Erano ragazzi in barca, recensione del film di George Clooney
martedì, Aprile 30, 2024
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Erano ragazzi in barca, recensione del film di George Clooney

Interpretato da Joel Edgerton e Callum Turner, Erano ragazzi in barca è disponibile su Prime Video.

Lo sport non manca di fornire storie di riscatto, di perdenti nella vita e vincitori di medaglie d’oro, di personalità o di squadre eccentriche o dedite al sacrificio. O di trasformarsi in una metafora di vita, come può essere l’atteso Challengers di Luca Guadagnino. Il dramma sportivo, insomma, si presta ad essere facilmente trasposto sul grande schermo, raccontando anche quelle discipline spesso considerate “inferiori” per ragioni economiche e visibilità. Proprio come il canottaggio protagonista di Erano ragazzi in barca, film diretto da George Clooney (The Midnight Sky, Il bar delle grandi speranze) sugli otto canottieri che, al culmine della Grande Depressione, arrivarono da sfavoriti a qualificarsi e gareggiare alle Olimpiadi estive di Berlino nel 1936.

Una storia troppo lineare

Una biografia sportiva di sottovalutati che si inserisce bene nella parziale poetica di Clooney come regista, attento a cercare personaggi e dinamiche underdogs con cui mostrare un lato molto americano di uomini emarginati o nascosti e il loro desiderio di rivalsa. Clooney, il quale si era già cimentato con il genere ne In amore niente regole, tuttavia fa poco da un punto di vista visivo per alzare il ritmo dei colpi rispetto a quelli dei protagonisti dell’imbarcazione. L’impostazione di regia, equilibrata e con poche intuizioni valide nei momenti più agonistici, si adagia ad un racconto con poco ritmo, scritto da Mark L. Smith (The Revenant) nell’adattamento del romanzo di Daniel James Brown. La tensione sportiva, infatti, è abbastanza lineare, dal momento che le premesse narrative sono affrontate abbastanza superficialmente.

Difficile stabilire se il materiale di partenza fosse stato troppo scarno per ricavarne qualcosa di più, o se è stata una scelta consapevole quella di sorvolare sulle motivazioni dei personaggi principali per dare il via alla narrazione. In film come Il maledetto United, Invictus o il recente Tatami, la pluralità dei punti di vista arricchisce il racconto. Nel caso di Erano ragazzi in barca ci sono quello del coach Al Ulbrickson, interpretato da un flemmatico Joel Edgerton (Tredici vite), e quello dei canottieri, rappresentato da Joe Rantz, il cui ruolo è affidato ad uno schivo Callum Turner (Masters of the Air). Se di quest’ultimo ci viene presentata perlomeno la condizione di difficoltà per cui intraprende l’esperienza sportiva che lo porterà alla storia, la sceneggiatura ha mancato di dare più profondità al background del resto della squadra e della sete di vittoria dell’allenatore.

Una regia che avanza per inerzia

La prima ora di film dunque è eccessivamente introduttiva, senza aggiungere alcuni conflitti più forti tra i personaggi in scena e anzi riciclando alcuni cliché abbastanza stantii, quali la povertà e la solitudine del protagonista. L’altra metà, invece, scorre molto bene come la canoa sull’acqua dei canottieri, rispettando però in modo classico la creazione della tensione del secondo atto e lo scioglimento della stessa nel terzo. Una linearità narrativa, come si scriveva in precedenza, che fa il suo dovere: portare lo spettatore a tagliare il traguardo e rivivere la grande epopea di questi giovani sprovveduti. Il tutto però con molta noia e poca voglia.

La regia, quindi, rimane fin troppo equidistante da ogni scelta più coraggiosa, troppo diversa tra le scene più lente e quelle più veloci. Grazie anche ad una fotografia dallo stile anni Ottanta – curata da Martin Ruhe –, di luci morbide ed espressive, Clooney passa da lunghe pause statiche e camera ad una distanza “normale” a sequenze dinamiche ricche di dettagli ravvicinati di remi e visi e le carrellate a pelo d’acqua. Scelte, insomma, che funzionano a tratti rispetto alle vicende raccontate, come le sensazioni di velocità e pressione nelle sequenze di gara.

Il punto più problematico, insomma, di Erano ragazzi in barca non è tanto il percorso narrativo troppo piatto e con poco mordente, quanto la scelta di non aver voluto osare di più con qualche suggestione visiva. La messa in scena e il montaggio serrato delle inquadrature di allenamenti e competizioni sono le parti che riescono a tenere in piedi le due ore di visione, mentre il confronto tra personaggi e le dinamiche di squadra va avanti per inerzia fino al finale troppo positivo.

Erano ragazzi in barca, a metà tra il dramma storico e quello sportivo, è un tentativo dunque di presentare una storia interessante senza però un vero e proprio conflitto in grado di appassionare lo spettatore. Oltre al retorico tema degli americani contro i nazisti prima della Seconda Guerra Mondiale, ci sono anche sottotemi più validi e sui quali sceneggiatura e regia avrebbero forse potuto insistere di più, come la metafora tra casa e canoa, squadra e famiglia.

Guarda il trailer ufficiale di Erano ragazzi in barca

GIUDIZIO COMPLESSIVO

George Clooney, con Erano ragazzi in barca, firma una nuova opera sportiva ambientata nel mondo del canottaggio e della Grande Depressione alla fine degli anni Venti, con una storia dal buon potenziale ma raccontata a livello di sceneggiatura e di regia in modo molto classico e senza reali colpi di scena o di espressività visiva.

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