Le notizie sul regionalismo differenziato sono tre:

1. Il ministro Roberto Calderoli ha presentato ufficialmente una bozza di proposta sul regionalismo differenziato;

2. L’intenzione del governo Meloni è negoziare la proposta con la Lega per avere in cambio l’appoggio sulla partita del presidenzialismo;

3. L’ordine di scuderia è usando tutta la malafede possibile, fare ogni cosa, per far digerire soprattutto alle regioni del sud un rospo del tutto indigeribile che è quello di accettare la diseguaglianza non come eccezione, ma come regola. Cioè di accettare la morte dell’art 32.

Bene quindi ha fatto il Movimento 5 Stelle (onorevole Caso) ad esprimere in aula alla Camera, durante il question time di ieri, tutta la sua circospezione, tutta la sua diffidenza, ma soprattutto tutta la riprovazione del movimento che rappresenta. A me pare che oggi il M5s sul regionalismo differenziato sia l’unica forza politica credibile. Il Pd alla vigilia di un congresso costituente candida come segretario del partito Stefano Bonaccini, colui che proprio sulla proposta Calderoli ha dichiarato il suo appoggio politico.

L’end point finale di questa proposta Calderoli, anche se non esplicitato, è uno solo: differenziare il diritto alla salute in proporzione al reddito prodotto localmente in una regione. L’end point finale implicito è quello che si chiama federalismo fiscale. Si tratta di stabilire una proporzionalità diretta fra le imposte riscosse da un certo ente territoriale (comuni, province, città metropolitane e regioni) e le imposte effettivamente utilizzate dall’ente stesso. Cioè è il recupero di quello che si chiama “residuo fiscale”.

Tanto per capirci di cosa stiamo parlando, si sappia che la Cgia di Mestre ha quantificato nel 2015 di oltre 100 miliardi di euro il residuo fiscale delle regioni del nord Italia. Quindi lo scopo politico di fondo della bozza Calderoli, ripeto scopo non esplicitato ma fortemente sottointeso, è controriformare l’attuale sistema fiscale che è alla base del finanziamento del servizio sanitario pubblico (dl 18 febbraio 2000, n. 56 Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’articolo 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133.) per permettere alle regioni ricche di autofinanziarsi la propria sanità regionale e con ciò guadagnandosi il diritto di “secedere” dai vincoli di solidarietà di un sistema nazionale.

La proposta di Calderoli in sé è quasi apparentemente inoffensiva:

1. Demanda la questione fiscale ad accordi tra le regioni e il governo centrale;

2. Non chiarisce le modalità in base alle quali il nuovo regionalismo sarà finanziato;

3. Afferma che “fino a quando” non saranno definiti i Lep (livelli essenziali di prestazioni) titolo articolo 117 secondo comma, lettera m, il sistema di finanziamento resterà quello vecchio che si basa sulla spesa storica.

“Fino a quando” sembra prefigurare una prima fase e una seconda fase. Nella prima fase non cambia niente; nella seconda fase, cosa dice la proposta Calderoli? Nulla. Si può fare una controriforma del genere al buio?

Ma vediamo di fare un po’ di luce.

Il compito della definizione dei Lep spetta esclusivamente allo Stato, ma la loro realizzazione compete alle regioni. I Lep si riferiscono in generale ai diritti, ma devono essere tradotti in prestazioni. Essi vanno tradotti prima in risorse, cioè quelle che servono per realizzare i servizi. Di questo, la proposta Calderoli non parla perché i Lep potranno avere integrale attuazione solo (articolo 119 della Costituzione) quando si mette in atto il cosiddetto “federalismo fiscale”. Eccola la fregatura per avere un regionalismo differenziato: bisogna prima cambiare l’attuale sistema fiscale e solo dopo sarà possibile definire i Lep e quindi sancire le reali prestazioni da dare ai cittadini?

Siccome le prestazioni saranno proporzionali al reddito prodotto nella propria regione e siccome i redditi regionali sono diversi da regione a regione, il diritto alla salute sarà diverso per ogni regione. Quindi non avremo più un Sistema sanitario nazionale (Ssn), ma avremo una costellazione di servizi regionali autarchici. Come è noto, la logica con la quale si muove il federalismo fiscale e la proposta di regionalismo differenziato non è quella solidaristica dell’attuale Ssn, quindi non è la logica dell’equità (tutti cittadini sono uguali davanti alla malattia), ma della sussidiarietà, in ragione della quale la regione si può sostituire alla Stato, in particolare se lo stato non è in grado di compiere gli atti di sua competenza.

Ma se gli atti di competenza sono i Lea e lo Stato non è in grado di garantirli, è naturale che in un regime di federalismo fiscale sarà la regione che deciderà effettivamente e concretamente i Lep. Quindi, tutti i cittadini di una regione saranno uguali davanti alla malattia, ma i cittadini delle altre regioni no. Ogni regione sarà autarchica, non autonoma e deciderà non più in base ai diritti, cioè all’art. 32, ma in base al proprio reddito.

In futuro la solidarietà diventerà carità, quella concessa con un non meglio definito fondo di perequazione. La malafede è che tutto questo è sussunto, ma non esplicitato. Può un governo uccidere i diritti costituzionali senza un serio confronto con il parlamento? Può davanti alla malattia un governo decidere di curare i propri cittadini rinunciando a regole e a criteri di universalità e di solidarietà?

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