Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 1 Recensione

Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 1: la nostra recensione del film

11 novembre 2014
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Dal reality alle macerie della guerra, in attesa del gran finale.

Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 1: la nostra recensione del film

Non si gioca più ne Il canto della rivolta – Parte 1 : via l’arena del film numero uno e la sua versione larger and better del film numero due, addio alla rigogliosa foresta con le sue bacche velenose e le nebbie letali, ciao ciao parrucche, porporina e abiti che prendono fuoco e arrivederci Peeta, forse amico forse amante prigioniero a Capitol City.
E’ la guerra, bellezza e nessuno può tirarsi indietro, né l’eterogenea e afflitta Panem né Francis Lawrence, chiamato a trasformare in immagini la metà di un libro più complesso e più farraginoso degli altri, esitante a prendere una direzione proprio come la sua Katniss Everdeen, malata di tristezza, rancorosa per essere stata manipolata dai ribelli, struccata e spettinata, mortificata nelle sue forme longilinee da una grigia tuta da operaio.

La desolazione di città rase al suolo e gli scenari post-apocalittici sono realtà che il regista de La ragazza di fuoco conosce già, visto che le ha raccontate in I Am Legend. Quindi, oltre ad essere una prosecuzione della saga, il suo nuovo Hunger Games continua l’esplorazione delle dinamiche di sopravvivenza dell’eroe solitario, del soldato per caso che osserva sbigottito le conseguenze di un’irrazionale malvagità. 

Come aveva fatto Suzanne Collins con l’Impero Romano, eletto a riferimento dell’ambientazione dei primi due libri, Lawrence guarda indietro, forse inconsapevolmente e senza lasciarsi andare a evocazioni trionfalistiche. E allora ecco che, contemplando i cadaveri del Distretto 12, ci tornano in mente i cumuli di ossa delle vittime dell’Olocausto. Ed ecco che si fa strada, nelle marce e nelle canzoni, la Comune di Parigi con le sue bandiere. C’è perfino la guerra in Afghanistan e la cattura di Bin Laden in una missione al buio per recuperare Peeta e Annie. E siccome l’aggancio con l’attualità è una delle prerogative della saga, non manca certo il discorso sulla mistificazione del reale attraverso i media, tema forte dei romanzi che qui si identifica solo con la propaganda bellica.
Cesar Flickerman rimane allora in sordina e, insieme alle sue interviste e al popolo bue che lo ascolta rapito, se ne va ogni rischio di cedere a uno stile da videogame, videoclip o da reality show. E’ un bene, non c’è dubbio.

Rende invece perplessi, in un continuum che ha comunque una sua compattezza, l’assenza delle giuste pause, di quei momenti leggeri che aiutano a conoscere meglio i personaggi.
Così qualcuno si perde: non Katniss, lei no, lei è sempre magnifica, e nemmeno il Plutarch di Philip Seymour Hoffman (che emozione ritrovarlo!) o la new entry Alma Coin, che Julianne Moore interpreta in maniera sublime. Ma che ne è di quel Finnick annichilito dal dolore o del nostro caro Peeta? E di Gale che sposa gli ideali e la filosofia della ribellione? E perché non possiamo goderci un po’ di più la cattiveria di Coriolanus Snow? Perché lo esige la logica dei mega franchise, che elegge l’incompiutezza a strategia vincente. Come per Harry Potter e I doni della morte – Parte 1 e  per il primo Breaking Dawn, bisogna aspettare, con una punta di insoddisfazione, l’ultima puntata.

Lasciamo dunque Katniss alla sua disperazione dopo un’ennesima delusione, lasciamo Gale ad anelare l’amore della sua bella (noi facciamo il tifo per lui!) e, in attesa di scoprire se la ghiandaia imitatrice avrà trionfato sui cattivi, gridiamo in coro: “Se noi bruciamo, voi bruciate con noi!".





  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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