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Ue: Tremonti, direzione è politica estera ed esercito comuni

Il presidente della commissione esteri del Senato Giulio Tremonti non risparmia critiche alle leadership unitarie succedutesi nel tempo ma non chiude la possibilità di un riscatto del Vecchio continente

di Alessandro Galimberti

Giulio Tremonti al Festival dell’economia di Trento

2' di lettura

Il destino dell’Europa, o comunque la sua direzione più probabile, è nella combinazione tra politica estera ed esercito comuni e nell’allargamento della sua architettura ad Est, ma con l’incognita di una crisi finanziaria solamente rimandata dalla «folle emissione monetaria degli ultimi dieci anni».
Nel dialogo pubblico con il direttore di Repubblica Maurizio Molinari al Palazzo della Provincia, il presidente della commissione esteri del Senato Giulio Tremonti non risparmia critiche alle leadership unitarie succedutesi nel tempo (a partire da chi ipotizzò «la possibilità teorica di fallimento dei Paesi», scatenando la speculazione finanziaria) ma non chiude la possibilità di un riscatto del Vecchio continente, «a condizione che sappia coniugare la difesa delle tradizioni nazionali con l'idea unitaria», tenendosi a distanza dalla cancel culture e costruendo invece «ponti tra culture, come auspicato anche da Papa Francesco».

Come gestire i rapporti interni nel nuovo ordine globale l'Europa l'ha dovuto imparare in fretta: «Nel gennaio 2022 la Corte europea condanna la Polonia ponendola fuori dallo stato di diritto - ha ricordato l'ex ministro - Il giorno dopo le due presidenti Ue invocano l'applicazione di sanzioni. Venti giorni dopo la guerra porta la Polonia in primo piano per aver accolto i fratelli ucraini».

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Non esiste un sistema uniforme, argomenta Tremonti «nei Paesi esistono valori che vanno rispettati e non ignorati. Non devi avere la presunzione che tutto vada omologato a quello che pensi tu» e, per essere ancora più esplicito «ho già abbastanza riserve contro la cancel culture ma se va avanti a cancellare i valori della famiglia e della natalità non avremo né più pensioni ne ospedali. Il futuro dell'Europa dipende dal sistema di valori che vuole, se vuole, conservare».

Non è affatto vero poi che nell' Europa dell'est si parli di nazioni (in declinazione di nazionalismi, ndr) ma piuttosto «di una struttura unitaria superiore con rispetto della tradizione. Si può avere sia l'Europa sia le nazioni, basta ascoltare il discorso del primo ministro polacco all’Università di Heidelberg» (Mateusz Morawiecki, il 23 marzo scorso ndr) per averne una chiara rappresentazione, e pure nel «manifesto di Ventotene, ispiratamente comunista, “Europa” vuol dire una politica estera e un esercito. Non è facile andare in quella direzione ma alla fine là si andrà».

Quanto al Pnrr, il problema non riguarda tanto il nuovo triangolo industriale («Milano-Bologna-Venezia, dove c'è il 50% del Pil») che comunque andrà avanti, ma piuttosto il resto del paese che ne ha bisogno.

Pnrr che è comunque un esempio di complessità burocratica e politica («prendiamo una qualsiasi delle 500 pagine e scommettiamo sulla possibilità di comprendere cosa dice») ma il «disastro atteso non dipende dal Piano, né il rischio per l'Ue è l'Italia, la domanda invece è “che mondo sarà finita la guerra?”».

E in questo nuovo contesto «la massa di liquidità generata in dieci anni credo sia stata una follia, stampare moneta per superare la crisi è stato solo rimandata. Se c'è un rischio è nel “whatever it takes” che ha permesso di violare i patti. In realtà è stato un “whatever mistakes”»

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