Karima Moual: “Le donne islamiche non vivono nel recinto: lottano per la loro emancipazione” - HuffPost Italia

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Karima Moual: “Le donne islamiche non vivono nel recinto: lottano per la loro emancipazione”

Karima Moual: “Le donne islamiche non vivono nel recinto: lottano per la loro emancipazione”

Karima Moual, le immagini della festa di fine Ramadan nel quartiere Centocelle Roma, con una barriera fisica posta a dividere gli uomini dalle donne durante la preghiera, stanno facendo molto discutere. Cosa pensa del dibattito?
È sempre sconcertante notare come ormai sia diventato uno sport ossessivo, quello di setacciare ogni giorno alcuni episodi facilmente manipolabili per attaccare la religione islamica. È innegabile che quella barriera fosse brutta, esteticamente poco gradevole, ma è un’immagine presa dalla strada dove si è provato, male, a dividere lo spazio di preghiera tra uomini e donne, una divisione che esiste anche nelle moschee. Di certo più dignitosa, esteticamente parlando. Si può essere d’accordo o meno, ma questa è una realtà che è esistita anche nel cristianesimo ed esiste tutt’oggi nell’ortodossia ebraica. Questo per dire, e ricordare a quelli che gridano allo “scandalo” e alla “barbarie”, quanto in fondo le radici dei monoteismi si assomiglino. Poi c’è da aggiungere, che anche nell’Islam, su questo aspetto preciso, c’è chi lotta perché non ci sia nemmeno la divisione degli spazi, e tante altre battaglie, che guarda caso non trovano spazio per essere raccontate. Per questo, penso che chi parla di “recinto” non fa altro che promuove il pensiero radicale, per creare un nemico e spostare l’attenzione a danno di intere comunità che vengono trattate e descritte come un male da estirpare. Bisognerebbe, invece, puntare all’integrazione e alla comprensione profonda dell’altro. La presenza dei musulmani in Occidente sta crescendo costantemente: non più solo migranti, o figli delle migrazioni, ma soprattutto figli del Paese dove si è nati e cresciuti, cittadini di seconda e terza generazione. Siamo, dunque, in una fase in cui bisognerebbe fare qualcosa di concreto che tocchi la quotidianità delle persone coinvolte, invece che cedere alla marginalizzazione o alla demonizzazione. 

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Un giudizio calato dall’alto, dunque.
Va ricordato che la religione islamica fa parte delle religioni abramitiche, insieme al cristianesimo e all'ebraismo. Quindi, pur avendo le sue specificità, condivide radici comuni con le altre grandi religioni monoteistiche: questo dovrebbe contribuire a promuovere un dialogo costruttivo e rispettoso tra le diverse comunità. Ritengo che l'atteggiamento di superiorità o competizione tra fedi religiose sia non solo inappropriato, ma anche controproducente. Ma il punto più interessante e peculiare è che questa competizione viene avviata, più che da uomini di fede, da politici ideologicamente posizionati in una destra conservatrice che mal sopporta i cambiamenti in atto, che contemplano sempre più una presenza islamica nella nostra società. Questo continuo gridare al “pericolo per la nostra identità, tradizione e cultura”, che poi magari proviene da chi non mette nemmeno piede in Chiesa, è la politicizzazione delle differenze in chiave antagonista in un contesto, quello occidentale, dove effettivamente alcune specificità identitarie vanno sempre più contaminandosi con l’altro. Cosa che per i conservatori occidentali non è accettabile. Ma invece di approfondirne le motivazioni, si preferisce trovare il capro espiatorio nell’Islam. In sintesi, essere musulmani, legati alla propria cultura e alle proprie usanze, diventa una colpa perché dall’altra parte si è perso qualcosa. In questa chiave, ci sono sempre più uomini e donne, che ormai hanno avviato una battaglia politica anche dentro le istituzioni contro i musulmani utilizzando la paura e l’islamofobia. C’è da precisare che la Chiesa è lontana da questa battaglia, anzi, basti pensare come in questo Ramadan abbia aperto le porte ai musulmani in preghiera. A Monfalcone, mentre la sindaca leghista Anna Cisint chiudeva le moschee, negando alla comunità islamica di pregare, il parroco ha aperto la sua sala dell’oratorio. E vale anche per la polemica della scuola di Pioltello, dove i musulmani sono stati supportati dai cattolici. Siamo tutti figli di Dio, ha ricordato un religioso. 
 
C’entra anche la rappresentazione che i media occidentali danno dell’Islam?
Sì, purtroppo spesso i media occidentali tendono a focalizzarsi su storie negative o sensazionaliste riguardanti l'Islam, piuttosto che valorizzare le voci positive e costruttive all'interno delle comunità musulmane. Fateci caso: ogni volta che si parla di Islam, la prima immagine che viene scelta è la donna con il Niqab, il velo integrale, nella maggior parte degli articoli ma anche in tv. Eppure le donne con il velo integrale sono un’esigua minoranza, non solo nel nostro Paese. Perché si sceglie allora questa immagine? Negli anni, mi sono convinta che l’Islam non lo si vuole percepire come vicino, ma il più possibile lontano, oscuro e impenetrabile, come quella donna con il Niqab di cui si scorge a malapena lo sguardo. Tante volte l’ho vissuto sulla mia pelle: quella volta che non sono stata coinvolta in dibattiti televisivi sull’Islam perché non portavo il velo, o le tante volte in cui avevo posizioni reputate troppo moderate per una “musulmana”. È doloroso rendersi conto del fatto che non ci sono alleati. Per esempio, le donne che stanno lavorando attivamente per riformare il conservatorismo patriarcale islamico e promuovere l'uguaglianza di genere raramente ricevono l'attenzione che meritano.
 
Ci spieghi.
Innanzitutto voglio ricordare, in qualità di studiosa, che già nel settimo secolo l'Islam introdusse riforme pionieristiche in materia di diritti delle donne, riguardanti aspetti come matrimonio, divorzio ed eredità. Erano conquiste all'avanguardia rispetto a molte altre culture dell'epoca, compresa quella occidentale, e rappresentano un segno tangibile dell'uguaglianza promossa dalla religione islamica. Tuttavia, nel corso dei secoli, si è sviluppata un'interpretazione patriarcale dell'Islam, promossa da chi detiene il potere, che ha cercato di frenare l'emancipazione e la partecipazione femminili nello sviluppo delle società. È importante comprendere che questa interpretazione patriarcale non rappresenta l'essenza autentica dell'Islam, ma piuttosto una sua distorsione. Nonostante tutto, le donne musulmane non sono mai scomparse dalla scena e hanno continuato a far sentire la propria voce. Accade ancora oggi.
 
E qui torniamo all’opera portata avanti dalle donne musulmane progressiste...
Sì. In molti Paesi, le donne musulmane progressiste stanno lavorando per riformare le leggi e le pratiche culturali che le discriminano, promuovendo l'educazione femminile, la partecipazione politica e l'empowerment economico. Anche in Europa, nell’ultimo decennio, è emerso un numero significativo di moschee guidate da donne: accade in Germania, in Svizzera, in Danimarca, ma anche in Francia e nel Regno Unito. Inoltre, la narrazione maschilista dell’Islam omette di raccontare che oggi, in nove Stati a maggioranza musulmana, la guida dello Stato o del governo è affidata a delle donne: una conquista che perfino in Italia è tardata ad arrivare. Il femminismo islamico è un movimento che meriterebbe il sostegno e il riconoscimento da parte dell'Occidente, nell’ambito di un’alleanza tra culture e religioni basata sull’uguaglianza e sui diritti umani. 
 
“Colpiremo il nemico esterno e il nemico interno”, ha detto Ali Khamenei, Guida Suprema dell'Iran, chiamando alle armi pasdaran e sostenitori del regime su un duplice fronte: da una parte la rappresaglia contro Israele, dall’altra l’offensiva contro l’opposizione delle donne che, da quasi due anni, sfidano la polizia religiosa. Come interpreta quello che sta accadendo?
Non bisogna cadere nel gioco di Khamenei, che mescola i due argomenti per fini politici. La battaglia delle donne iraniane per i propri diritti è sacrosanta, merita sostegno e ammirazione. La resistenza femminile rappresenta una sfida al potere oppressivo che ottimizza la politicizzazione dell'Islam nella lettura più patriarcale, che si è trasformato in regime repressivo, distante dalla vera essenza della fede islamica. Io credo che la sfida delle società contemporanee stia nel saper bilanciare lo spazio della religione rispetto alla politica e allo Stato, perché saremo sempre più  chiamati a una convivenza multiculturale e multireligiosa. L’estremismo, che si manifesta anche in forma di messianismo, è pericoloso ovunque trovi spazio, in ogni parte del mondo. Come si è avuta la capacità di criticare e contrastare l’estremismo islamista, bisogna avere anche la lucidità di capire, per esempio, il pericolo dell’estremismo di matrice ebraica dei cosiddetti “messianici”. Gli estremismi si nutrono dallo stesso bacino, portano a considerarsi più giusti, migliori, superiori all’altro da sé, ma di fatto sono contro il futuro della convivenza con pari diritti e dignità.                                                                                                                         
Oggi, intervistata dal Corriere della Sera, Azar Nafisi, autrice di Leggere Lolita a Teheran, ha detto che  “per cambiare il sistema dobbiamo contare solo sulle nostre forze. Non sarà un paese straniero ad affossare la dittatura. Ma le democrazie occidentali possono aiutarci, promuovendo le lotte delle ragazze e dei ragazzi d'Iran". Che ne pensa?
Qui torniamo alla necessità di un’alleanza basata sulla comprensione reciproca, sull'accettazione della diversità e sulla condivisione di alcuni valori universali per costruire una società inclusiva e pluralista. Troppo spesso, invece, si tende a valorizzare e sostenere chi si allinea a una narrazione di parte o promuove la "conversione" o l’assoluta assimilazione con annesso rinnegamento della propria identità a favore dei valori occidentali. Senza voler generalizzare, ma sintetizzando in una battuta: un buon musulmano, per entrare nelle grazie dell’occidentale medio e ricevere una bella pacca sulla spalla, è preferibile che non sia più musulmano. Basti pensare all’approccio che prevale in molti Paesi europei.
 
Ovvero?
L'Islam viene visto come un "problema" da gestire o, peggio ancora, come una presenza temporanea destinata a scomparire. Alle comunità musulmane manca una cornice, le persone sono allo sbando. Ci si stupisce se nascono moschee nei garage ma finché la politica continuerà ad assumere un atteggiamento solo securitario, piuttosto che promuovere una reale integrazione, non si andrà lontano. Finché non penseremo ai giovani di seconda e terza generazione come a italiani di religione musulmana non andremo avanti. Ghali è tra i rapper più seguiti, non solo tra quelli di seconda generazione: sul suo profilo la foto del pellegrinaggio alla Mecca. Riconoscere la specificità islamica come parte della società occidentale oggi è l’unica iniziativa politica  – con azioni concrete annesse – da intraprendere per assicurarsi un futuro promettente, ricco e pacificato, senza crepe e rancori.

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