Il Discorso del Re Recensione

Il discorso del Re - la recensione del film

26 gennaio 2011
4 di 5
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Impeccabile, elegante, delicatamente ironico, a tratti malinconico, può fare affidamento su un impianto narrativo solido, su un terzetto di attori che padroneggiano perfettamente il proprio mestiere e su un protagonista

Il discorso del Re - la recensione del film

Il discorso del Re - la recensione del film

Con 14 nomination ai Bafta e 12 candidature agli Academy Awards (ne ha poi vinti quattro, n.d.R.), Il discorso del Re è una perfetta macchina da Oscar. Impeccabile, elegante, delicatamente ironico, a tratti malinconico, può fare affidamento su un impianto narrativo solido, su un terzetto di attori che padroneggiano perfettamente il proprio mestiere e su un protagonista – il re balbuziente Giorgio VI – costretto dagli eventi a combattere una durissima battaglia contro un handicap.
Queste caratteristiche, insieme al ritmo dolce del racconto e all'appeal che sempre possiedono le alterne vicende della monarchia britannica di ieri e di oggi, lo rendono rassicurante come solo i film in costume di provenienza britannica riescono ad essere.

Ora, il termine rassicurante non ha necessariamente una connotazione negativa, almeno per quanti non sentono costantemente il bisogno di un cinema disturbante. Nel caso dell'opera seconda di Tom Hooper non va confuso, per esempio, con due aggettivi che sempre più spesso definiscono i cosiddetti acchiappa-premi, e cioè ricattatorio e consolatorio. Il discorso del Re non è ricattatorio perchè non indugia mai sul dramma personale del povero sovrano per caso né rende il personaggio un santo. Al contrario, ne mostra l'irritabilità mista ad arroganza, lo snobismo e l'iniziale arrendevolezza. Pur regalando, inoltre, allo spettatore delle scene di forte impatto emotivo, conserva in ogni inquadratura e battuta una misura e un rigore che sono la conseguenza di un grande lavoro di regia e di sceneggiatura.

Ancor meno potremmo parlare di un film consolatorio, visto che la vicenda si svolge in uno dei momenti più difficili della storia d'Europa: un momento in cui la propaganda di Hitler minacciava follia collettiva e distruzione, e la guerra era imminente. Una zona temporale di precarietà, insomma, in cui la conservatrice e millenaria corona inglese si trovò per la prima volta di fronte alla pericolosa coincidenza fra pubblico e privato. Colpa della diffusione della radio, che rese ogni cosa politica e trasformò la politica in uno show.
In questo senso il dramma di Giorgio VI° fu proprio l'impossibilità di condurre questo show e di stare al passo con una modernità espressa anche dalla caotica e licenziosa esistenza di quell'Edoardo VIII che rinunciò al trono per amore di un'americana pluridivorziata.

Simili riflessioni rendono il film interessante e sottile, anche se il suo biglietto di prima classe per la celebrità è senza dubbio Colin Firth, attore di robusta formazione teatrale rimasto in sordina per molti anni e finalmente e prepotentemente uscito allo scoperto. E' sorpendente il lavoro che ha fatto sul personaggio: con la voce, diversa da quella abitualmente usata, e con il corpo, goffo, ingobbito, timido.
E cosa dire di Geoffrey Rush e della sua pefetta miscela fra sobrietà, istrionismo e tenerezza? Un ultima nota di merito va alla regia di Tom Hooper, che con la sua macchina da presa si incolla al protagonista, seguendolo per stanze e corridoi, e schiacciandolo in spazi angusti o accerchiandolo grazie a obiettivi appena deformanti.

Un'ultima notazione, anzi un consiglio: Il discorso del Re va visto in originale, a costo di aspettare che arrivi in quell'unica sala della città in cui ancora si privilegia la lingua di chi recita, tanto più se si tratta della lingua di Shakespeare.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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