la propria vita l'avrebbe resa in forma scritta.

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Restammo sdraiati sulla schiena a guardare il soffitto e a chiederci cosa avesse avuto in mente Dio quando aveva fatto la vita così triste.
Jack Kerouac, Sulla strada

La nascita della beat generation

Il 1944 fu l'anno della svolta: Edith Parker, allora ragazza (poi moglie) di Kerouac, gli presentò il giornalista Lucien Carr che gli fece poi conoscere William S. Burroughs e Allen Ginsberg. Nasceva il nucleo originario della leggendaria Beat Generation.

La prima volta che Kerouac utilizzò il termine "beat" fu nel 1950, nel suo primo romanzo La città e la metropoli: Liz Martin è una "beat che se ne va in giro per la città alla ricerca di qualche altro lavoro, di un benefattore, di 'grana' o di un po' di 'fumo'".

"Beat" diventa con lui, e con gli altri scrittori e giornalisti che erediteranno quella spinta, sinonimo di una vita che rifiuta le regole imposte e abbraccia la sperimentazione, gli stili di vita alternativi, la sessualità libera, l'interesse per la spiritualità orientale.

È un termine che richiama la realtà della condizione dei meno privilegiati che come Liz vagano per la città alla ricerca di fortuna, ma lo fanno con la libertà e l'ottimismo di chi sa che solo sulla strada si può trovare se stesso.

Se si cerca un'idea di questa filosofia, la si trova splendidamente condensata nell'opera teatrale Beat Generation, ricca di personaggi che non sono i vagabondi tipici della narrativa di Kerouac, ma uomini e donne della classe operaia che esprimono il cuore del pensiero beat, quello spirito di libertà che iniziò a fiorire allora per esplodere poi nella grande contestazione del decennio dopo.

Kerouac stesso è testimonianza di questa tensione, infatti scappò da un'esistenza ordinaria per vivere "libero in arte".

Le sue Lettere dalla Beat Generation sono la testimonianza più viva di uno scrittore affamato di vita e di avventure, pronto a trasformare in lucide liriche le sue esperienze e a fondere le sue peripezie di eterno vagabondo con la grande letteratura. 

 

Jack Kerouac

Forever On the Road e I Blues:
la voce di Kerouac tra viaggi e poesie in jazz


Un’attenzione speciale tra i volumi di Kerouac presenti nel catalogo degli Oscar Mondadori va a due libri che rappresentano idealmente la summa del suo pensiero e della sua vita.

Si tratta di Forever On The RoadI blues di Jack Kerouac che rendono omaggio alla sua leggenda attraverso nuove autorevoli traduzioni e curatele, ricchi apparati e percorsi iconografici.

Forever on The Road riunisce tre opere di Kerouac: Sulla strada,  I vagabondi del Dharma e Big Sur.

I Blues di Jack Kerouac contiene invece i due libri di poesia che l'autore pubblicò in vita (Mexico City Blues, 1959, e La scrittura dell'eternità dorata, 1960), insieme ai testi di cinque raccolte poetiche che lo scrittore aveva apprestato e che vennero poi pubblicate postume, come Vecchio Angelo Mezzanotte e Il libro dei blues, e a un insieme di poesie sparse che uscirono su rivista o rimasero manoscritte.

Il percorso iconografico all'interno di Forever On The Road è stato curato da Leopoldo Carra, traduttore e critico letterario, che ha curato e tradotto per gli Oscar Mondadori anche I blues di Jack Kerouac (per le traduzioni insieme a Massimo Bocchiola, Leopoldo Carra, Luca Guerneri e Silvia Rota Sperti).

Per lo Specchio Mondadori, nel 2018, Carra ha tradotto anche Greatest Poems di Lawrence Ferlinghetti, fondatore della libreria e casa editrice City Lights a San Francisco, luogo di culto per la generazione Beat.

Ha curato, inoltre, numerosi libri di Allen Ginsberg pubblicati dal Saggiatore.

 

Il poeta del Dharma, su una Hudson del ‘49:
Leopoldo Carra racconta la sua visione di Kerouac

Ho sempre pensato che Jack Kerouac, più che elaborare una visione organica del nostro destino e della società americana, abbia creato immagini indelebili del suo paese, e fissato con intensità le sensazioni dell’avventura, le gioie dell’amicizia, i tormenti di un’indisciplinata ricerca spirituale.

Tracciare un percorso iconografico che accompagnasse i testi di Sulla strada, I vagabondi del Dharma e Big Sur mi è quindi sembrato un modo emozionante di rileggere questi romanzi.
I quali, è noto, sono popolati di eccentrici personaggi ispirati ad amici reali (Ginsberg, Burroughs, Cassady…).

Si trattava di ritrovare le foto di quei volti allora giovani, di quella vita ai margini, di auto scassate e di vecchi treni merci, ma anche opere figurative che evocassero il mito on the road. Senza dimenticare il jazz.

Nessuno più di Kerouac, quando descrive un sassofonista in un locale di San Francisco, sa cogliere la potenza espressiva della musica afroamericana, l’urgenza di quelle lunghe improvvisazioni che gli ispirarono la sua «prosa spontanea» e la sua «prosodia bop». Ecco perché, tra le pagine di Forever on the Road, figurano immagini di Charlie Parker e Miles Davis

A cinquant’anni dalla scomparsa dell’autore, la sua America ci appare infinita e piccolissima, se Jack poteva cantarla come una canzone di Billie Holiday, solcarla avanti e indietro su una Hudson del ’49 imbrattata di fango.

Oltre che terreno di una ribellione, ci appare come uno spazio mentalesimile all’oceano di Moby Dick, come la proiezione di un infinito desiderio. È proprio l’opera poetica completa, raccolta nei Blues di Jack Kerouac, a far luce sugli aspetti più segreti di quell’incessante ricerca di senso.

Il cattolicesimo, la scoperta del buddhismo, la struggente memoria dell’infanzia a Lowell, Massachusetts, mi sembrano oggi temi più profondi delle droghe o di certi stereotipi che sono stati, negli anni, appiccicati agli autori beat.

Tradurre Mexico City Blues è stata una sfida continua nell’affrontare un linguaggio eterogeneo, polisemico, in cui anche un semplice gioco fonetico racchiude sempre almeno un nucleo di significato.

Oltre a tentare di chiarire passaggi oscuri dei testi (tradotti anche da Massimo Bocchiola, Luca Guerneri e Silvia Rota Sperti), il glossario alla fine del volume si ripropone di ampliarne il dettato per suggerire percorsi di lettura biografici, spirituali e culturali.

Questo poeta, troppo spesso considerato un po’ estemporaneo, è in realtà nutrito di profonde letture, e si inserisce nella grande tradizione bardica di Walt Whitman.

Foto di Leopoldo Carra - Jack KerouacLeopoldo Carra

Alla fine de I Blues si trova un glossario a cura di Leopoldo Carra dal titolo Sassofoni, bodhisattva e altre voci: la band di Jack Kerouac, uno strumento preziosissimo per muoversi tra le poesie del volume scoprendo termini che vanno dal jazz alla spiritualità orientale. Imprescindibile per chi voglia imparare a parlare come un beat.

Oltre alle parole, ci sono poi le immagini che parlano di Kerouac e della sua generazione. Sono piene di vita, hanno i colori dell'America di allora, non raccontano solo luoghi: fanno emergere un immaginario.

Per accostarci a questo mondo, ci affidiamo alle parole di Manuele Scalia, graphic designer e artista che ha seguito tutto il progetto grafico delle copertine di Kerouac negli Oscar Moderni.

 

 

Automobili e frammenti di quotidiano:
il progetto di cover design di Manuele Scalia

Manuele Scalia - Jack KerouacManuele Scalia © Slavica Veselinovic

Il primo volume di Jack Kerouac di cui mi sono occupato è stato On the road, il rotolo del 1951. L’iconografia legata a questo titolo, e più in generale a Kerouac, è quasi sempre stata rappresentata dalle prospettive infinite delle highways americane.

Immagini che restituiscono un’America da cartolina, che ho sempre trovato lontane dal travagliato vissuto dell’autore. Trattandosi della versione originale e incensurata del romanzo, mi premeva restituire verità anche alla veste grafica.

Proposi quindi di mettere in copertina un frammento di quel rotolo di carta per telescrivente su cui Kerouac dattiloscrisse la sua opera più celebreIngiallito, macchiato, stropicciato e con le correzioni apportate nervosamente a penna, mi emozionò moltissimo la prima volta che lo vidi.

Perché lì dentro c’era Kerouac.

Quando, qualche tempo dopo, ricevetti l’incarico di curare tutte le ristampe in Oscar, Elisabetta Risari fu molto chiara: “non voglio vedere pompe di benzina a bordo strada!”. Un monito, e una sfida, che accolsi con piacere.

Volevo proporre delle foto d’autore che avessero una storia, frammenti di vita quotidiana, soggetti e luoghipersineltempo. Mostrarli, quando possibile, così come descritti da Kerouac.

La mia ricerca quindi si concentrò su quei fotografi che per primi raccontarono a colori la provincia americana. Il fascino estraniante dell’interno vuoto di un diner (Maggie Cassidy), lo scatto rubato di una donna seduta in macchina all’interno del parcheggio di un fast food (Bella bionda e altre storie), fissati per sempre dalla lente di William Eggleston.

Un’automobile dai colori pastello abbandonata nel vicolo cieco di un quartiere povero (I sotterranei), opera di Fred Herzog.
Molte di queste foto sono il risultato delle prime sperimentazioni a colori con le pellicole Kodachrome. Ed è proprio qui che l’immaginario “on the road” trova le sue radici.

Le automobili sono state una costante nella mia raccolta d’immagini. Sia in quanto simbolo e mezzo del peregrinare, sia come ispirazione nel definire la cromia dei vari volumi della collana.

Raccolsi delle pagine originali dei cataloghi colore delle auto americane. E visto che Kerouac era un appassionato di musica be-bop, li confrontai con quelli degli strumenti musicali di quegli anni, in particolare le chitarre elettriche, che iniziavano a essere immesse sul mercato agli inizi degli anni ’50.

Di seguito alcuni dei materiali che hanno guidato il progetto di Manuele Scalia:

Jack Kerouac

Jack Kerouac

Jack Kerouac

Jack Kerouac

 

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