De Angelis: Io, dal film al libro «Comandante» | Corriere.it

De Angelis: Io, dal film al libro «Comandante»

diMelania Guida

Il percorso all’inverso del regista, che presenta oggi il volume a Palazzo Reale, uscito dopo la pellicola «Una storia che ci riporta all’eterno e attuale conflitto tra autorità e potere, tra leggi divine e umane»

Una storia di forza. Il racconto esemplare dove il disagio incontra la sofferenza, la spietatezza si scioglie in un gesto paradigmatico di altruismo. È la storia del «Comandante», il libro scritto a quattro mani da Edoardo De Angelis e Sandro Veronesi (Bompiani) che oggi pomeriggio, dalle 17.30 sarà al centro dell’incontro (insieme agli autori, interverranno il sindaco Gaetano Manfredi e il magistrato Alfredo Guardiano) organizzato dalla Fondazione Premio Napoli, a Palazzo Reale. «Il comandante», che è tratto dal film omonimo (protagonista Pierfrancesco Favino) nella realtà storica è Salvatore Todaro, ufficiale siciliano della Regia Marina italiana, che in piena Seconda guerra mondiale, disobbedisce agli ordini tedeschi e salva i nemici appena affondati col suo sommergibile. Una storia straordinaria per una trama avvincente. Raccontando e restituendo al nostro legittimo orgoglio uno degli episodi meno conosciuti dell’ultimo conflitto, la denuncia della barbarie di ogni conflitto in opposizione ai valori dell’umanità quando ci sono donne e uomini sono pronti ad affermarli, nonostante tutto.

Ma che cosa rappresenta in sintesi quell’episodio?
«Un significato profondo - spiega De Angelis, regista napoletano pluripremiato - l’esistenza di una legge non scritta, una legge più alta, che coincide con il principio di prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare».

Il grido altissimo dell’indignazione e della speranza?

«L’esercizio della forza, innanzitutto, che consente di prendere la mano del più debole. In fondo una storia che ciclicamente, da Antigone in poi, ci riporta all’eterno e sempre attuale conflitto tra autorità e potere, alla disputa tra leggi divine e leggi umane».

Lei è un napoletano che ha scelto di rimanere a vivere a Napoli. È stato tra i primi a rappresentare una certa immagine della città e della regione coronata da numerosi successi. Dai film «Mozzarella Stories» a «Perez», da «Indivisibili» all’ultima fortunata serie tv «La vita bugiarda degli adulti», il cui manifesto ha campeggiato per molto tempo nella piazza più famosa di New York. Che cosa rappresenta Napoli per lei?

«Napoli è tutto il mondo. Nella rappresentazione di Napoli c’è il totale godimento di una perfetta forma anarchica. Capace di generare un sentimento di empatia o al contrario di invadenza. Senza lasciare mai nessuno indifferente».

Come si pone di fronte a questa perfetta forma anarchica?

«Come un detonatore di storie. Ascolto le storie e i racconti della mia terra e le tramando con la mia voce».

Un aedo contemporaneo, un Omero dei nostri tempi?

«Proprio così. Tramandare è la mia missione. Con un po’ di sforzo, posso addirittura immaginarmi con una cetra».

Dalla sceneggiatura alla prosa. Dalla scrittura di un film è passato al romanzo. Un’inversione insolita, non crede?

«Prodigi delle storie. In fondo non è poi così difficile. Basta saper variare registro, stando attenti alle regole grammaticali. Fuor di metafora, va detto e sottolineato che mi presto al romanzo per gentile invito di Sandro Veronesi (Premio Strega, n.d.r.). In sostanza, poi, il libro dilata quello che un film compatta».

Ma lei si sente più scrittore o regista?

«Sono e resto un regista. Su questo non c’è dubbio». 

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22 marzo 2023 2023