Il Diavolo Veste Prada: perché Miranda Priestley è un personaggio unico - Movieplayer.it

Il Diavolo Veste Prada: perché Miranda Priestley è un personaggio unico

A quindici anni dal debutto in sala, il personaggio interpretato da Meryl Streep rimane uno dei villain più attuali ed iconici, profondamente connesso alla società lavorativa moderna.

Meryl Streep e David Frankel ne Il diavolo veste Prada
Meryl Streep e David Frankel ne Il diavolo veste Prada

Il Diavolo Veste Prada è considerato universalmente uno dei film più iconici di sempre sulla moda. Il suo mix di ironia, cinismo, dramma sentimentale, atmosfera a metà tra il grottesco e il realista, hanno conquistato il pubblico e ne hanno fatto un cult amatissimo. Gran parte del merito va a lei, a Meryl Streep, capace con la sua Miranda Priestley di creare un personaggio tanto affascinante quanto insopportabile, irritante e odioso. Eppure, a guardare con maggior attenzione, non è difficile vedere nell'opera di David Frenkel, nella storia della trasformazione della giovane ed ingenua Andrea, qualcosa di profondo, di sinistramente familiare. La realtà è che quel film e soprattutto il personaggio di Miranda ci dicono moltissimo del mondo del lavoro dei nostri giorni, caratterizzato da classismo, sessismo, ferocia, mancanza di etica e del più basilare rispetto.

La distruzione sistematica di una personalità

Anne Hathaway e Meryl Streep ne Il Diavolo veste Prada
Anne Hathaway e Meryl Streep ne Il Diavolo veste Prada

Il diavolo veste Prada ha come protagonista la giovane Andrea Sachs (Anne Hathaway), che coltiva il sogno di fare la giornalista, motivo per il quale decide di farsi avanti per il ruolo di seconda assistente per Miranda Priestley (Meryl Streep), la direttrice dell'importante ed influente rivista di moda Runaway. Appena arrivata, si rende conto che nell'ufficio regna un clima di autentico terrore verso Miranda, e che tutti lì dentro vivono assolutamente in funzione di questa donna potente, feroce e fredda come il ghiaccio. Vale per l'ultima arrivata, come per la prima assistente Emily (Emily Blunt) o il braccio destro di Miranda, il sardonico Nigel (Stanley Tucci). Il Diavolo Veste Prada colpisce ancora oggi per la straordinaria sagacia con cui sa raccontare un ambiente tossico, superficiale, classista, dove vige un culto della personalità a dir poco sfacciato. Andrea viene aggredita dal primo secondo, ogni aspetto della sua personalità è non tanto passato al setaccio, ma distrutto, piallato, demolito. Frasi sibilline, un body shaming imperante, bullismo, critiche che dal lavorativo vanno sul personale con la fluidità di un colpo di spada. Di fronte a questo arsenale, il paragone con ciò che faceva il Sergente Hartman in Full Metal Jacket è tutto tranne che improprio. Perché dal punto di vista semiotico ciò che subisce Andrea non è diverso da ciò che nel film di Kubrick subivano Joker, Cowboy, Palla di Lardo e tutti gli altri nella base di Parris Island. Come loro Andrea è chiamata ad azzerare la propria identità e costruirne un'altra, ad omologarsi nel fisico, nel vestiario, nel frasario, ad abbracciare un nuovo credo, pena non solo le rappresaglie del Sergente Miranda, ma anche l'ostilità e l'isolamento degli altri. Del resto, Emily fin da subito le fa capire che ogni sua azione considerata errata, ha conseguenze su tutti, così come ogni fallimento di Palla di Lardo significava sudore e fatica in più per i suoi commilitoni.

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L'immagine del capitalismo 2.0

Anne Hathaway e Stanley Tucci ne Il diavolo veste Prada
Anne Hathaway e Stanley Tucci ne Il diavolo veste Prada

Messa di fronte ad un fuoco di sbarramento così intenso, ad un ambiente così diverso da lei, quello dell'alta moda che celebra se stessa, Andrea ha solo due possibilità: mollare oppure adattarsi. Sceglie la seconda, ed il perché è palese: tra quelle mura, vicino a Miranda, si sente ad ogni modo parte di un processo creativo, intuisce che quella donna (di cui ignorava l'esistenza) è depositaria di un potere che la atterrisce ma assieme la attrae, e si palesa come premio non irraggiungibile. Miranda verso Andrea opera con noncuranza una manipolazione sistematica, attraverso un regno del terrore, un addossarle responsabilità apparentemente minime, ma che diventano nella sua narrazione vere e proprie tragedie greche, questioni di vita o di morte. La stessa cosa in fondo succede nella realtà lavorativa di tante persone. Come loro Andrea si troverà a dover seguire la vita di Miranda passo per passo, a sbrogliarne non tanto gli impegni professionali, ma addirittura le questioni più private e personali, sostituendosi a lei nei compiti più assurdi. Ciò che fa Miranda (ciò che in realtà fa con tutti) è quello di farla diventare un'estensione del suo corpo, della sua volontà, della sua mente. Andrea, decisa a non arrendersi, infine cambia la sua dieta, il suo modo di vestirsi, i suoi stessi ideali paiono scomparire di fronte a questo o quell'incarico, all'opportunità di seguire Miranda, di compiacerla, di essere ciò che lei vuole che sia. In tutto questo, non vediamo altro che la declinazione più tossica del concetto moderno di leadership capitalista, di un culto della personalità alimentato da uno storytelling invasivo, alla base del mondo occupazionale moderno, non solamente quello della moda. Da Steve Jobs a Bill Gates, da Bezos a Musk, il mondo oggi crea ambienti che bene o male, con sfumature diverse, seguono lo stile da sovrano assolutista che ha in Miranda una versione più "divertente" ma non per questo meno inquietante.

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Lo specchio di un mondo senza empatia

Meryl Streep e lo stilista Valentino in una scena de Il diavolo veste Prada
Meryl Streep e lo stilista Valentino in una scena de Il diavolo veste Prada

Andrea in breve tempo cambia ritmo di vita, visione del mondo, abitudini. Rompe con il fidanzato Nate (Adrian Grenier) che di base commette il "crimine" di sentirsi trascurato, di non essere un affascinante alpha male del suo nuovo ambiente come Christian Thompson (Simon Baker). Miranda alterna critiche ad apprezzamenti verso il suo operato, la spinge ad immergersi in quel mondo in cui bisogna essere machiavellici per sopravvivere. Non cessa di affascinarla, anche perché le apre gli occhi, la introduce in un ambiente fatto di perfezionismo e difficoltà, le rivela la mediocrità dietro la sua esistenza falso-alternativa, la illumina con la sua sapienza e lucidità su come le apparenze che disprezza, siano un elemento chiave del successo.
Per Miranda la moda è l'habitat e ne conosce tutta la fauna e le regole, infatti si rivela incredibilmente spietata e abile nel disfarsi di minacce possibili o reali. Sagace nel giudicare le persone, le basta pochissimo per capire che Andrea ha determinazione, adattabilità e talento per essere ciò che le serve, anche più di quanto lei stessa immagini. Quello che non ha previsto, è che quella ragazza alla fine si conceda un momento per osservarsi dall'alto. Il modo in cui ha deciso di scavalcare Emily, l'aver accettato di modificarsi in virtù di un mondo sessista e materialista, dominato dall'ingratitudine, la portano a capire finalmente chi vuole essere. In quel momento, Miranda si scopre sorpresa ad ammirarla nel profondo, perché ha sacrificato un futuro sicuro per essere chi vuole essere. Naturalmente non lo ammetterà mai apertamente, ma renderà comunque onore alla coerenza della protagonista. Il problema, il vero problema, è che nel mondo reale, quello in cui viviamo, le varie Miranda avrebbero reagito con disprezzo e fatto terra bruciata attorno ad Andrea. Ma tutto ciò non cambia il fatto che Miranda sia un villain terrificante, regina di un mondo del lavoro, che è una giungla dominata da una violenza estrema, nascosta dietro sogni tossici e arrivismo.

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