«Il fabbricante di lacrime», il film italiano è il più visto al mondo su Netflix tra quelli non in lingua inglese | Corriere.it

«Il fabbricante di lacrime», il film italiano è il più visto al mondo su Netflix tra quelli non in lingua inglese

diChiara Maffioletti

Il film prodotto da Iginio Straffi è diventato un fenomeno come il libro da cui è ispirato: «La mia scommessa è puntare sulla creatività italiana»

E’ stato un caso editoriale, diventando il libro più letto del 2022 in Italia. Sembrava già abbastanza clamoroso così, ma ora Il fabbricante di lacrime è partito alla conquista del mondo, diventando il film non in lingua inglese più visto in assoluto su Netflix. Così come il romanzo, scritto dalla italianissima Erin Doom — l’autrice si è presentata inizialmente solo con questo pseudonimo, per poi farsi conoscere come Matilde, mantenendo ignoto il cognome —, anche l’adattamento diretto da Alessandro Genovesi e prodotto da Iginio Straffi e Alessandro Usai per Colorado Film è andato in vetta alle classifiche di quasi tutti i 190 Paesi, diventando globalmente il titolo più visto. Per Straffi, non solo è una soddisfazione ma una scommessa vinta: «Il mio credo, direi anzi la mia magnifica ossessione, è realizzare prodotti che dall’Italia possano arrivare all’attenzione di tutto il mondo. Con le storie giuste, realizzate con la cura necessaria, allora si può aspirare a produrre in Italia contenuti che funzionino anche all’estero». 

Un po’ Romeo e Giulietta, un po’ «Twilight» con più di un pizzico dell’estetica della serie di Tim Burton Mercoledì. L’amore tormentato tra i due giovani protagonisti de Il fabbricante di lacrime ha tanti riferimenti, anche a livello visivo: «Ho voluto fortemente i diritti del libro — riprende Straffi —. Una volta acquisiti ci siamo detti se fosse il caso di farne da subito un film internazionale e quindi in lingua inglese, magari ambientato in America... ma se avessimo deciso così, non avrei dimostrato a pieno la mia teoria, così abbiamo optato per recitare in italiano». La scelta, di conseguenza, è stata di ambientare il film «in un “non luogo” e abbiamo voluto nel cast attori sconosciuti (ad eccezione di Biondo: il cantante è il tormentato co-protagonista) che sono arrivati però in breve tempo al top di tutto il mondo. Questo è riuscito a fare la creatività italiana». La cura del dettaglio, secondo il produttore, ha fatto la differenza: «La mia impostazione è quella che arriva dall’animazione, dove l’attenzione ai particolari è tutto. Per il film ho realizzato io stesso degli storyboard, tutto per costruire un prodotto che avesse in partenza un appel globale». 

Prima del debutto, ammette, «mi tremavano un po’ le gambe. Avevo chiesto fiducia sia a Netflix che a Salani, l’editore. Direi che in pochi giorni siamo andati già oltre le aspettative e le promesse (tanto che anche il libro ha già fatto registrare un nuovo aumento delle vendite)». Fondamentale è stato capire presto che Il fabbricante di lacrime era un titolo su cui scommettere: «Abbiamo un team editoriale molto attento, che ha intercettato subito il fenomeno. Questo è stato il primo passaggio indispensabile. Il rapporto con l’autrice è stato ottimo fin dall’inizio: sono un autore anche io, a mia volta, e credo che questo sia stato un vantaggio per entrambi». Straffi sa cosa vuol dire vedere altri che adattano una propria creatura: «Nella trasposizione delle Winx di qualche anno fa (sempre di Netflix) ero dovuto scendere a compromessi con gli sceneggiatori. Chi meglio di me può capire il disagio di un autore nel vedersi rappresentare da altri? Io ho cercato di limitare al minimo ogni manipolazione, rispettando il libro persino nei dialoghi: c’è chi li ha trovati poco naturali, ma la mia volontà era proprio restare il più possibile fedele al libro».

Libro che ora, con ogni probabilità, continuerà la sua corsa anche oltre i nostri confini: «Mi sento di tirare un sospiro di sollievo... e ora mi aspetto da Salani almeno una buona bottiglia. Scherzi a parte, questo successo è senza dubbio corroborante per tutti». Un successo che si basa su un amore impossibile tra due ragazzi con esistenze complicate. Il tormento piace molto alle giovani generazioni. «Sì, ma è sempre piaciuto, solo che prima lo cercavamo in Baudelaire. I ragazzi sono da sempre presi da un mondo che parla di decadenza, di malinconia, di amori perduti. Avevo identificato tutti questi elementi nel libro e volevo metterli in scena. La soddisfazione è poi vedere realizzato il progetto in tempi relativamente brevi: con l’animazione bisogna attendere come minimo due anni e mezzo». Come mai si è scelto di realizzare un film e non una serie? «Una cosa non esclude l’altra: le oltre 600 pagine del romanzo si prestano ad essere approfondite, ci sono alcune sottotrame che abbiamo appena sfiorato ma che meritavano di più. Quindi chi lo sa, ci si potrebbe lavorare molto bene». © RIPRODUZIONE RISERVATA

19 aprile 2024