I Can See Your House From Here - Camel - recensione

Dopo l'abbandono del grande Peter Bardens, le cose per i Camel si fanno ardue; passano attraverso due formazioni nel giro di un anno, vengono abbandonati anche da Richard Sinclair e dal cugino David, provano diversi tastieristi finchè nel 1979 l'organico si stabilizza e vede i due inossidabili Latimer e Ward rispettivamente alla chitarra e alla batteria, Colin Bass al basso e alla voce, e due tastieristi, Jan Schelhaas e Kit Watkins. Il disco frutto di questa nuova "carovana" risente senza dubbio degli sbandamenti interni e del periodo nero che quasi tutti gli ex eroi degli anni Settanta stanno vivendo, ma i risultati non mancano di certo. Latimer e compagni si orientano verso una musica più diretta, seguendo la strada tracciata dal precedente Breathless e puntando sulla raffinata canzone pop. Ma "I Can See Your House From Here" non è solo questo, perché possiamo trovare pezzi che mantengono senza dubbio un consistente spessore progressivo; in più certi sontuosi arrangiamenti, il ricorso agli archi e ad atmosfere classicheggianti donano un lieve sapore sinfonico a diversi brani, mentre Mel Collins, ospite ormai fisso nelle oasi del cammello, contribuisce con la consueta classe e discrezione. Ammirevole da questo punto di vista la dedizione dei Camel alla causa, storicamente persa, del rock progressivo alla vigilia della grande esplosione dell'elettro-pop. Il suono è ancora in buona parte quello classico, liscio, scorrevole come l'acqua, senza grandi strappi, ma dotato di quella particolare magia che è loro; le composizioni sono meno articolate rispetto al passato e naturalmente l'abbandono di Bardens provoca un ridimensionamento dell'impostazione tastieristica del repertorio. Nonostante ciò la band se la cava più che bene, poiché Latimer riesce a prendere in mano le redini della situazione e a dirigere con abilità i compagni.

L'inizio è dirompente e accattivante: Wait è infatti una buona canzone, ben ritmata e suonata. E' molto diversa da altri pezzi mossi dei Camel, come ad esempio Freefall, ma la chitarra di Latimer si fa sentire, prima con schitarrate e scansioni ritmiche, poi con un bellissimo assolo conclusivo. C'è anche un solo velocissimo del tastierista Watkins, non emozionante quanto quelli di Bardens ma gradevole e trascinante; se di pop si tratta, è comunque curato e di qualità. Non si può dire lo stesso del brano successivo, Your Love Is Stranger Than Mine, una sorta di funk/rhythm'n'blues: qui tutto è molto più semplice, a partire dal testo, in più la batteria è piuttosto anonima, le tastiere limpide e scontate. C'è un assolo finale di sax che non basta a nobilitare il brano ma per lo meno lo chiude con dignità. Non tremate, ma mi sembra di scorgere prematuri echi (phil)collinsiani in questa canzone: mi spiegherò meglio più avanti.

Piccolo gioiellino, lo strumentale Eye Of The Storm si regge si di un bellissimo arpeggio siderale di chitarra, un basso placido e parti di flauto. La batteria parte lontana e leggera, poi diventa più prominente e verso la fine scandisce un ritmo militare, mentre uno zufolo ricama con note alte; molto suggestivo, il brano sembra evocare una banda reggimentale che segna il passo di marcia. Il pezzo successivo, Who We Are, inizia in maniera scanzonata con arpeggi di chitarra, assoli e un drumming sbarazzino; è un brano lungo sette minuti arricchito da diverse sezioni strumentali, ma ha un cuore di dolce ballata romantica forse a volte anche troppo zuccherosa. Latimer ricama con una scintillante chitarra tutta la canzone, cantata piuttosto bene e impreziosita da un ottimo arrangiamento orchestrale con archi e contrappunti di fiati che la rendono particolare e abbastanza pregante. Molto bello l'inserto strumentale verso la fine, affidato un crescendo di archi ornati dai fiati che accompagnano elegantemente tutto il finale.

Segue un breve e bellissimo inserto affidato solo agli archi, Survival, di chiara estrazione classica, che apre la strada alla stupenda Hymn To Her, un piccolo capolavoro nascosto tra i solchi. Si parte con l'intensa chitarra di Latimer supportata da un ottimo basso e da una drammatica partitura di archi; la voce sofferta e toccante entra accompagnata dal pianoforte, la batteria è espressiva e precisa, e regge un'escalation a dir poco emozionante. Molto bravo Colin Bass nei due ruoli, eccezionale Latimer che con semplicità disarmante tesse trame splendide come nella migliore tradizione Camel, belli gli incisi per sola voce e tastiere e magnifico il cambio di ritmo a metà canzone guidato da un assolo congiunto di chitarra e synth. La vena progressiva si mostra prepotente in questo brano, un vero gioiello, forse tra i migliori dei Camel, che si conclude in modo epico grazie a un ispirato assolo di Latimer.

Dopo tanta bellezza, è naturale che Neon Magic ci lasci un po' così. La canzone non è propriamente Camel, è anzi piuttosto di facile consumo. Se non altro è divertente, con la batteria semplice, la voce (credo sia di Latimer) sforzata e un po' caricaturale, la chitarra che scandisce il ritmo e si esibisce in riff rutilanti. C'è uno strano inciso dal sapore epico con organo e synth, rullate di batteria e un buon basso, poi la melodia rientra in binari più allegrotti. Alla fine può risultare simpatica, con un solare assolo di chitarra nel finale. Purtroppo anche in ambito pop non sempre si può fare bene, e infatti Remote Romance è a dir poco orrida, una delle peggiori canzoni dei Camel, aperta da suoni elettronici tremendi e una batteria istupidita. Voci distorte e robotiche ci tuffano nella peggiore tradizione elettro-pop, e sembra impossibile che un personaggio come Latimer, insieme al tastierista Watkins, abbia potuto scrivere un brano del genere. E' veramente brutta, confusa e quasi cantata a caso; non è nemmeno riempitiva, è un vero scarto che non avrebbe mai dovuto finire sul disco.

Per fortuna l'ultima traccia basta da sola a riscattare tutto ciò di non buono che c'è nel disco. Ice è un altro capolavoro targato Camel, un'emozionante digressione strumentale da dieci minuti dominata dal grandissimo Latimer; è uno dei brani più emozionanti della loro carriera, e inizia in modo rilassato con un tenero arpeggio all'acustica accompagnato dal pianoforte, creando già un'atmosfera indimenticabile. La batteria potente annuncia l'ingresso della chitarra elettrica, che si inserisce con note lunghe, struggenti, mentre le limpide tastiere producono contrappunti in sottofondo e il basso tesse una sobria linea melodica. Dopo un bellissimo assolo di synth, Latimer sale in cattedra e si produce in note che la musica non scorderà mai più. Assolutamente coinvolgente e pregante, il pezzo di dispiega con maestosa semplicità, con tutti gli strumenti perfettamente bilanciati e tesi verso vette altissime di lirismo, concludendosi con un dolcissimo fraseggio di chitarra.

I risultati a mio avviso sono discreti, e penso che i Camel abbiano tirato fuori dal cilindro un lavoro efficace e anche abbastanza coerente, vittima di un'unica, nettissima caduta di tono (Remote Romance). Non si poteva chiedere loro di tornare all'assoluto rispetto del verbo progressivo, anche perché i numerosi e tumultuosi rimaneggiamenti nella band hanno portato aria e idee nuove, forse non tutte brillanti come in passato, ma fresche e dignitose. Se da un lato si rimpiange la perdita di Bardens e anche di Sinclair, dall'altra bisogna lodare la personalità catalizzante di Latimer, nonché la sua abilità strumentale, considerando anche la sua resistenza alle deleterie derive che al musica stava prendendo in quegli anni così poveri di fantasia. Onore ai Camel dunque, che in questo momento difficile della loro carriera vanno avanti con serietà, ignorati quasi da tutti.

Per concludere, vorrei spiegarvi il riferimento a Phil Collins: il batterista, infatti, ha collaborato all'album, suonando in un paio di pezzi. Dopo "And Then There Where Three" il suo matrimonio andò a rotoli e lui, in piena crisi, si mise a gironzolare per i dischi altrui. Secondo me le sue idee, cha matureranno compiutamente nel suo debutto solista, hanno influenzato un po' canzoni come Your Love Is Stranger Than Mine, che personalmente mi ricorda un po' Sussudio. Magari è una forzatura, ma il sospetto è forte.

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