ENNIO DORIS - C'È ANCHE DOMANI - Spietati - Recensioni e Novità sui Film
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ENNIO DORIS – C’È ANCHE DOMANI

TRAMA

Vita e miracoli di Ennio Doris, fondatore di Banca Mediolanum.

RECENSIONI

Il film si apre con Ennio Doris che, in un tardo sabato sera, gioca a carte davanti al classico Bar Centrale di paese (l’insegna sembra scritta 5-6 minuti prima dell’inizio delle riprese, con un pennarello indelebile, su una tavola di compensato acquistata da OBI la mattina stessa). Ennio è il più elegante di tutti ma ostenta casualità, avete presente, le maniche della camicia arrotolate, cose così. Lo fa per mimetizzarsi con la plebe, sì, ma senza esagerare, per mettere a loro agio i suoi amici di sempre, che ridono, scherzano e dissimulano la dovuta reverenza nei confronti dell’illustre primus inter pares con atteggiamenti ostentatamente fami(g)liari. Poi arriva una telefonata. E’ il figlio Massimo che, dall’ufficio, gli dice che “avevi ragione tu, papà, avevi previsto tutto, papà, bravissimo come sempre, papà” e che insomma Lehman Brothers ha fatto il botto. Ennio mantiene la calma olimpica del condottiero e indice una riunione per la mattina successiva ma Massimo lo informa che sono già tutti in ufficio. Stacco sul totale dell’ufficio stesso che improvvisamente sembra la concitata, affollata e brulicante sala di controllo della missione salviamo-il-cazzo-di-mondo di Armageddon. Ennio dice: arrivo. E in ufficio ci va subito. In elicottero.

Il film è questa cosa qui, dall’inizio alla fine. In genere, in questi casi si parla di agiografia ma siamo decisamente oltre: il Doris non è ritratto come un semplice santo ma come un/il vero e proprio Messia, mandato sulla terra per togliere i peccati dal mondo finanziario e abbattere le barriere tra società finanziarie, banche e assicurazioni. Oltre che per fare un sacco di soldi. L’archetipo di riferimento è quello berlusconiano del self made man ma in qualche modo elevato al cubo. La famiglia povera, il padre sine macula ignorante ma pozzo di bontà e saggezza, ovviamente maestro di vita che dispensa inestimabili consigli per lui e per noi. Ennio bambino, già piccolo genio incompreso, sbava (letteralmente, così nel testo) davanti a due etti di roastbeef ma deve accontentarsi delle frattaglie maleodoranti servite alla mamma con disprezzo e sarcasmo dal macellaio, Ennio ragazzo si presenta al primo colloquio di lavoro praticamente in bermuda, pantalone fantozziano che indosserà per quasi tutta la linea temporale, Ennio degli anni zero viaggia sul jet privato con l’inseparabile moglie, che ha trascorso la notte insonne a preparare la crostata per tutto l’equipaggio. Ma sono solo degli esempi, ché il film è veramente tutto così, in tutte le sue parti, sezioni, sottosezioni, sintagmi. L’unico modo per capirlo (e crederlo) è vederlo con i propri occhi: un frattale concepito per magnificare l’Uomo Ennio Doris e con lui una certa visione (e soprattutto rappresentazione) del mondo che potremmo tranquillamente definire berlusconiana. Ma senza cene eleganti, ché il Doris, da quel punto di vista, (ap)pare irreprensibile e le cene le fa da solo con la moglie, anche quando si ritrova a Parigi e, dopo l’ennesimo TRIONFO lavorativo, declina(no) l’invito a un party “con le star di Hollywood” (sic). Berlusconi, tra l’altro, ovviamente presente come nume tutelare, benché cinematografato con modalità imitatorie/macchiettistiche che lasciano un po’ perplessi. Però, insomma, Ennio Doris è con ogni evidenza una sua emanazione semidivina, col primo incontro tra i due a Portofino che diventa una sorta di Creazione di Adamo virata al mondano/balneare. Emanazione certificata da una battuta chiave: in una delle tante sequenze che trattano lo spettatore come un bambino di 5 anni, ci viene fatto credere che Berlusconi “potrebbe non essere d’accordo” con Doris sulla soluzione del caso Lehman Brothers (fulcro del film), questo prima che la farsesca suspense venga interrotta dalle parole-con-sorriso-benevolo-di-Silvio: “lei è più pazzo di me”. Follia ovviamente da intendersi come coraggiosa spregiudicatezza imprenditoriale, vecchio pallino berlusconiano. Chi ha avuto la fortuna di imbattersi nella collana Publitaliota (col marchio Silvio Berlusconi Editre) La Biblioteca dell’Utopia si sarà certo goduto le introduzioni ad alcuni classici del pensiero scritte da Silvio In Persona, in cui l’Elogio Della Follia diventava un autoelogio e Utopia veniva spacciato per una sorta di visione profetica destinata a concretizzarsi in Milano 2 (non scherzo). Erano edizioni che dicevano tutto: di presunto pregio, pensate per essere esposte un tanto al chilo ma non necessariamente lette, stampate su carta effetto vintage dalla grammatura sovradimensionata.

Da un punto di vista cinematografico, sotto certi aspetti c’è da rimanere ammirati. Campiotti allestisce uno spettacolo privo di qualunque sfumatura e lo fa con polso fermo, sicurezza, (di)sprezzo del ridicolo, spavalderia, quasi, scimmiottando anche tratti di certo (già accennato) cinema americano: gioca nolanianamente con le (tre) linee temporali, tarate cromaticamente (effetto Mulino Bianco Smarmellato per Doris Bambino, sempre più attuale/realistica per Doris giovane e adulto/anziano – con risp. parl.); restituisce il bernoccolo da genio-dei-numeri del protagonista con (parodie di) sequenze quasi astratte alla A Beautiful Mind (il suo primo ingresso nella Banca di Padova); distribuisce a piene mani sequenze enfatiche con musica pleonastica e quando Doris decide di tornare a casa da solo, parte un incredibile videoclip dell’indimenticabile Uomini Soli, dei Pooh, lasciando pochi dubbi su chi sia, nella fattispecie, lo squarciagolato Dio delle città e dell’immensità. C’è comunque da dire – e quasi concludere – che il film, nella sua struttura tetragona, non vacilla mai, non scricchiola, non barcolla e rimanere eroicamente fedele a se stesso per tutte le quasi due ore di durata, complice anche un Massimo Ghini davvero grande professionista che si immola sull’altare dell’operazione senza battere ciglio, regalando un’interpretazione che lo consegna ai poster (da appendere in tutte le sedi della banca “costruita intorno a te”).

Ultime due note extrafilmiche:
1) fuori dal cinema, prima della proiezione, c’era un giovane in completo blu e cravatta che aveva un pacco di biglietti da distribuire, immagino ai dipendenti Banca Mediolanum (sarebbe interessante valutare il dato nazionale di questi ingressi omaggio per capire la reale entità del “successo di pubblico” nei tre giorni di proiezione del film);
2) sul finale, esemplare apoteosi di kitsch messianico in cui la natura una e trina del Doris si fa carne (SPOILER: i tre attori che lo interpretano convivono nella stessa inquadratura), i due spettatori seduti accanto a me sono scoppiati a piangere per la commozione. Sto parlando di volti solcati dalle lacrime e sonori singhiozzi. Certo, non è un parametro oggettivo su cui basarsi ma insomma, per vie neanche tanto traverse fa sorgere il dubbio che, alla fine, come sappiamo e abbiamo sempre saputo, aveva ragione Berlusconi. Pace all’anima sua.