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Isaiah Berlin e i due concetti di libertà

di Vittorio Pelligra

9' di lettura

Può non essere del tutto superfluo riprendere ad esplorare, proprio oggi, il significato dell’idea di libertà. Proprio oggi che guerre contro l’invasore, contro il terrorismo, contro l’oppressione e la discriminazione, contro il mancato riconoscimento delle specificità e dei desideri delle minoranze, terrorizzano milioni di persone e portano morte, alimentando odio tra i popoli, rancore e sete di vendetta, spesso proprio in nome della libertà. Libertà che viene minacciata dall’esercizio di altre libertà, dal potere della tecnica, dalla libertà che supera le regole della democrazia, dalla libertà dei mercati che limitano le libertà delle persone. Libertà di opprimere, libertà di schiacciare, libertà di ignorare.

Il valore della libertà

Quanto è importante, allora, proprio oggi interrogarsi sul valore della libertà, sul concetto o sui concetti di libertà? Proprio tra queste pagine che da tempo stiamo dedicando all’esplorazione della storia dell’idea di giustizia. E libertà e giustizia sono idee legate a filo doppio, e non solo per i liberali classici come John Locke o Stuart Mill, ma anche per i moderni come von Hayek e Friedman, con accenti maggiori come nel caso dei libertari a là Nozick o più sfumati come nel socialismo liberale di John Rawls. Per molti, come per Kant per esempio, la libertà non solo costituisce uno dei pilastri fondanti di una società giusta, ma il grado stesso di giustizia di un dato ordine sociale si misura proprio con la sua capacità di garantire le condizioni di compatibilità delle libertà individuali. Libertà e giustizia, in questo senso, coincidono.  

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Isaiah Berlin

Eppure, se dovessimo identificare un unico nome, un pensatore che nel secolo scorso ha definito, chiarificato e illustrato meglio di chiunque altro il concetto di libertà, anzi i concetti, come vedremo, questi è senza dubbio il filosofo e storico delle idee Isaiah Berlin. Russo di nascita e inglese di adozione - la famiglia scappò poco dopo la rivoluzione del 1917 - venne educato tra Londra e Oxford e proprio ad Oxford trovò il suo primo impiego accademico e qui lavorò ed insegnò per il resto della sua vita. Dal 1957 e per i vent’anni seguenti fu Chichele Professor di Teoria Politica e Sociale per l’All Souls College. Proprio la lezione tenuta nel 1958 in occasione dell’inaugurazione di questo incarico diverrà la sua opera più importante e citata: il saggio intitolato Due concetti di libertà (Feltrinelli, 1989).

Libertà negativa e libertà positiva

“Costringere un uomo – esordisce Berlin – vuol dire privarlo della libertà. Libertà di cosa? (…) Non mi prefiggo di distinguere né la storia né i duecento e più sensi di questo termine proteiforme, che sono stati registrati dagli storici delle idee. Mi propongo di esaminare non più di due di questi sensi. Ma si tratta di quelli centrali che hanno dietro di sé una gran parte della storia umana passata e, oserei dire, anche di quella futura”. Questi due sensi distinti del concetto di libertà rispondono a domande differenti. Il primo, che egli chiama libertà “negativa”, risponde alla domanda: “Qual è l’area entro cui si lascia o si dovrebbe lasciare al soggetto la libertà di fare o di essere ciò che è capace di fare o di essere, senza interferenze da parte di altre persone?”. Il secondo senso del concetto è invece quello della “libertà positiva” che si definisce nel tentativo di rispondere alla domanda: “Che cosa o chi è la fonte del controllo o dell’ingerenza che può indurre qualcuno a fare o ad essere questo invece che quello?”. Da una parte, dunque, la libertà negativa viene definita come assenza di interferenze esterne, mentre quella positiva come autodeterminazione e auto-dominio.

Tra fraintendimenti e mistificazioni

Questi due concetti sono diventati così influenti nella storia del pensiero filosofico e politico che, come sempre capita in questi casi, hanno subito distorsioni, patito fraintendimenti e sono stati oggetto di rappresentazioni caricaturali. Charles Taylor è uno dei più acuti interpreti a segnalare questo rischio nel suo saggio What’s Wrong with Negative Liberty (1979). La visione caricaturale della libertà negativa viene riferita ad Hobbes e a Bentham e considera la libertà esclusivamente come l’assenza di ostacoli fisici o giuridici. “Questa visione – scrive Taylor - non avrà nulla a che fare con altri ostacoli meno immediatamente evidenti alla libertà, ad esempio la mancanza di consapevolezza, o la falsa coscienza, o la repressione, o altri fattori interni di questo tipo (…) Chiamo questa visione – continua Taylor - caricaturale in quanto ritratto rappresentativo della visione negativa, perché esclude in via stragiudiziale uno dei motivi più potenti dietro la moderna difesa della libertà, vale a dire l’idea post-romantica che il significato dell’autorealizzazione è per ogni persona originale e può quindi essere elaborato solo in modo indipendente”.

Analogo rischio di mistificazione, e forse maggiore, si corre con il concetto positivo di libertà. Qui le cose sono più complesse e fanno riferimento a coloro che sfidano la concezione negativa di libertà, secondo Taylor, “sostenendo che la libertà risieda, almeno in parte, nel controllo collettivo sulla vita comune (…) Questa visione, nella sua forma caricaturalmente estrema, rifiuta di riconoscere come autentiche le libertà garantite in altre società. La distruzione delle ‘libertà borghesi’ non è una reale perdita della libertà, e la coercizione può essere giustificata in nome della libertà se è necessaria per dare vita alla società senza classi nella quale soltanto gli uomini sono propriamente liberi. Gli uomini possono, in breve, essere costretti a essere liberi”. Riconosciamo qui elementi estremizzati della critica di Rousseau e Marx, da una parte e dall’altra del liberalismo di John Stuart Mill e Immanuel Kant. “Una caricatura assurda se applicata a tutta la famiglia delle concezioni positive” - conclude Taylor. Si vede dunque come i due concetti possono essere e sono stati applicati a visioni concrete e concrete realizzazioni storiche anche molto differenti, diametralmente opposte, perfino. La libertà positiva va dal liberalismo sociale fino al libertarismo anarchico, e la libertà positiva può essere invocata per descrive il socialismo reale così, come ricorda sempre Taylor, per “la tradizione repubblicana [di Tocqueville e dello stesso Mill, per esempio], secondo la quale il governo di se stessi da parte degli uomini è visto come un’attività preziosa in sé, e non solo per ragioni strumentali”.

Il tentativo di chiarezza

Nella sua lezione inaugurale Berlin si assume il compito di fare un po’ di chiarezza sul punto. Rispetto alla libertà negativa la prima precisazione riguarda il fatto che non tutte le limitazioni al raggiungimento di un certo obiettivo possono essere classificate come privazioni della libertà. Posso essere impedito, infatti, nel raggiungimento di certi risultati, dalla mia stessa incapacità. Se però sono le circostanze esterne, per esempio l’eccessiva povertà o delle leggi pesantemente restrittive ad impedirmi l’accesso all’istruzione o la partecipazione politica, allora è certamente possibile affermare che la mia libertà negativa viene effettivamente limitata. Se l’impossibilità di studiare o di partecipare alla vita democratica fosse causata - sostiene Berlin - da qualche forma di malattia che mi frena in queste attività, pur di fronte agli stessi esiti negativi, non si potrebbe affermare propriamente che sono soggetto ad una limitazione della libertà. Questa si verifica solamente quando è lecito pensare che “altri essere umani hanno disposto le cose in maniera tale che mi sia impedito” di raggiungere certi obiettivi. È interessante notare che l’attribuzione di una certa libertà o della sua restrizione dipendono dall’accettazione di una data teoria economica e politica che spiega il funzionamento dei sistemi economici e politici e che individua le cause di determinati fenomeni – la mia esclusione, per esempio – risulta come conseguenza della volontà umana, del legislatore, dei governanti, dei capitalisti, etc. “Non ci infuriamo per la natura delle cose – diceva Rousseau, citato al riguardo dallo stesso Berlin – ma per la cattiva volontà”. La libertà negativa, dunque, trova la sua sintesi nell’assenza di interferenze da parte degli altri. Maggiore è l’area di non-interferenza, che circonda la mia esistenza, maggiore sarà la mia libertà. Le circostanze della vita in comune non consentono, naturalmente, di godere di un’area di non-interferenza illimitata, ma questa non potrà neanche essere ridotta in maniera arbitraria. I pensatori liberali come Locke, Mill o Tocqueville erano convinti che ci fosse uno spazio interno di libertà inviolabile, incomprimibile anche se tale compressione si rendesse necessaria per legge o in vista del raggiungimento di un bene collettivo più grande.

Non sempre prima necessità

Libertà principio irrinunciabile, dunque? Non proprio. Secondo Berlin, infatti, tale libertà non può essere sempre e comunque considerata prioritaria, neanche in una società giusta. Questa semplificazione, il mito della libertà prima di ogni cosa, è secondo il filosofo inglese, nient’altro che un esempio di “ciarlataneria politica”. “Offrire diritti politici e salvaguardia contro l’intervento dello stato a persone che si trovano [per esempio] seminude, analfabete, denutrite e malate è prendersi gioco della loro condizione: esse hanno bisogno di assistenza medica e di istruzione prima di essere in grado di capire o di usare una maggiore libertà. Che significa la libertà – continua Berlin – per coloro che non possono farne uso?”. Ci sono situazioni nelle quali “le scarpe valgono più delle opere di Shakespeare”. Non per tutti, dunque, la libertà personale è la prima necessità.

Le distinzioni

Berlin critica la posizione dei liberali classici anche da un’altra prospettiva. Questi, infatti, ed in particolare Mill, tendono a confondere e ad utilizzare in maniera sfumata due idee che dovrebbero, invece, essere tenute distinte: da una parte c’è il fatto che ogni tipo di coercizione, in quanto frustra dei desideri umani, deve essere considerata un male anche se attraverso la stessa coercizione si può, per esempio, prevenire un male maggiore. E’ l’idea secondo cui la non-interferenza, che rappresenta l’opposto della coercizione, è per sua natura stessa un bene, pur non rappresentando l’unico bene. La seconda idea è quella secondo cui la possibilità di sviluppare una personalità critica, originale, indipendente e anticonformista è un obiettivo da promuovere in generale. Non è certo, e questa è la critica di Berlin a Mill, che tale obiettivo sia raggiungibile solamente in una società libera. Al più si tratta di una questione empirica. Secondo Berlin, infatti, sebbene sia difficile che il pensiero critico e l’autoespressione possano emergere in presenza di un regimo dogmatico e oppressivo, è altrettanto possibile, così insegna la storia, che amore per la verità, integrità e anticonformismo possano svilupparsi nell’ambito di comunità rigidamente e severamente regolate. La libertà, quindi, non sempre è condizione necessaria per lo sviluppo di personalità compiute e realizzate.

Il secondo elemento di critica è forse più sorprendente. Per Berlin, paladino della libertà, questa non è incompatibile con l’esistenza di regimi politici autocratici. La libertà riguarda infatti “l’area del controllo, non la sua origine”. Così come i cittadini si vedono spesso limitati nelle loro libertà pur vivendo in regimi democratici a causa della soggezione nei confronti delle leggi, così un despota illuminato potrebbe concedere molte più libertà di quelle esistenti in democrazia, pur decidendo da solo come e quando farlo. I cittadini di questo regime dispotico potrebbero dunque essere più liberi di quelli che vivono nella democrazia anche se la loro libertà non dipende in nessun modo dalla loro azione ma solo da quella di un tiranno. “La risposta alla domanda ‘chi mi governa?’ è logicamente distinta dalla domanda ‘fino a che punto il governo interferisce con me?’”.

Il fragile nesso tra libertà e democrazia

E’ su questo punto che, in definitiva, si gioca la differenza tra il concetto di libertà negativa e quello di liberà positiva. E Berlin ne approfitta per sottolineare quanto è fragile, in fin dei conti, il nesso tra libertà e democrazia. Il desiderio di autogoverno e di autonomia personale, infatti, può andare di pari passo con la privazione delle libertà, mentre l’allargamento degli spazi di non-interferenza può capitare sia garantito meglio in un’autocrazia invece che in un sistema autogovernato. Una constatazione questa, che mette in crisi, contemporaneamente i difensori della libertà, i paladini della democrazia così come i riformatori sociali e i promotori dell’autorealizzazione personale. La differenza tra i due desideri, essere liberi “da” ed essere liberi “di”, non è affatto banale. E’ la stessa differenza - conclude Berlin “che ha portato, in ultima analisi, al grande conflitto di ideologie che domina il nostro tempo”. Quella tra la libertà negativa e ciò che i suoi difensori descrivono come “niente di più di uno specioso travestimento della brutale tirannide”.

Il pluralismo dei valori

Emerge qui, nella identificazione della radice del conflitto tra libertà negativa e libertà positiva uno dei punti più interessanti, forse il più originale, del pensiero di Berlin: quello del “pluralismo dei valori”. La convinzione dell’infondatezza dell’“antica fede [che] riposa sulla convinzione che tutti i valori positivi in cui gli uomini hanno creduto devono alla fine essere compatibili e forse implicarsi perfino l’un l’atro”. È da questo rifiuto del monismo, dalla possibilità che più cose buone siano in conflitto tra di loro, che più cose giuste siano tra loro inconciliabili, che esistono situazioni tragiche dove ogni scelta implica un errore, che scaturisce per Berlin la necessità, l’importanza e l’irrinunciabilità della libertà.  Dalla serena accettazione della nostra fallibilità, della nostra irriducibile limitatezza e dalla radicale incommensurabilità dei nostri valori emerge la necessità di proteggere strenuamente gli spazi di libertà, di non-interferenza, di scelta autonoma. Perché la possibilità di sbagliare è più facile da accettare se sappiamo di avere la libertà di cambiare idea.   

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