IL GIOCO DI RIPLEY - Spietati - Recensioni e Novità sui Film
Thriller

IL GIOCO DI RIPLEY

Titolo OriginaleRipley's Game
NazioneItalia / Gran Bretagna
Anno Produzione2002
Genere
Durata110'
Tratto dadall'omonimo romanzo di Patricia Highsmith
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Tom Ripley, ieri criminale oggi mercante d’arte ritiratosi in una villa italiana, per vendicarsi dell’offesa subita da un corniciaio, lo trascina in una spirale di violenza e omicidi.

RECENSIONI

Sciatta prova della Cavani che trae il suo film dal romanzo della Highsmith che ispirò il bel film di Wenders L'AMICO AMERICANO. Non c'è molto da dire su un'opera che ha uno standard visivo alla ispettore Derrick, che vede quello che sta diventando un vero caso umano (non più "essere" John Malcovich ma semplicemente farlo) cercare di dare spessore alla sua figurina di dandy crudele e manipolatore. Qualche cartolina ingiallita, un po' di scorci della splendida villa palladiana nella quale si ambienta gran parte della vicenda, una sequenza finale (quella dell'assalto alla magione) che è puro polizottesco di terz'ordine, un motivo morriconiano inutilmente decorativo. Evidentemente il rapporto tra carnefice e vittima di cui la Cavani parlava a proposito di questo suo RIPLEY'S GAME è quello tra il suo film e l'improvvido spettatore che se lo ritroverà tra capo e collo. Vero e innegabile prodotto di serie B che lotta per la retrocessione.

Se il commissario Rex in persona, in carne ossa e pelo, dirigesse un film, questo potrebbe essere proprio questo "Ripley's Game", secondo adattamento dall'omonimo romanzo di Patricia Highsmith dopo "L'Amico Americano" di Wenders (1978). Il fascino della morale amorale del protagonista è indubbio, parzialmente reso dal decoroso lavoro di Minghella con Matt Damon eponimo eroe, affidare a Malkovich la parte rasenta l'ovvietà della produzione "colta" europea: dalla prima apparizione, in apertura, ripreso dal basso, di spalle con le mani giunte dietro la schiena, con lungo cappotto, Malcovich è impunemente la fotocopia di Malcovich, ormai impantanato nel rimacinare sempre la stessa parte/espressione/tonodivoce (sempre sussurri, che palle). Ci si può anche fare il callo, si ripensi al "Tempo ritrovato" di Ruiz, ma quando questo diviene solo un granello di polvere nell'immenso cumulo di sporcizia che Liliana Cavani cerca di smeciare almeno in Italia, inevitabilmente, si aprono le cataratte della coprolalia. Ville palladiane riprese con prospettive flaccide (e temiamo anche obiettivi inadeguati), fotografia degna di uno spot di un ristorante per matrimoni (pardon) su una rete privata bulgara, attori che più che diretti sono mandati allo sbando a pascolare davanti alla machina da presa, un sonoro che (mio dio! sentite una portiera d'automobile che si chiude che rumorino flatulenziale produce!) fa pietà, infine, anzi, dopo 42 (quarantadue) soffertissimi minuti, allora, proprio allora si gira sui tacchi verso l'oblio. Pietoso. Vergognoso.