'Decameron', la commedia umana della vita

'Decameron', la commedia umana della vita

Il capolavoro di Giovanni Boccaccio è la rappresentazione di una società in profonda trasformazione, come quella italiana del trecento: gli eroi non sono idealizzati ma umili, e per la prima volta parlano la lingua della gente comune

Nel corso del 1346 un’epidemia di peste era scoppiata in Asia; nel 1347 il contagio arrivò in Europa, forse portato da navi genovesi che facevano la spola tra mar Nero e Mediterraneo, cariche di grano proveniente dalla Crimea. La malattia si diffuse nel porto di Messina, poi in altre località tirreniche, per dilagare infine ovunque: e le disgraziate città che non ne erano state ancora toccate assistevano terrorizzate al suo progredire, si affannavano a cercar notizie, spiavano inquiete all’interno delle proprie mura la comparsa dei segni del male.

La peste infierì per tre lunghi anni nel continente, tra la fine del 1347 e l’estate del 1350. La violenza dell’epidemia e forse il suo incontrarsi con una popolazione indebolita da lunghi periodi di carestia che avevano caratterizzato le annate precedenti, e talora ammassata in centri urbani nei quali l’igiene era molto precaria, causarono una vera calamità continentale. Le fonti, incluso il Decameron, descrivono il rapido decorso della malattia, l’apparizione del sintomo principale, il bubbone, nella zona ascellare o inguinale; il passaggio dalla forma bubbonica a quella polmonare, segnato dall’espettorazione sanguigna. Gli studi concordano nell’affermare che l’Europa uscì dall’epidemia gravemente debilitata: in certe aree – come l’Inghilterra, alcune zone della Francia, della Germania, dell’Italia stessa – i decessi giunsero al 30-35 percento e talora lo superarono. Nei primi decenni del quattrocento Firenze era scesa dai 100-120mila abitanti a 37mila.

'Boccaccio rallegra con una sua novella una brigata raccolta a Villa Schifanoia', 1844, Baldassarre Calamai. Galleria d’Arte Moderna, Firenze

'Boccaccio rallegra con una sua novella una brigata raccolta a Villa Schifanoia', 1844, Baldassarre Calamai. Galleria d’Arte Moderna, Firenze

Foto: Dea / Scala, Firenze

La cornice e i narratori

Boccaccio scrisse il Decameron mentre la peste ancora infieriva. È a questo mondo, così ridotto dall’epidemia, e ancor prima dal peso dei peccati cui si attribuiva la rabbia divina causa della peste, che reagisce la brigata dei dieci giovani protagonisti dell’opera boccaccesca.

Per comprenderne il significato complessivo, è necessario partire da una considerazione circa la basilare importanza della cornice generale in cui si articola il Decamerone di quelle particolari a ciascuna giornata. L’idea della cornice era di derivazione indiana, passata attraverso il tramite arabo, com’era comune per molti settori della letteratura e delle scienze medievali. Sono i singoli personaggi-narratori i veri protagonisti del Decameron, coloro che definiscono il tema della giornata.

La prima giornata, cioè quella del “tema libero”, esprime in realtà una polemica contro la decadenza e i vizi; la seconda giornata parla delle disavventure a lieto fine, cioè la lotta dell’individuo contro la cattiva sorte; la terza è quella dell’ iniziativa personale in amore; la quarta dell’amore infelice; la quinta dell’amore contrastato ma a lieto fine; la sesta giornata è quella del motto o della pronta risposta con la quale si «fuggì perdita o pericolo o scorno»; la settima e l’ottava giornata sono ambedue dedicate alla beffa, nel primo caso delle mogli ai mariti «senza essersene avveduti o sì», nel secondo «della donna a uomo o uomo a donna o l’uno uomo all’altro»; nella nona giornata, come nella prima, «si ragiona ciascuno secondo che gli piace e di quello che più gli agrada»; la decima è dedicata alle esaltazioni delle virtù, nella quale «si ragiona di chi liberalmente o vero magnificamente alcuna cosa operasse intorno a’ fatti d’amore o d’altra cosa».

'Decameron' appartenuto al duca di Somerset. British Library, Londra

'Decameron' appartenuto al duca di Somerset. British Library, Londra

Foto: Scala, Firenze

Praticamente dal “mondo capovolto” della prima giornata (in cui anche i personaggi negativi, talvolta, vengono ricompensati), si arriva, tramite molti interventi educativi sulla realtà (amore cortese, iniziativa personale, spirito di adattamento, intelligenza, morigeratezza, beffa “sanatrice” etc. ) a un mondo nuovamente ordinato e virtuoso.

La dimensione onirica

Nell’unità di fondo dell’opera si inseriscono le novelle. Sebbene spesso le antologie tendano a privilegiare quelle incentrate sulla beffa, molti sono i temi profondi che passano nelle storie narrate nel corso delle dieci giornate.

Per esempio diverse fra le novelle boccaccesche affrontano il tema del sogno. Secondo quanto aveva teorizzato lo scrittore latino Tertulliano tra il II e il III secolo, poiché l’anima è di natura divina, il sonno è il momento in cui essa è più libera dall’attività corporea, il che le consente di produrre pensieri che generano una vera conoscenza e che si manifestano attraverso i sogni: per le stesse ragioni, però, sono anche l’occasione in cui il diavolo può insinuarsi in questo processo rendendoli ingannatori.

Boccaccio dal loggiato degli Uffizi, Firenze

Boccaccio dal loggiato degli Uffizi, Firenze

Foto: Manuel Cohen / Art Archive

Nel Decameron troviamo tale duplicità: al pari di altri elementi del racconto, i sogni possono costituire buona materia per una burla ed esser strumento nelle mani delle persone d’ingegno per truffare ignoranti e creduloni. Questo tuttavia non vuol dire che Boccaccio li svaluti nel loro complesso; a un livello socio-culturale più elevato, essi sono densi di significato e vanno considerati con il massimo rispetto. Il buon senso del narratore Panfilo sembra echeggiare il parere dell’autore: non bisogna essere scettici né credere a tutto ciò che appare in sogno.

Durante il sonno si possono avere molte visioni, alcune false, altre vere: taluni credono a tutte, talaltri a nessuna, e sono entrambi atteggiamenti errati; la conclusione li punisce perché quanti hanno creduto a tutto senza raziocinio (situazione frequente nel Decameron) sono raggirati; ma sorte ben peggiore (la morte, l’oltraggio fisico permanente) tocca a coloro che per principio sono scettici. È ciò che avviene nella novella in cui Panfilo narra de L’Andreuola ama Gabriotto (IV, 6): entrambi hanno avuto un incubo; Andreuola ha visto dal «corpo di lui uscire una cosa oscura e terribile» e vuol mettere in guardia Gabriotto, che a sua volta ha sognato una cerva bianca, simbolo dell’amor cortese, e poi «una veltra nera come carbone, affamata e spaventevole molto nella apparenza… per che egli mi pareva che ella mi mettesse il muso in seno nel sinistro lato, e quello tanto rodesse che al cuor perveniva, il quale pareva che ella mi strappasse per portarsel via».

Ma il giovane, al contrario di Andreuola, è di modesta condizione e non riesce a interpretare i sogni, che anzi grossolanamente imputa a «soperchio di cibo o per mancamento di quello». Però, terminato il racconto, si accascia abbattuto da un infarto, materializzazione della cagna nera che gli mordeva il cuore.

Giovanni Boccaccio ritratto da  Cristofano dell'Altissimo. uffizi, Firenze

Giovanni Boccaccio ritratto da Cristofano dell'Altissimo. uffizi, Firenze

Foto: Scala, Firenze

Magia e cavalleria

Anche la magia ha un ruolo importante nel Decameron: non sempre sbeffeggiata come avviene nei novellieri contemporanei di Giovanni Boccaccio, ma spesso presentata in un contesto cavalleresco e dunque, agli occhi dell’autore toscano, elevato. Come si rileva nel caso della novella del Giardino d’inverno (X, 5), in cui madonna Dianora domanda a messer Ansaldo un giardino di maggio nel pieno del mese di gennaio e questi «in più parti per lo mondo mandò cercando se in ciò alcun si trovasse che aiuto o consiglio gli desse; e vennegli uno alle mani il quale, dove ben salariato fosse, per arte nigromantica profereva di farlo».

Allora, «il valente uomo in un bellissimo prato vicino alla città con le sue arti fece sì, la notte alla quale il calen di gennaio seguitava, che la mattina apparve, secondo che color che ‘l vedevan testimoniavano, un de’ più be’ giardini che mai per alcun fosse stato veduto, con erbe e con alberi e con frutti d’ogni maniera».

Alla fine, però, anche se fin dall’inizio il «nigromante» si era qualificato come un «professionista», e dunque qualcuno che presta le sue arti a pagamento, in un generale clima di nobiltà d’animo di stampo profondamente cavalleresco, egli palesa doti di magnanimità: «Il nigromante, al quale messer Ansaldo di dare il promesso premio s’apparecchiava, veduta la liberalità di Giliberto verso messer Ansaldo e quella di messer Ansaldo verso la donna, disse: ‘Già Dio non voglia, poi che io ho veduto Giliberto liberale del suo onore e voi del vostro amore, che io similmente non sia liberale del mio guiderdone’; e per ciò, conoscendo quello a voi star bene, intendo che vostro sia».

I giovani protagonisti del 'Decameron' si incontrano nella chiesa di Santa Maria Novella, dove stabiliscono di sfuggire alla peste rifugiandosi sulle colline presso Firenze

I giovani protagonisti del 'Decameron' si incontrano nella chiesa di Santa Maria Novella, dove stabiliscono di sfuggire alla peste rifugiandosi sulle colline presso Firenze

Foto: Giuseppe Greco / Fototeca 9X12

Un carattere inquietante riveste invece l’apparizione apparsa al nobile Nastagio degli Onesti mentre si aggira nella pineta di Classe. Questi è triste perché il suo amore non viene ricambiato dall’amata (V, 8). Nastagio vede «una bellisima giovane ignuda, scapigliata e tutta graffiata dalle fresche e da’ pruni, piangendo e forte gridando mercè; e oltre a questo vide a’ fianchi due grandi e fieri mastini, li quali duramente appresso correndole, spesse volte crudelmente dove la giugnevano la mordevano; e dietro a lei vide venire sopra un corsiere nero un cavaliere bruno, forte nel viso corrucciato, con uno stocco in mano, lei di morte con parole spaventevoli e villane minacciando».

Assiste quindi allo scempio che il cavaliere fa del corpo della fanciulla, all’irruzione di due creature dell’Aldilà condannate per i propri peccati a reiterare questa scena cruenta: il cavaliere aveva amato la donna, che l’aveva sempre rifiutato con disprezzo, fino a spingerlo al suicidio; a sua volta lei era poi morta senza mai mostrare segni di pentimento.

È indubbio che nell’episodio, chiaramente una rappresentazione delle pene infernali riservate ai peccatori, vi siano forti echi della “caccia feroce” o dell’“esercito dei morti”, celebre motivo mitico-letterario che Boccaccio certamente conosceva perché veicolato da molti testi risalenti ai secoli XII e XIII.

'Uccisione della donna che aveva rifiutato l'amore'. Tavola della serie dedicata a Nastagio degli Onesti. Sandro Botticelli, 1483. Prado, Madrid

'Uccisione della donna che aveva rifiutato l'amore'. Tavola della serie dedicata a Nastagio degli Onesti. Sandro Botticelli, 1483. Prado, Madrid

Foto: The gallery collection / Corbis / Cordon Press

La scena di Nastagio degli Onesti ha trovato una raffigurazione degna nell’interpretazione che ne dà Sandro Botticelli in quattro grandi tavole (tre sono al Prado e una in una collezione privata a Firenze), dove notiamo un’interessante inversione di colore. Il cavaliere indossa un’armatura dorata, i cani sono uno nero e uno bianco, il cavallo è bianco. Forse Botticelli è influenzato, oltre che da necessità di tipo stilistico-cromatico, anche dalla destinazione dell’opera, commissionata per farne omaggio a Giannozzo Pucci in occasione del suo matrimonio con Lucrezia Bini nel 1483.

Si tratta di una scelta tematica insolita, anche se la vicenda dell’amore di Nastagio ha poi un lieto fine: farà tesoro di quanto ha visto e si ricongiungerà all’amata.

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Rifondare il mondo

Il Decameron continua ancora oggi a esser presentato come epopea del ceto mercantile, al pari di quella di altri, ben più modesti novellieri del tardo Trecento toscano, quali Franco Sacchetti o Giovanni Sercambi.

'Il matrimonio di Griselda', protagonista dell'ultima novella del 'Decameron'. XV secolo. Natonal Gallery, Londra

'Il matrimonio di Griselda', protagonista dell'ultima novella del 'Decameron'. XV secolo. Natonal Gallery, Londra

Foto: Scala, Firenze

Un’interpretazione che appare tuttavia problematica: poteva Giovanni Boccaccio (che anche personalmente aveva scelto di allontanarsi sin da giovanissimo dall’attività mercantile cui sarebbe stato destinato per ragioni familiari) aver celebrato quel mondo proprio mentre esso sembrava andare in frantumi, e per di più prendendo spunto dall’evento epocale che, al di là della sua obiettiva gravità, aveva l’aria di essere il simbolo d’una condanna?

Gettare lo sguardo sulle novelle che hanno per tema i sogni, le visioni, la magia, la nobiltà cavalleresca significa penetrare più in profondità nell’universo di Giovanni Boccaccio e nel significato della sua opera.

L’autore fa nascere l’occasione del Decamerondal destrutturarsi drammatico di tutta una società e in modo particolare del suo ceto dirigente, soggetto alla crisi economica ancor prima che alla pandemia della peste, le cui convenzioni risultano ormai scosse dalla ferocia d’un contagio che falcia le consorterie e rende caotico e ingestibile il tradizionale meccanismo delle eredità, delle alleanze matrimoniali, di quelle mercantili.

Miniatura dal 'Livre du coeu épris', codice miniato (1457) del re di Napoli Renato I d’Angiò. Boccaccio celebrò i valori della cavalleria, in funzione antiborghese

Miniatura dal 'Livre du coeu épris', codice miniato (1457) del re di Napoli Renato I d’Angiò. Boccaccio celebrò i valori della cavalleria, in funzione antiborghese

Foto: Philip de Bay / Corbis / Cordon Press

Quel che propone Pampinea, la più grande delle sette fanciulle narratrici del Decameron, agli altri giovani novellatori non è una “fuga” e tanto meno un carpe diem, cioè atteggiamenti tipici dinanzi al progredire del morbo, come Boccaccio scrive all’inizio della prima giornata. La sua proposta è invece un’altra: rifondare la realtà attraverso la parola, la narrazione, la letteratura.

Ma rifondare l’ordine sconvolto dal contagio non può avvenire, come accade appunto nel Decameron, se non attraverso il recupero dei valori migliori della società e della cultura cavalleresche, ossia antiborghesi, nelle quali tali motivi trovavano il loro senso profondo.

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Per saperne di più

Boccaccio. Luigi Surdich, Il Mulino, Bologna, 2008.
Le cento novelle contro la morte. Giovanni Boccaccio e la rifondazione cavalleresca del mondo. Franco Cardini, Salerno, Roma, 2007.

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